Parla Alessandro Vergallo, presidente degli anestesisti: “Siamo lontani dai fantomatici 10mila letti in rianimazione. Dalla politica risposte parziali e tardive”
di Paola Alagia
La variante Omicron galoppa. Ieri è stato sfondato il tetto di 2 milioni di positivi. Un ritmo di contagio tale da far dire alla fondazione Gimbe che lunedì prossimo potremmo averne 3 milioni e, in proiezione, circa 24mila pazienti ricoverati in area medica e 1900 in terapia intensiva. Torna insomma lo spauracchio degli ospedali in sofferenza. Più che uno spauracchio un dato di fatto, a sentire Alessandro Vergallo. Il presidente nazionale dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi-Emac), intervistato da Nursind Sanità, insiste sulla necessità di “considerare il livello reale di saturazione ospedaliera”: “Lo abbiamo sostenuto sin dall’inizio, l’indice più affidabile per calcolare l’andamento pandemico è il numero dei ricoveri e in particolare di quelli in terapia intensiva”.
Presidente, qual è la sua preoccupazione principale in questo momento?
Più che una preoccupazione ormai è un dato di fatto. Seppure l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva sia minore rispetto alle scorse ondate, il trend è in crescita, come stiamo osservando, e purtroppo già incide sull’attività extra Covid, a cominciare da quello che ci riguarda più da vicino e cioè gli interventi chirurgici.
Tutto ciò che non è Covid torna in secondo piano.
Già da quasi un mese alcuni ospedali, che cominciano a diventare la maggior parte, stanno fattivamente riducendo l’attività operatoria, salvo i casi urgenti o la salvaguardia dei soggetti fragili. C’è un trend in rapida ascesa.
Sa quantificarlo?
Al momento stimiamo, a grosse spanne, una riduzione effettiva dell’attività chirurgica potenzialmente in grado di essere erogata pari almeno al 20% per i soli interventi che necessitano di ricovero post-operatorio in rianimazione, a cui si aggiunge una riduzione ancora più alta per gli interventi che non lo richiedono, per un taglio complessivo dell’attività chirurgica stimabile ad oggi in almeno il 50%. Senza considerare che per effetto della sommatoria dei ritardi accumulati in questi due anni raggiunge valori anche superiori. Questo quadro è dovuto al fatto che l’occupazione di posti letto ordinari, raffrontata in percentuale con l’occupazione di quelli in rianimazione, è più alta rispetto a quanto registrato nelle ondate precedenti, rallentando le cure per le patologie extra Covid, indipendentemente dal tasso di occupazione delle terapie intensive.
A proposito di dotazione di posti in terapia intensiva, ci sono ancora sei Regioni sotto la soglia minima. I dati Agenas parlano di 9.086 letti disponibili nel complesso.
Si tratta di soglie che risentono di un conteggio con cui non concordiamo.
Per quale motivo?
Il metodo di calcolo continua ad annoverare tra i posti letto anche quelli cosiddetti attivabili piuttosto che trasformabili. Ma c’è un altro aspetto ancora più critico: il numero totale è una sommatoria, mentre le percentuali di occupazione andrebbero calcolate tenendo separati i conteggi dei posti letto occupati nelle rianimazioni Covid e non Covid. Non abbiamo un dato ufficiale al riguardo, ma dalle nostre ricognizioni stimiamo che il grado di sofferenza di queste ultime sia addirittura più alto.
Sul fronte del personale, invece, avete risolto il problema?
Non l’abbiamo affatto risolto. Nonostante gli interventi di reclutamento. E siamo in sofferenza anche sulla componente infermieristica. Si tratta di professionisti, sia i medici e sia gli infermieri, che inoltre hanno accumulato un numero esagerato di ferie non smaltite e di lavoro straordinario. Su tale fronte, inoltre, non abbiamo avuto a livello normativo la proroga dell’incentivazione per il lavoro extra. Ma c’è dell’altro.
Continui.
La carenza di personale sta portando a una recrudescenza di un altro fenomeno che riguarda ancora una volta sia il personale medico che infermieristico: forme di appalto di forza lavoro affidato a cooperative e agenzie di servizi, che significa lavoro fuori dai rispettivi Ccnl. Un fatto gravissimo anche perché tali soluzioni adottate in situazioni d’emergenza poi finiscono per diventare normalità. Di ciò dobbiamo ringraziare i vari Governi succedutisi nel tempo che hanno di volta in volta favorito queste modalità di reclutamento di personale negli ospedali pubblici, che sarebbe ora di dismettere.
I ricoveri in intensiva stanno aumentando. Secondo lei si è partiti tardi con la terza dose ed è tardivo pure l’obbligo vaccinale per gli over 50?
La risposta è affermativa sia riguardo i provvedimenti di obbligo vaccinale, tra l’altro edulcorati da sanzioni simboliche, e sia riguardo la somministrazione delle dosi booster. In più abbiamo un ingolfamento del sistema di testing e di tracing che si poteva e doveva evitare. Gran parte dei tamponi, infatti, sono eseguiti o per sopperire a una mancata vaccinazione o per autoprescrizione, a prescindere da una reale necessità. Noi stimiamo che almeno il 50-60 per cento dei tamponi sia sprecata e, appunto, vada a ingolfare non solo Asl e ospedali, ma addirittura le farmacie.
Tra l’altro, c’è da dire anche che la variante sudafricana sfugge un po’ di più al tracciamento. A proposito quanti sono i ricoverati per Omicron e quanti per Delta?
Non abbiamo questo dato perché il sequenziamento non viene eseguito in modo sufficientemente esteso.
Esclusa questa informazione, qual è l’identikit del paziente in terapia intensiva?
Guardando alla gravità della malattia, il quadro clinico dei pazienti ricoverati in rianimazione per Covid è rimasto sempre lo stesso. La differenza è tra le due popolazioni di vaccinati e non vaccinati. Per i primi le caratteristiche più comuni sono sostanzialmente età avanzata e comorbidità. Tra i non vaccinati, invece, c’è sicuramente un abbassamento dell’età anagrafica, con un significativo aumento di casi in età più giovane anche laddove non ci sono patologie concomitanti.
Vale anche per la fascia pediatrica?
Sì. In questo caso incide molto la minore percentuale di vaccinati. Comunque, rispetto all’epoca pre-Omicron, stanno aumentando i ricoveri pediatrici in terapia intensiva.
In attesa di raggiungere il nuovo picco, cosa chiedono gli anestesisti e rianimatori alle istituzioni?
Tutto quello che abbiamo chiesto alle Regioni, al Governo e in generale alla politica è stato applicato in maniera tardiva e parziale, anche nell’ultimo provvedimento, che vedrà i suoi primi effetti significativi solo tra due o tre settimane. Ciò che chiediamo in generale è costanza nel mantenimento delle misure di contenimento sociale e di protezione individuale. Non si può continuare ad abbassare la guardia appena si verifica un calo di contagi, perché in tal modo si pongono le basi per nuove ondate, nonostante l’efficacia dei vaccini pur nella eventualità di sempre più frequenti richiami rispetto a ciò che inizialmente si poteva immaginare.
E in particolare cosa chiedete?
Di considerare gli indici di saturazione ospedaliera a livello reale, i posti letto e il personale concretamente disponibili. Sempre ribadendo il concetto che la moltiplicazione dei posti letto di terapia Intensiva non è mai stata e non è la soluzione per contenere la pandemia, i fantomatici circa 10mila posti in intensiva – che si dice esistano in Italia – non ci sono assolutamente. Al massimo, ancora ad oggi possiamo stimarne 6mila. Se poi vogliamo continuare a conteggiare pure i cosiddetti posti trasformabili, allora la stima diventa piuttosto fantasiosa ed avrà, come accaduto nei mesi precedenti, l’unico risultato di abbassare le soglie di occupazione, ritardando l’allarme e i dovuti provvedimenti che ne conseguono.
FONTE: NURSIND SANITA’ (LINK: https://www.nursindsanita.it/2022/01/11/stime-fantasiose-sui-posti-in-intensiva-cosi-si-ritarda-la-risposta-al-virus/)
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