La ingiusta disparità nei trattamenti di fine rapporto tra lavoratori pubblici e privati rappresenta una delle questioni che la FLP ha sollevato da tempo.
Come noto, a differenza del TFR che i lavoratori privati percepiscono al momento del collocamento in pensione, il TFS (Trattamento di fine Servizio), destinato specificatamente ai lavoratori pubblici, viene invece erogato in tempi molto più lunghi e, in base all’art. 3 della L. 79/97, con scadenze diverse in ragione della causa di cessazione del rapporto di lavoro:
- entro 105 giorni,in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso;
- dopo 12 mesidalla cessazione del rapporto di lavoro, per raggiungimento del limite di età oppure per risoluzione unilaterale del datore di lavoro per maturazione dei requisiti di pensione anticipata;
- dopo 24 mesidalla cessazione in tutti gli altri casi (dimissioni volontarie con o senza diritto a pensione, licenziamento/destituzione, ecc.).
Inoltre, i tempi di liquidazione del TFS sono diversi in relazione alla somma maturata da erogare:
- un’unica soluzione, se l’importo è pari o inferiore a 50mila euro;
- 2 rate annuali, se l’importo è compreso tra 50mila euro e inferiore 100mila euro;
- 3 rate annuali, se l’importo è pari o superiore a 100mila euro,
con possibilità da parte dei lavoratori pubblici di poter accedere all’anticipo finanziario del TFS, presso un Istituto di credito o intermediario finanziario che aderisce all’Accordo quadro sottoscritto dai Ministri PA, MEF e Lavoro e ABI (poi recepito con DM 19 08.2020), ma solo nei limiti dell’importo netto di 45mila euro.
Dunque, una incomprensibile disparità di trattamento dei lavoratori pubblici nei confronti di quelli del settore privato, che peraltro fa il paio con altre disparità esistenti nel raffronto TFR/TFS, come la possibilità per i privati di richiedere anticipatamente fino al 70% del TFR maturato per spese sanitarie, acquisto prima casa e spese in congedo, possibilità negata invece ai lavoratori pubblici.
Rispetto a questo quadro di situazione, interviene ora l’ordinanza del TAR Lazio n. 6223/2022, che apre uno scenario significativamente nuovo e alimenta prospettive che appaiono incoraggianti.
Il TAR si è pronunciato a fronte di un ricorso di un Dirigente della Polizia di Stato in pensione, che ha chiesto di vedersi riconosciuto il diritto a percepire il TFS senza dilazioni e senza rateizzazioni. Con detta ordinanza, il TAR Lazio ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità della dilazione nel pagamento del TFS ritenendo che “la previsione di un pagamento rateale comprima in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., non essendo sorretta dal carattere contingente, ma al contrario avendo carattere strutturale”.
Il dubbio di compatibilità al dettato costituzionale è stato alimentato dall’esame della stessa giurisprudenza costituzionale che, nel 2019, ritenendo infondate le eccezioni di illegittimità costituzionale circa le norme che consentono la corresponsione posticipata del TFS nel pubblico impiego, aveva anche lanciato una sollecitazione al legislatore, il quale, a dire della Corte, “non può esimersi … (dal) ridefinire una disciplina non priva di aspetti problematici, nell’àmbito di una organica revisione dell’intera materia, peraltro indicata come indifferibile nel recente dibattito parlamentare”.
Il punto nodale della questione, nuovamente rimessa alla Corte, è che la disciplina normativa ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro smarrendo “un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata” (Corte Cost, sentenza n. 159/2019). Mentre, come noto, l’art. 36 Cost. statuisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare e a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. Retribuzione che, prosegue il TAR Lazio, non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e deve essere, oltre che adeguata, anche tempestiva, in quanto “è infatti evidente che una retribuzione corrisposta con ampio ritardo ha per il lavoratore una utilità inferiore a quella corrisposta tempestivamente”.
Nel nostro ordinamento sono ammesse alcune deroghe all’applicazione meccanica dei principi costituzionali, ma solo a fronte di una situazione di crisi contingente e comunque entro un termine temporale certo. Termine che, per quanto attiene l’erogazione del TFS, è stato invece ulteriormente aggravato con la legge di Stabilità del 2014, mentre “la Corte ha più volte affermato il principio per il quale una misura quale quella in esame, per superare lo scrutinio di costituzionalità, non può riguardare un arco temporale indefinito e deve atteggiarsi quale misura una tantum (sentt. n. 178 del 2015 e n. 173 del 2016)”.
Conseguentemente, il TAR ha sospeso il giudizio e “disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulla rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del d.l. 79/1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, per contrasto con l’art. 36 Cost..”
Il che apre oggettivamente orizzonti nuovi e alimenta la fondata speranza che, in materia di trattamenti di fine rapporto, le norme tra pubblico e privato siano finalmente tra loro allineate e che anche i lavoratori pubblici possano percepire tutto il TFS maturato al momento del collocamento in pensione.
Giancarlo Pittelli
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