Quella della reperibilità e della conseguente deroga al riposo consecutivo di 11 ore rimane l’ennesima stortura dell’orario di lavoro del personale sanitario, alla quale l’ultimo CCNL non ha saputo porre rimedio.
All’articolo 28 comma 10 il CCNL prevede che:
Il personale in pronta disponibilità chiamato in servizio, con conseguente
sospensione delle undici ore di riposo immediatamente successivo e consecutivo, deve recuperare immediatamente e consecutivamente dopo il servizio reso le ore mancanti per il completamento delle undici ore di riposo; nel caso in cui, per ragioni eccezionali, non sia possibile applicare la disciplina di cui al precedente periodo, quale misura di adeguata protezione, le ore di mancato riposo saranno fruite, in un’unica soluzione, nei successivi sette giorni, fino al completamento delle undici ore di riposo.
Il comma 10 riprende i principi stabiliti dal decreto legislativo 133/2008, secondo cui la chiamata in servizio durante la pronta disponibilità “sospende” il riposo e non lo “interrompe”. Questo vuol dire che al termine della prestazione lavorativa resa in regime di reperibilità, non si dovrà riconoscere un altro periodo completo di riposo, ma un numero di ore che, sommate a quelle fruite prima della chiamata, consentano il completamento delle undici ore di riposo complessivo previste dall’Ue, ma che in questa maniera non viene tutelato.
Le ore passate a casa in attesa di una chiamata e che limitano la libertà del lavoratore, che di fatto è a disposizione dell’azienda, non vengono conteggiate come lavoro.
Di tutt’altro avviso è la sentenza del 2018 della Corte Europea che stabilì che le ore di guardia che un lavoratore trascorre al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del suo datore di lavoro entro 8 minuti nel caso specifico rappresentano un obbligo che limita molto fortemente le possibilità di svolgere altre attività, per cui devono essere considerate come orario di lavoro.
Dott.ssa Marialuisa Asta
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