Il problema del precariato nella scuola è talmente endemico e cronicizzato che la percezione della sua gravità e della sua governabilità politica è crollata, anno dopo anno, fino a raggiungere un pericoloso livello di assuefazione e abitudine.
Nel corrente anno scolastico si è raggiunta la cifra record di 210mila precari, annunciata dal consueto coro mediatico che ha raggiunto, negli anni, un’imbarazzante soglia di ripetitività, tanto da indurre il sospetto che dietro l’inerzia del decisore politico non vi sia semplicemente incompetenza e mancanza di visione strategica, ma che il mantenimento dello status quo, ossia di un’ampia quota di personale docente precario nel sistema scolastico, sia un fondamentale strumento di promozione di quella scuola-azienda che è il vero male del sistema stesso.
La conservazione di una sovrappopolazione lavorativa fluttuante o, in altre parole, di un esercito di riserva di precari, infatti, è la condizione fondamentale per neutralizzare una scuola autocosciente e per garantire il congelamento degli stipendi al di sotto di soglie dignitose.
Tale fenomeno, in effetti, pare svilupparsi perfettamente in parallelo con quello della precarizzazione del personale.
Il Ministro Bianchi ha recentemente proposto di rinnovare, ad iniziare dal lessico, i termini del problema, invitando a non parlare più di reclutamento ma di assunzioni.
Se al rinnovamento lessicale potrà finalmente corrispondere una concreta azione politica assunzionale, il suo principale strumento dovrebbe essere, a parere di chi scrive, la riapertura delle graduatorie permanenti provinciali, alimentate da percorsi di abilitazione e specializzazione e direttamente legate ai territori.
Dall’esistenza di un serbatoio di docenti formati e qualificati e che abbiano già scelto, a monte, il loro luogo professionale ed esistenziale, trarrebbe vantaggio l’intero sistema nazionale dell’istruzione, che finalmente potrebbe affrontare con strumenti efficaci le gravi emergenze pedagogiche della dispersione scolastica e della qualità degli apprendimenti.
Gianfranco Meloni
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