Intervista ad Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche.
A cura di Mara Passafiume.
Il fenomeno delle aggressioni in ospedale, caratterizzato da violenze nei confronti di medici e infermieri, ha registrato un notevole incremento in termini percentuali, tanto che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ritenuto opportuno aumentare del cinquanta per cento i presidi di polizia negli ospedali. Il clima è preoccupante e questo ennesimo problema in ambito sanitario non fa che aumentare la fuga, iniziata già da tempo per diversi motivi, del personale degli ospedali.
Di questo e d’altro parliamo con Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche.
Segretario, si moltiplicano ogni giorno le aggressioni al personale infermieristico, soprattutto nei Pronto soccorso. Un fenomeno molto preoccupante, che può incidere pesantemente anche sulla tenuta psicologica del personale, sottoposto a continue tensioni.
Purtroppo è un fenomeno in continua crescita, anche dopo il picco di pandemia da Covid-19 quando tutti vedevano gli infermieri e i medici come degli eroi. Tanto è divenuto rilevante e preoccupante il fenomeno che il ministero della Salute ha costituto un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie, con compiti di analisi, monitoraggio e indicazioni di buone pratiche per tutelare i lavoratori. I risultati del lavoro di questo osservatorio, di cui Nursind è componente, sono stati trasmessi al Parlamento proprio questa settimana e sono ora pubblicati nel sito: https://www.salute.gov.it/portale/professioniSanitarie/dettaglioContenutiProfessioniSanitarie.jsp?id=5837&area=professioni-sanitarie&menu=vuoto
Il dilagare della violenza contro gli operatori sanitari, però, non risolve i problemi che sono alla base del disagio degli utenti. Carenze di personale, liste d’attesa, tempi di attesa in Pronto soccorso, scarsità di risorse economiche: situazioni in cui le prime vittime sono proprio gli operatori sanitari. Come sindacato, da tempo lottiamo per risolvere questi problemi e ci piacerebbe avere al nostro fianco i cittadini, non contro. Se qualcosa non funziona dobbiamo lottare assieme per migliorare e ottenere più risorse, non prendersela con il primo che capita. Posto che la violenza non è mai giustificata, gli infermieri vivono quotidianamente le disfunzioni del sistema e lavorano con le paghe più basse d’Europa ma continuano a fare il loro dovere. Purtroppo, non vedo un movimento della cittadinanza per salvare il Servizio sanitario nazionale, che sta per essere smantellato anche attraverso la perdita di infermieri che in questo clima preferiscono cambiare lavoro, e questo mi preoccupa.
La fuga degli operatori sanitari dagli ospedali era iniziata già da qualche anno, soprattutto per motivi economici e condizioni di lavoro. Qual è lo scenario che si prospetta?
Lo scenario, a detta di tutti i centri studi, enti professionali, Corte dei Conti ed enti istituzionali, è drammatico. Non solo c’è una carenza di infermieri strutturale di 60 mila unità, ma l’andamento demografico e gli investimenti del PNRR ne richiederebbero ancor di più. La poca appetibilità della professione, mal pagata e con scarsa possibilità di carriera, con carichi di lavoro sempre più pesanti sia fisicamente che emotivamente, tiene lontano i giovani dai corsi di laurea in infermieristica. Inoltre stiamo assistendo, soprattutto al nord dove la carenza è maggiore, all’aumento delle dimissioni inattese. Lavoratori che lasciano il loro posto per fare altro. Accanto a questo scenario di abbandono e scarsità di risorse da reclutare, si deve fare i conti con un’età media superiore ai 47 anni. Da qui al 2027 si calcola che andrà in pensione circa l’8% degli infermieri (più di 22 mila unità). Come potrà reggere il sistema senza questi lavoratori?
L’ultimo Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del comparto Sanità ha previsto un nuovo sistema di classificazione professionale. A che punto siamo con l’attuazione di questo CCNL e delle numerose novità che esso contiene?
Il nostro contratto, firmato il 2 novembre 2022, prevede che il nuovo sistema di classificazione del personale e il sistema degli incarichi, mutuato dall’area dirigenziale, entri in vigore a partire dal 1° gennaio 2023. In alcune aziende, soprattutto nel sud Italia, stiamo osservando che la trasposizione automatica al nuovo sistema non è ancora avvenuta, del resto in qualche realtà non era stato nemmeno applicato il contratto del 2018. Questi ritardi, di fatto, pongono diversi problemi nell’esigibilità degli aumenti contrattuali e della valorizzazione degli incarichi con funzione organizzativa e professionale. Certamente questa situazione non giova a trattenere in servizio il personale ma spero che, entro breve, tutte le aziende si adeguino.
E sul fronte della contrattazione integrativa?
Il CCNL ha posto a carico della contrattazione aziendale diverse incombenze con molti regolamenti vigenti da rifare. Il lavoro nel 2023 per il sindacato sarà quindi notevole. Tuttavia, è necessario che prima di tutto le aziende forniscano la costituzione dei nuovi fondi con i relativi incrementi. Ciò che come sindacato auspichiamo è che la contrattazione aziendale realizzi veramente quella carriera professionale per gli infermieri che tanto aspettiamo e che è necessaria per trattenere nel sistema i professionisti. Anche le risorse dello 0,55% del monte salari sono state vincolate al sistema degli incarichi, pertanto ci aspettiamo veramente che nella contrattazione aziendale anche le altre organizzazioni sindacali si adoperino per realizzare il mandato stabilito dal CCNL. Dall’altra parte, come aspetto di criticità, la parte datoriale dovrà confrontarsi con le organizzazioni sindacali su un aspetto molto rilevante: i criteri generali della valutazione individuale. La valutazione del personale, con questo contratto, entra praticamente in tutti gli aspetti economici importanti: gli incarichi, i differenziali economici di professionalità, oltre alla produttività.
Un tema di cui si parla sempre più spesso, ultimamente, è quello della libera professione degli infermieri. Lei cosa ne pensa?
Anzitutto, chiariamo che la prima preoccupazione del sindacato è sempre quella di remunerare meglio il lavoro che già facciamo. La libera professione non deve essere la scusa per non aumentare i salari, questo è bene sottolinearlo. Oggi, con il decreto milleproroghe, è data la possibilità agli infermieri di lavorare 8 ore settimanali in libera professione, sospendendo fino al 31 dicembre 2023 le incompatibilità previste dall’articolo 53 del d.lgs. 165/2001. E’ una soluzione tampone per dare respiro alle case di riposo. Auspichiamo una revisione stabile dell’esclusività di rapporto in un’ottica di sistema e di pari dignità tra le professioni sanitarie.
M. P.
Clicca sull'immagine per aprire il file in formato PDF