Intervista a Rino Di Meglio, segretario generale della Confederazione Generale Sindacale e coordinatore nazionale della Federazione Gilda Unams.
A cura di Mara Passafiume.
È iniziato un nuovo anno scolastico e torniamo a fare i conti con le patologie croniche della scuola italiana.
La recente fotografia del Rapporto annuale dell’Ocse “Education at a glance 2023” – presentato il 12 settembre al Ministero dell’Istruzione e del Merito – mette sul tavolo alcune importanti problematiche, ancora irrisolte, del sistema di istruzione del nostro Paese.
Di questo e d’altro parliamo con Rino Di Meglio, segretario generale Cgs e coordinatore nazionale Fgu.
Segretario, il Rapporto dell’Ocse “Education at a glance 2023” ci dice anzitutto che, per quanto riguarda la spesa per l’istruzione, l’Italia spende poco e male, con notevoli squilibri tra i diversi livelli di istruzione.
Spendiamo praticamente un punto di Pil in meno rispetto alla media europea, si tratta di una cifra enorme che viene sottratta in Italia all’istruzione.
Abbiamo anche il più alto indice di abbandono scolastico, è un fenomeno drammatico che colpisce soprattutto il Sud del Paese. Sono dati che i Governi succedutisi conoscono benissimo, ma i loro interventi si fermano ad azioni ad effetto di tipo propagandistico, senza affrontare il cuore del problema.
Se gli investimenti fatti negli anni per l’edilizia scolastica sono rimasti privi di effetto, non dipenderà magari dal cattivo funzionamento proprio delle autonomie locali?
Gli stipendi dei docenti italiani restano bassi e sappiamo che a ciò si aggiunge la forte perdita in termini di potere d’acquisto dovuta all’inflazione. La Gilda sta portando avanti da molti anni questa battaglia affinché vi sia una rivalutazione della figura dell’insegnante, sia sul versante economico che sociale. A che punto siamo?
Quella delle retribuzioni sta diventando un’emergenza perché la perdita del potere di acquisto è molto pesante, ed è superiore al 4% di perdita del valore reale degli stipendi degli insegnanti di cui parla l’Ocse.
Il conto è presto fatto: negli ultimi due anni l’inflazione è stata del 19%, sottraiamo il 4% del contratto tardivo 2019/2021, il danno reale è attorno al meno 15%.
Lei ha recentemente sottolineato che la macchina del reclutamento degli insegnanti continua ad essere in affanno e che il caro-vita e il caro-casa contribuiscono a rendere più difficile la situazione. In quali aree del Paese si registrano maggiormente questi problemi?
Gli insegnanti non si spostano più perché il costo della vita nelle grandi aree urbane è diventato impossibile. Se l’affitto sfiora i mille euro, con i trecentocinquanta che restano l’insegnante paga le bollette e poi vive di aria.
Il Rapporto Ocse traccia un’immagine preoccupante anche in tema di abbandono scolastico: un giovane su cinque è senza diploma, ovvero il 22% contro il 14% della media Ocse. A cosa è da attribuire questo fenomeno nel nostro Paese?
Soprattutto alle differenze sociali. Basta guardare la distribuzione territoriale degli abbandoni.
Occorre rafforzare l’immagine della scuola quale ascensore sociale, non bastano le parole, bisogna intervenire con concretezza.
Sicuramente la politica che continua a scaricare sulla scuola continue educazioni indebolisce il prestigio dell’insegnamento e ne demolisce la funzione fondamentale.
Perché non si apre una riflessione sul rapporto tra istituzione dell’autonomia scolastica ed abbassamento della qualità dell’istruzione? È un dogma di fede o ne possiamo ragionare?
Per dirla con una metafora, è chiaro che non basta solo un buon medico per curare le malattie della nostra scuola. Secondo lei, cosa serve davvero per superare la maggior parte dei problemi cronici?
Meno fiori, ovvero propaganda, e più opere di bene, ovvero risorse economiche.
M.P.
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