Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha rilasciato un’intervista a Libero in cui ha parlato di scuola e di studenti immigrati. Le sue parole sono state bersaglio di molte critiche da parte dell’opposizione. Ecco il contenuto dell’intervista.
Alunni stranieri, la riflessione di Valditara
“C’è un problema di integrazione che riguarda gli immigrati di prima generazione. C’è un problema perché l’attuale sistema scolastico penalizza gli studenti stranieri. Sia per quanto riguarda le performance sia per quanto riguarda la dispersione scolastica che secondo l’Istat raggiungerebbe tassi del 30,1%, per i giovani immigrati contro il 9,8% degli studenti italiani. Guardiamo anche ai test Invalsi 2023: in italiano gli immigrati di prima generazione registrano una differenza di rendimento in negativo del 21,9%. In matematica del 13,4%. Su queste materie dobbiamo intervenire”, ha detto Valditara.
Ecco a quali soluzioni starebbe pensando: “Dobbiamo capire cosa si fa all’estero per trovare delle soluzioni efficaci. Nei paesi dell’Unione Europea esistono tre modelli: in alcune nazioni gli stranieri vengono inseriti direttamente nelle classi ordinarie, in altre gli studenti provenienti dall’estero seguono per un certo periodo un’offerta scolastica distinta (‘classi di accoglienza’ o ‘di transizione’). In molti Paesi infine viene utilizzato un approccio combinato tale per cui gli alunni seguono alcune lezioni nella classe ordinaria e altre nell’ambito di un’offerta separata. L’Italia è nel primo gruppo, assieme a Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Germania e Francia hanno un sistema misto-flessibile, cioè si frequenta solo una parte delle lezioni nelle classi ordinarie. Poi ci sono Paesi più rigidi”.
“Ogni scuola dovrebbe verificare all’atto di iscrizione le competenze dei ragazzi immigrati. Dopodiché dovremmo lasciare alle scuole la scelta fra tre percorsi. La prima possibilità ovviamente è quella dell’inserimento tout court nelle classi esistenti, se il tasso di apprendimento della lingua italiana è buono. Se invece ci sono dei deficit molto rilevanti dovremmo pensare a due soluzioni alternative. Il ragazzo straniero viene inserito come tutti in una determinata classe, tuttavia le lezioni di italiano ed eventualmente anche quelle di matematica le frequenta in una classe di accompagnamento con docenti specializzati e una didattica potenziata. L’altra ipotesi potrebbe prevedere di seguire al pomeriggio attività obbligatorie di potenziamento linguistico extracurricolare. Ovviamente prima di introdurre queste soluzioni occorre avviare un confronto ampio, tenendo sempre presente che per noi l’autonomia scolastica è un punto fermo”, questa la sua idea.
“Stiamo ragionando sull’organico necessario. Gli uffici sono già al lavoro per delineare alcune ipotesi. Intanto ci sono risorse nostre per 85 milioni di euro e risorse del ministero dell’Interno dal fondo Fami (Fondo asilo migrazione integrazione, ndr) che gestiamo noie sono altri 70 milioni di euro. Questa può essere una base di partenza per studiare un progetto realmente inclusivo. Noi vogliamo realizzare una vera integrazione. L’attuale modello scolastico dà una apparente inclusione e non fornisce a questi ragazzi la possibilità di avere un successo formativo. Con i tassi attuali di dispersione scolastica molti di questi giovani non hanno le basi per inserirsi nella nostra società e trovare un lavoro.
L’attuale situazione danneggia inoltre anche gli studenti italiani che vedono rallentato il loro programma formativo dovendo aspettare i tempi di apprendimento di chi non ha alcuna conoscenza della lingua italiana. Dobbiamo decidere se far prevalere l’ideologia o soluzioni realistiche. Occorre evitare il più possibile le classi ghetto, l’attuazione dei tetti per classe è stata scarsamente applicata anche per disfunzioni organizzative e per la mancanza degli accordi territoriali per la distribuzione delle iscrizioni fra le varie scuole. Ho chiesto agli uffici di lavorarci”, ha aggiunto.
“Un buon esempio viene da alcuni Länder tedeschi, che hanno introdotto incentivi perchè i genitori frequentino di pomeriggio corsi di lingua nella stessa scuola dove studia il ragazzo. Il rischio è infatti che lo studente una volta a casa torni a parlare la sua lingua originaria disimparando quanto appreso a scuola. La nostra concezione di scuola, penso per esempio a quanto abbiamo fatto con il decreto Caivano, segue una ricetta molto articolata: prevenzione, inclusione e sanzione, dove le regole non vengano rispettate. Per noi è importante il principio di responsabilità: diritti e doveri. Una società con soli diritti non va da nessuna parte”, ha concluso il capo del dicastero di Viale Trastevere.
Movimento 5Stelle: verso i ghetti a scuola?
“In Italia esiste un problema di inclusione e di dispersione che riguarda in gran parte gli studenti stranieri, ma la separazione vagheggiata da Valditara rischia di creare danni maggiori di quelli già esistenti. Valditara parla di test di ingresso, ma non si capisce esattamente a quale platea si rivolgerebbe questa misura. Ma soprattutto: non crede Valditara che riservare lezioni separate a gruppi di studenti possa portare a ‘ghetti’ in ciascuna scuola, con la conseguenza di ostacolare l’apprendimento informale della lingua italiana, che chi conosce la scuola sa essere importante tanto quanto l’apprendimento formale perché produce integrazione reciproca? E ancora: se un alunno non raggiunge il livello di competenza richiesto che fine fa? Resta in classe separata all’infinito? E infine: che risorse intenderebbe stanziare il ministro per promuovere ed incrementare l’inclusione? Perché non parla di aumentare già adesso i fondi su questo fronte, soprattutto per gli istituti che si trovano in zone a forte immigrazione? Ecco: il limite tra la propaganda e un approccio serio a questioni così importanti è sempre lo stesso: i soldi. E Valditara da quando ha messo piede a Viale Trastevere si è distinto solo per misure a costo zero, tagli e definanziamenti. Tra propaganda e serietà Valditara milita costantemente nel primo campo”, questo il commento dei capigruppo M5S in commissione cultura alla Camera e al Senato Antonio Caso e Luca Pirondini.
Il caso delle famiglie che hanno fatto cambiare la classe dei figli per allontanarli dagli stranieri
Qualche mese fa abbiamo parlato del caso delle quattro famiglie che hanno chiesto alla scuola, un istituto di Bari, il cambio classe per i loro figli per evitare che stessero a contatto con alunni “stranieri”. Il dirigente scolastico li ha invitati a cambiare scuola.
Il preside aveva rilasciato alcune dichiarazioni a Fanpage.it, ribadendo la sua convinzione: “Non mi interessa ricordarlo, per me nessun bambino è straniero. Ci sono troppi muri ancora da abbattere”, ha detto. “Sono convinto che i sentimenti vadano educati. Ho provato a farli ragionare, a spiegare loro che siamo tutti discendenti da emigranti e che essere stranieri non è una malattia”.
“Bisogna educare ogni giorno il proprio cuore all’altro. Se questo non avviene, ci si trova a dialogare con anime povere e questo, purtroppo, influenza i bambini. Per me nessun alunno è straniero, è una parola che a scuola non esiste”, ha aggiunto.
Ed ecco un aspetto preoccupante: “Nella mia carriera ho incontrato anche famiglie inspiegabilmente preoccupate per la presenza di bambini disabili in classe. Quando mi chiedono quanti bambini disabili ci siano nelle classi, io rispondo sempre: ‘Nessuno. Forse l’unico sono io’”.