Gli insegnanti italiani sono i meno rispettati al mondo, o quasi. Stanno messi peggio solo i colleghi di Brasile e Israele. Ce lo dice la Varkey Foundation, prestigiosa fondazione che si occupa di standard educativi, che annualmente con il sondaggio Global Teacher Status analizza le condizioni degli insegnanti e l’atteggiamento nei loro confronti in quasi tutti i paesi del globo. Del resto, i segnali di conflitto nella scuola italiana emergono chiaramente dalle notizie di cronaca “scolastica” sempre meno rassicuranti. Il più recente riguarda la polemica scatenata in un liceo della Capitale per l’infelice rimprovero di una professoressa, “ma che sei sulla Salaria?”, rivolto a un’alunna che in classe si riprendeva in un video da postare su TikTok scoprendo parti del corpo come solitamente si fa in spiaggia. Apriti cielo! Da una parte la levata di scudi dei paladini della libertà a tutti i costi, dall’altra i nostalgici della ferrea disciplina che vigeva nelle aule scolastiche degli anni ’50. In entrambi i casi, considerazioni più vicine al tifo da stadio che ad analisi attente e minimamente circostanziate. Certo, la professoressa avrebbe potuto invitare la studentessa al decoro e alla compostezza, per non dire alla disciplina (che parolone!), in maniera diversa, ma nessuno ha messo in conto il modo colloquiale e confidenziale col quale si è rivolta alla giovane. A scuola non c’è uno scollamento così evidente tra alunni e insegnanti, come invece alcuni credono, e capita che il linguaggio si possa sovrapporre, che subisca influenze. È l’effetto delle interferenze linguistiche lessicali che in un ambiente condiviso come un’aula scolastica si può verificare e gli insegnanti possono subire. Se la nostra fosse una professione ancora rispettata, allora lo si capirebbe, ma i sondaggi sono impietosi e fotografano la realtà.
Cesario Oliva
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