Scritto il 20 novembre 2017 alle 08:40 da
Nella trattativa sulle pensioni nessuno vuole la responsabilità di rompere la trattativa per cui gli incontri definitivi sono seguiti da altri incontri definitivi. Infatti sabato 18 scorso doveva essere l’ultimo, ma è stato rinviato a martedì prossimo 21, cioè domani, sperando che nel frattempo il governo metta nel carniere qualche altra cosa e i sindacati, il cui fronte comincia a mostrare delle crepe, rinunciano a qualcos’altro.
Nell’incontro di sabato Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha portato al tavolo due nuove proposte che si aggiungono al pacchetto pensioni già presentato. La prima – come hanno riferito un po’ tutti i mass media – riguarda l’estensione delle esenzioni dall’aumento di cinque mesi delle categorie definite gravose anche alle pensioni di anzianità (oltre alle pensioni di vecchiaia). Finora il governo aveva escluso dall’aumento dell’età pensionabile, 15 categorie lavorative. Con la nuova proposta, sempre per quanto riguarda le medesime categorie, si estende la salvaguardia anche per i lavoratori che vanno in pensione per anzianità contributiva.
Per andare in pensione in anticipo rispetto all’età di vecchiaia (l’ex pensione di anzianità contributiva) dal 2019 saranno infatti necessari ordinariamente 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne. Questo lo scatto conseguente all’adeguamento dell’aspettativa di vita, aumentata di 5 mesi. Al momento per l’uscita anticipata verso la pensione ci vogliono 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne. La nuova proposta del governo allarga lo stop già proposto per le 15 categorie di lavori gravosi, per i quali è stata prospettata l’esenzione dall’aumento (sempre di cinque mesi) dell’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni dal 2019 (oggi a 66 anni e 7 mesi).
La seconda proposta è l’istituzione di un fondo per i potenziali risparmi di spesa con l’obiettivo di consentire la proroga e la messa a regime dell’Ape sociale.
Dal punto di vista degli impegni assunti dal governo nel settembre 2016 rispetto alla fase due, le distanze paiono evidenti. Troppo ristretta anche con la proposta fatta oggi, la platea dei beneficiari delle agevolazioni sull’aumento dell’età per la pensione.
Oltre che sulle donne per le quali ha proposto una riduzione dell’età pensionabile in ragione dei figli fino a un massimo di due anni, non c’è niente sui giovani. E’ importante pensare anche alla pensione dei giovani. Essa era stata annunciata con grandi squilli di tromba ( la famosa pensione minima di garanzia) ma sembra già finita nel dimenticatoio. Il sindacato non può dimenticarsene se non vuole apparire solo, come si tenta di farlo, il sindacato degli anziani o dei tutelati.
Poi in merito al numero degli esentati dall’innalzamento dei requisiti per la pensione, continuiamo a parlare di una platea molto ridotta e le novità presentate sabato non cambiano il numero e le dimensioni, neppure 10.000 sarebbero quelli interessati. Poco più del 2%, secondo stime sindacali di coloro che annualmente vanno in pensione.
Per quanto riguarda le misure inerenti la previdenza complementare qualche spiraglio ci sarebbe e vedremo se l’impegno sarà mantenuto. Si parla infatti di procedere ( finalmente) all’equiparazione fiscale per i dipendenti pubblici e silenzio/assenso per le nuove e future assunzioni nel pubblico impiego. Effettuando la relativa analisi dei costi nel prossimo triennio, alla luce di un tasso di adesione alla previdenza complementare nel settore pubblico pari al 6,4% e con una stima di crescita, effettuata dal Governo al tavolo di confronto, pari all’1,4% annuo, che ci farà arrivare in dieci anni a un tasso di
adesione pari al 20%.
E’ stato mantenuto, come prestazioni pensionistiche, i medesimi valori per i tre anni (2018-2019-2020), pur sapendo che l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne a partire dal 1 gennaio 2018 (66 anni e 7 mesi) e l’ulteriore aumento di 5 mesi a partire dal 2019, sia sulla pensione di vecchiaia che su quella anticipata, determineranno una rilevante diminuzione delle uscite rispetto a quelle avvenute nel
2016 per pensionamento (da fonte Inps: 70.391 pensioni liquidate nel 2016 per vecchiaia e anticipata).
Il costo annuo, per minori entrate Irpef per lo Stato, sarà pari a 3.833.574 euro,
che sul triennio ammonterà a 11.500.722 euro. I costi aggiuntivi a carico dello Stato (1% di versamento della retribuzione lorda) sarà 705.600 euro nel 2018,
1.420.920 euro nel 2019 e 2.146.320 euro nel 2020, per un totale di costi a carico dello Stato nel triennio di 4.272.840 euro. Costo peraltro già contrattualizzato e quindi non aggiuntivo rispetto alla proposta.
Clicca sull'immagine per aprire il file in formato PDFSulle pensioni uno spiraglio per la complementare dei dipendenti pubblici