Intervista ad Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche.
A cura di Mara Passafiume.
Si chiude a breve un anno davvero molto difficile, non solo per il nostro Paese ma per il mondo intero. La pandemia ha messo a dura prova i sistemi sanitari, compresi quelli più avanzati ed efficienti, e ha rappresentato uno stress-test fortissimo. I numeri di questo fenomeno parlano chiaro e la battaglia contro il virus non può dirsi a tutt’oggi conclusa. Discutiamo dei tanti problemi sul tavolo con Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, che rappresenta gli infermieri.
Segretario, il numero dei contagi da Covid-19 è ancora alto. Qual è in questo momento la situazione negli ospedali?
La situazione è drammatica, peggiore della prima ondata perché interessa tutte le regioni e colpisce più duramente gli infermieri in servizio, mettendo il sistema ancora più sotto pressione per carenza di personale. Non siamo ancora usciti dalla seconda ondata e già ne aspettiamo un’altra dopo le festività natalizie, dove dovrebbe farla da padrone l’arrivo dell’influenza. I carichi di lavoro più notevoli pesano sempre sulla stessa categoria che, ricordiamolo, ha ferie e permessi bloccati e turni massacranti senza sosta. La scelta di preservare l’economia non effettuando un secondo lockdown ha ulteriormente aumentato la pressione sulle strutture ospedaliere e ha permesso al virus di circolare in modo più veloce e diffuso. Gli infermieri degli ospedali sono esausti, anche se il loro senso di responsabilità va ben oltre quello della politica.
L’emergenza Covid rende difficile anche la gestione dei malati di altre patologie. In che modo e con quali problematiche vengono oggi organizzate le attività non-Covid delle strutture sanitarie?
Oggi pressoché tutta l’organizzazione dei servizi è concentrata sull’emergenza pandemica. Le attività ordinarie e di prevenzione sono fortemente limitate per poter dirottare gli infermieri al fronte Covid, dove continuamente registriamo alti numeri di colleghi che si positivizzano e che quindi non possono più rimanere al lavoro. Queste prestazioni non erogate e rinviate, quale effetto collaterale della pandemia, oltre a diminuire la tutela della salute dei cittadini, producono l’effetto di creare lunghe liste d’attesa che dovranno essere recuperate nel post Covid sempre dallo stesso personale, già stremato e in cronica carenza. Purtroppo ancora una volta saranno i cittadini, quelli più fragili e deboli, a pagare il prezzo più alto per le prestazioni non erogate. Qualcuno li ha chiamati, giustamente, gli esodati della sanità.
Il recente report della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Medici e infermieri, tra sottodimensionamento degli organici, rischi alla salute ed esigenze di conciliazione” ci restituisce il quadro delle fragilità del Sistema Sanitario Nazionale, da quasi un anno alle prese con l’emergenza sanitaria, con medici e infermieri a rischio collasso perché sottodimensionati, stressati, fortemente esposti al rischio contagio e con problemi a conciliare vita e lavoro.
È uno scenario noto e stranoto, più volte rappresentato anche dal nostro sindacato e da tutti i centri studi italiani ed europei. Tuttavia non possiamo che prendere atto di una politica miope verso la sanità attuata negli ultimi dieci anni. Non si vuole capire che un’economia sana presuppone cittadini sani e la loro salute è garantita dal Servizio sanitario nazionale, che ha un finanziamento tra i più bassi d’Europa in rapporto al Pil e un numero di infermieri su 100 mila abitanti di circa la metà di Francia e Germania. Per avere la salute occorre investire anzitutto sul personale e principalmente sugli infermieri. In questi anni non sono mancate solo le assunzioni, che hanno portato i nostri infermieri a trasferirsi all’estero attratti anche da salari più cospicui, ma ha fallito anche la programmazione universitaria dei posti per infermiere. Oggi è troppo tardi per rimediare e le difficoltà del sistema lo testimoniano. Le morti e le mancate cure hanno anche fondamento in questa miopia politica che pare permanere considerando l’esiguo stanziamento per la sanità dei fondi del Recovery Fund – 9 miliardi su 209.
Nel Disegno di Legge di Bilancio 2021, approvato dal Consiglio dei Ministri ed ora all’esame del Parlamento, è prevista una indennità di specificità infermieristica volta a riconoscere e valorizzare le competenze degli infermieri nonché le specifiche attività svolte.
Il Presidente del Consiglio Conte ce l’aveva promesso nel suo discorso alla Camera del 25 marzo scorso. Nel Disegno di Legge è prevista questa nuova indennità, che tuttavia è vincolata alla stipula del nuovo contratto di lavoro di cui non si hanno tempi certi. È quanto mai importante per gli infermieri sentire che chi ci guida sa anche essere riconoscente e valorizzarci, per questo abbiamo chiesto al Governo di non annacquare la nostra indennità allargandola a tutte le figure sanitarie e di non aspettare il rinnovo contrattuale ma di erogarla già con il mese di gennaio 2021. Se ciò non avvenisse, come invece previsto per i medici, gli infermieri potrebbero sentirsi traditi e cedere proprio quando ci sarà maggior bisogno per affrontare la terza ondata e una campagna vaccinale che non potrà che essere sostenuta da chi, per legge, è deputato alla somministrazione di farmaci.
Dopo un anno di pandemia, che stagione contrattuale si augura?
Come lei sa, Nursind è stato l’unico sindacato a non firmare il contratto di lavoro perché in esso non c’era l’ombra di una valorizzazione, di un riconoscimento dell’attività professionale degli infermieri. Ciò ci ha portato molto consenso tra i colleghi perché hanno riconosciuto la coerenza della nostra posizione ed oggi più che mai condividono questo non riconoscersi nel contratto di lavoro. Sono sorti nuovi movimenti all’interno della categoria che chiedono l’uscita dal comparto, che chiedono maggiore riconoscimento. Mi auguro che le altre forze sindacali non siano miopi come lo è stata la politica per il finanziamento alla sanità pubblica, che capiscano la necessità di valorizzare gli infermieri e che il dare tutto a tutti non è più possibile e non ha alcun senso, se non quello di sprecare importanti ed esigue risorse. Se non ci sarà questo cambio di passo, la rabbia degli infermieri dopo quanto hanno subito e sopportato non sarà più contenibile ed è prevedibile una stagione di aspra lotta sindacale che certo non farà bene al Paese.
M.P.
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