
Lo scorso Governo tramite il Ministro Bianchi, aveva introdotto una grossa novità rispetto ad un nuovo sistema di reclutamento con la previsione di una netta distinzione tra abilitazione e assunzione a tempo indeterminato. Fino ad oggi infatti, chi avesse superato un concorso ordinario, anche se non rientrava nel contingente previsto per l’assunzione, poteva comunque considerarsi abilitato all’insegnamento; ora non è più così!
La nuova norma prevede infatti che per poter passare di ruolo occorra (prima o dopo a seconda che si abbia servizio o meno) anche abilitarsi mediante sistema di crediti formativi universitari (CFU) talmente farraginoso e complicato al punto che oggi decine di migliaia di docenti o aspiranti docenti sono totalmente disorientati riguardo al percorso che la norma prescrive per la loro condizione.
Il disorientamento e la rabbia crescono ulteriormente alla luce dell’elenco delle Università accreditate per l’attivazione; dall’elenco fornito dal Ministero dell’Università emerge infatti che la distribuzione dei percorsi è disomogenea al punto da costringere molti degli interessati a rinunciare ad iscriversi a questi corsi o a rivolgersi ad università lontane dalla loro residenza con tutti i disagi che comporterà la frequenza ad un corso che prevede l’obbligo della formazione in presenza.
Ciliegina sulla torta: questi corsi sono a pagamento con una quota di iscrizione superiore a 2 mila€. In altre parole si deve pagare per poter lavorare!
Ricordando che questi percorsi abilitanti sono dedicati soltanto ai docenti della scuola secondaria, le categorie interessate da cui partire per poter distinguere tra le varie biforcazioni dei percorsi da seguire in funzione della propria posizione di partenza sono essenzialmente 3.
1) Quelli che hanno superato il concorso PNRR1 risultando vincitori
2) Quelli che non sono abilitati in nessuna classe di concorso e non sono vincitori del concorso PNRR1
3) Quelli che possiedono un’abilitazione qualsiasi o sono specializzati sul sostegno
I primi hanno, secondo la norma vigente, diritto a partecipare ad una procedura abilitante da 30 o 36 CFU a seconda che abbiano almeno 3 anni di servizio, negli ultimi 5¸di servizio in una scuola statale di cui almeno 1 sulla classe di concorso specifica, o siano in possesso di 24 CFU acquisiti entro il 31 ottobre 2022.
Questi colleghi devono abilitarsi entro il mese di agosto altrimenti rischiano di vanificare il superamento della prova concorsuale del PNRR1.
Il problema è che l’offerta formativa emersa dalla pubblicazione dell’elenco delle università accreditate presenta grosse lacune per varie classi di concorso che sono state attivate solo in alcune regioni.
In teoria toccherebbe agli USR regionali coordinare le operazioni di smistamento garantendo, solo per i vincitori di concorso, la possibilità di frequentare on line gran parte delle lezioni effettuate in convenzione con un’istituzione universitaria fuori regione, in pratica però siamo in piena anarchia con colleghi disperati che si iscrivono al buio a qualche corso senza avere nessuna certezza sul proprio futuro.
Per chi invece non fosse rientrato nel contingente del concorso PNRR1, non esiste nessun accesso garantito ai percorsi abilitanti, ma occorre individuare un’università accreditata per la propria classe di concorso e presentare domanda in attesa della pubblicazione di una graduatoria per soli titoli che consentirà l’inserimento nel percorso abilitante. Il percorso standard è di 60 CFU ridotti a 3 per coloro che hanno i soliti 3 anni di servizio richiesti.
L’ultima categoria riguarda coloro che sono già in possesso di una qualsivoglia altra abilitazione o specializzazione su sostegno. Per loro non sussiste nessun vincolo né di accesso né di frequenza in presenza, il che si traduce in un business dalle dimensioni enormi su cui si sono fiondate specialmente le università telematiche che, in tempi rapidissimi, hanno garantito l’abilitazione a tutti coloro che, pagando mediamente 2 mila €, si sono rivolti a loro.
Risulta evidente che questo sistema così congegnato non può funzionare perché l’impostazione che se ne desume è quella di aver creato artificialmente un mercato della formazione con un giro di affari di centinaia di migliaia di euro l’anno con i docenti considerati alla stregua di un bancomat da cui attingere ingenti ricavi.
Gli effetti negativi sono ancor più evidenti alla luce della netta separazione tra il MIM che è il destinatario dei docenti formati e il MUR che gestisce i percorsi formativi in piena autonomia senza necessariamente tener conto della reale esigenza territoriale e, spesso, senza garantire una formazione di qualità attinente alle necessità della scuola di oggi.
Molto meglio sarebbe riportare tutto in seno al MIM.
Senza voler apparire nostalgici, ma sarebbe molto meglio tornare al passato con l’introduzione di un doppio canale di reclutamento che preveda da un lato l’ingresso per vincitori di concorso e dall’altro per quei docenti idonei di un precedente concorso o che avessero conseguito un’abilitazione con un percorso più lineare e meno astruso rispetto a quello dei 30,36 o 60 CFU.
Antonio Antonazzo
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