Il Governo “del cambiamento” non ha mantenuto le sue promesse elettorali in termini di rifinanziamento del Ssn. Ma se la mancanza di Fondi adeguati continua ad essere un problema, per i ricercatori la questione ha radici più profonde e sta in alcune errate convinzioni che continuano a condurre a scelte sbagliate. Su questi misunderstandings cerca di fare luce il Rapporto. Che in merito ai rapporti tra Regioni evidenzia: “L’importanza di continuare ad avere un SSN coeso, e con un forte meccanismo redistributivo, è dimostrata non tanto dall’efficienza del sistema, quanto dalla riduzione delle sperequazioni che di fatto realizza”. L’EXECUTIVE SUMMARY e I DATI IN SINTESI
17 GEN – “L’anno è trascorso fra le celebrazioni di rito per il 40° compleanno del SSN” ma “rimane la sensazione che la Sanità continui a rimanere fuori dalle priorità dei Governi che, intanto, si succedono alla guida del Paese. Questa percezione assume concretezza con la conferma del finanziamento già previsto per il SSN: una scelta che non dà seguito alle promesse elettorali di un (ri) finanziamento della Sanità pubblica e non determina alcuna soluzione di continuità con il passato. Il segnale che la Sanità non sia una priorità è evidente”. Esordiscono così Federico Spandonaro e Barbara Polistena nell’introdurre il° Rapporto Crea Sanità, il Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità dell’Università di Tor Vergata, che sarà ufficialmente presentato a Roma il 23 gennaio prossimo.
E in questo contesto crescono, intanto, le difficoltà degli italiani a curarsi. L’equità resta un problema irrisolto e il gradiente geografico è chiaro. Il 17,6% delle famiglie residenti (4,5 milioni) ha dichiarato di aver cercato di limitare le spese sanitarie per motivi economici (100.000 in più rispetto al 2015), e di queste 1,1 milioni le hanno annullate del tutto. Il Mezzogiorno è la ripartizione geografica più colpita (5,6% delle famiglie), seguita dal Centro (5,1%), dal Nord-Ovest (3,0%) e dal Nord-Est (2,8%). Il disagio economico per le spese sanitarie, combinazione di impoverimento per consumi sanitari e “nuove” rinunce per motivi economici, è sofferto dal 5,5% delle famiglie, ed è significativamente superiore nel Sud del Paese (7,9% delle famiglie).
L’incidenza del fenomeno di impoverimento per spese sanitarie si è paradossalmente ridotto ma questo, chiariscono i ricercatori, è avvenuto “per effetto della riduzione della spesa pro-capite media effettiva delle famiglie associata all’aumento dei consumi totali”.
Ma il problema, per i ricercatori del Crea, non si esaurisce nella necessità di finanziare con maggiori risorse il Ssn, che intanto vede crescere il gap con l’Ue per quanto concerne la spesa pubblica (il divario è passato dal 35,2% del 2016 al 36,8 del 2017). Secondo i ricercatori del Crea Sanità occorre “fare pulizia di vari misunderstandings, che rischiano di portare a decisioni scorrette per difetti di impostazione dei ragionamenti” e di affossare ancora di più il nostro Ssn.
LA SANITA’ COME ENZIMA DI SVILUPPO DEL PAESE
Il primo di questi misunderstanding sta nel non considerare il settore sanitario un enzima di sviluppo. “Il tema della Sanità è sempre accoppiato a quello del diritto alla Salute: connubio certamente condivisibile, ma pensare che la questione della Sanità sia solo una questione di diritti di cittadinanza è del tutto miope”, scrivono Spandonaro e Polistena nell’Executive Summary. Per i due ricercatori, infatti, “si trascura così l’evidenza che dimostra come, invece, la Sanità sia (fra l’altro) anche un ganglio fondamentale della economia del Paese”. L’errore sta dunque nel “continuare a pensare che la Politica sanitaria si esaurisca con la sola “gamba” delle politiche assistenziali, dimenticando quella delle politiche industriali”.
Un altro misunderstanding starebbe nel fatto che l’esistenza di “sprechi” non significa automaticamente che essi siano eliminabili nel breve periodo, e quindi che ci sia la possibilità di liberare risorse significative. Così come pensare che a fronte di un buon esito in termini di efficacia (esiti) e di efficienza, non ci sia motivo (“almeno urgente”) di intervento.
IL PROBLEMA DELL’EQUITA’ TRA NORD E SUD DEL PAESE
Per il Crea Sanità è un misunderstanding, “a cui non sono immuni le celebrazioni del quarantennale del SSN”, anche che “ci possa essere Universalismo senza Equità”, evidenziano i ricercatori osservando come “da questo punto di vista, dobbiamo confermare che in Italia il primo, e purtroppo persistente e inossidabile, motivo di iniquità, rimane il divario tra Settentrione e Meridione. Divario che arriva a coinvolgere l’aspettativa di vita, con oltre un anno di svantaggio per le Regioni del Mezzogiorno, che diventano poi 3 per quella a 65 anni; prosegue per la cronicità e la disabilità, malgrado quelle del Sud siano Regioni con una popolazione mediamente più giovane, per le quali (in fase di finanziamento) si presuppone un minor assorbimento di risorse”.
E non sarebbe tutta colpa dell’inefficienza dei Ssr meridionali. “I dati letti in un’altra prospettiva ci dicono che le aspettative di vita nelle Regioni Meridionali sono, però, incomparabilmente migliori di quanto ci si potrebbe aspettare sulla base del loro livello di Sviluppo economico: Grecia e Portogallo, ad esempio, pur con un PIL pro-capite paragonabile a quello del nostro meridione, “performano” peggio di tutte le Regioni italiane, Campania esclusa; e quest’ultima, comunque, performa molto meglio di tutti i Paesi dell’EU-Post 1995. Questo risultato è reso possibile dal meccanismo redistributivo che è alla base del SSN il quale permette alle Regioni più povere di avere una spesa sanitaria molto maggiore rispetto a quella degli altri Paesi citati”.
Per Spandonaro e Polistena, dunque, “l’importanza di continuare ad avere un SSN coeso, e con un forte meccanismo redistributivo, è dimostrata non tanto dall’efficienza del sistema, quanto dalla riduzione delle sperequazioni che di fatto realizza”. Tutto ciò considerato, per i ricercatori del Crea Sanità, “in un contesto di tutela universalistica della salute, è un buon motivo per rivedere livelli e logiche di finanziamento”.
Ma va anche ripensata l’idea di “dare tutto a tutti”. Per Spandonaro e Polistena questo “non tanto per ragioni di Sostenibilità economica, quanto per ragioni di natura etica: non tutta l’innovazione (indipendentemente dalla sua definizione), può essere automaticamente considerata meritoria e come tale messa a carico della solidarietà collettiva”.
LISTE D’ATTESA, E SE NON FOSSE UN PROBLEMA?
E le liste d’attesa? “Non c’è dubbio che siano la maggiore fonte di insoddisfazione da parte dei cittadini”, ma per i ricercatori del Crea Sanità “è dubitabile” che “siano un indicatore di iniquità o, peggio, di rischio per i pazienti”. Si tratterebbe, questo, dell’ennesimo misunderstanding. “I dati sui tempi di attesa – evidenziano infatti Spandonaro e Polistena – sono lunghi e anche abbastanza omogenei a livello nazionale: ma si tratta di rilevazioni effettuate sulle prestazioni prescritte come “non urgenti”; e, infatti, malgrado i tempi lunghi, che ci siano “danni” per la salute non è affatto dimostrato: ricordiamo, ancora una volta, che abbiamo esiti ottimi in confronto agli altri Paesi, e che non si conosce, ad oggi, relazione dimostrata, ad esempio, fra tempi di attesa ed esiti regionali”.
“Certamente, casi di ritardi anche nelle prestazioni urgenti saranno presenti; ma questi casi, a conoscenza di chi scrive, non sono rilevati, e quindi è impossibile dire se si tratti di un fenomeno rilevante o episodico”, spiegano i due ricercatori nell’executive summary del Rapporto.
Per Spandonaro e Polistena non si configurerebbe neppure un problema di iniquità, “nella misura in cui i tempi, pur lunghi, lo siano in egual modo per tutti: in termini equitativi conta solo garantire una gestione corretta delle agende”.
Per Spandonaro e Polistena, dunque, “abbandonando un inutile conformismo, va detto che il problema delle liste di attesa risiede nel fatto che esse vengono percepite dai cittadini come inefficienze del sistema, mentre sono, in buona misura, una difesa messa in atto dal sistema per evitare la proliferazione di prestazioni che, in quanto non urgenti, sono anche a maggior rischio di inappropriatezza”. E a chi osserva che “se le prestazioni sono inappropriate, non dovrebbero proprio essere prescritte”, i ricercatori rispondono: “A parte la complessità crescente del rapporto medico-paziente, per cui la prescrizione non è più un atto unilaterale, rimane il fatto che questa visione appare semplicistica perché sconta una visione deterministica delle decisioni; e questo determinismo in Sanità semplicemente non esiste: non a caso si è scritto “a maggior rischio di” inappropriatezza”.
TICKET, UN FINANZIAMENTO DI SECONDA ISTANZA IMPROPRIO E INIQUO
Analogamente, per i ricercatori del Crea Sanità, chiarezza va fatta sul dibattito ricorrente sulle compartecipazioni. “Quel che appare certo è che le compartecipazioni sono “ingegnerizzate” molto male: i ticket in cifra fissa sulle ricette, per di più non esenti, sono la causa primaria di impoverimento. Le compartecipazioni sulle prestazioni specialistiche hanno messo, in più di qualche caso, fuori mercato il SSN. Sul piano dei principi, il co-payment dovrebbe servire a mitigare i rischi di moral hazard ma ormai ha assunto un ruolo di mero finanziamento di seconda istanza, del tutto improprio e iniquo: sia perché configura una “tassa sulla malattia”, sia perché l’incidenza è di fatto più alta nelle Regioni a minor reddito; Regioni dove oltre tutto è maggiore la quota di cittadini esenti, così che quelli che non lo sono, in larga parte del ceto medio, restano obbligati ad un eccesso di ‘solidarietà’”.
CARENZA DI PROFESSIONISTI, IL PROBLEMA NON E’ IL NUMERO CHIUSO
L’analisi del Crea Sanità prosegue su un tema che quest’anno ha ricevuto forte attenzione: la carenza di professionisti sanitari. “Che l’eziologia del problema sia una carenza di programmazione appare evidente: i dati erano disponibili e anche noti. Allo stesso tempo, sarebbe difficile illudersi che la soluzione sia semplicemente quella di rimuovere barriere all’entrata, in primis nell’accesso ai corsi universitari. Il rischio è quello di voler sanare una ‘non programmazione’, cadendo in una ulteriore ‘non programmazione’”, evidenziano Spandonaro e Polistena. Premesso ciò, per i ricercatori “va razionalizzato che il vero problema non è il numero chiuso, quanto la carente programmazione dei fabbisogni e, in prospettiva, il rischio di una scarsa appetibilità dell’occupazione in Italia”.
FARMACI E INDUSTRIE DEL FARMACO
Infine il tema del rapporto fra Sostenibilità e Sviluppo economico, che in qualche modo chiude il cerchio, riportandoci al tema del rapporto fra politiche assistenziali e politiche industriali. “Un esempio paradigmatico del trade-off fra Sostenibilità e Innovazione” è per i ricercatori quello del settore farmaceutico, attualmente alla ricerca di una nuova governance: “Sebbene i problemi siano numerosi, in sostanza il problema si è scatenato a seguito del contenzioso generatosi sui pay-back: il misunderstanding sta nel rischio di pensare che la nuova governance possa basarsi su una banale revisione degli algoritmi di calcolo del pay-back, finalizzata a ridurre i motivi di contesa. Che l’algoritmo si possa semplificare, e anche migliorare, è certo: che la sua revisione possa essere risolutiva è, invece, largamente dubitabile. Piuttosto, è necessaria una visione olistica del problema e, questo, richiede una analisi approfondita delle ragioni che incentivano il contenzioso”.
Quanto all’ammontare della spesa farmaceutica, “sebbene i confronti di spesa con gli altri Paesi siano molto difficili, a causa delle diverse poste rilevate, considerando che l’Italia è fra i pochi Paesi che rileva tutta la spesa, si può affermare con ragionevole certezza che la spesa italiana è significativamente inferiore a quella media EU, e questo in primo luogo grazie ad un prezzo medio delle molecole inferiore” la cui negoziazione, spiegano i ricercatori, “è, peraltro, stata resa possibile dal sistema degli sconti (più o meno) opachi, che hanno permesso di mantenere il prezzo ‘ufficiale’ ad un livello ritenuto accettabile dalle imprese, ottenendo un ribasso da applicarsi ‘ex post’: in altri termini, l’elemento vincente è stato quello di negoziare sconti applicati dopo il consumo, garantendo così le imprese dal rischio di fenomeni di commercio parallelo. Anche il pay-back, derivante dallo sforamento del tetto della ospedaliera, ha questa natura, e configura un ulteriore sconto, che va a sommarsi ai precedenti. Quel che con tutta probabilità ha messo in crisi il sistema, è stata la rapida crescita dello sforamento, che ha portato lo sconto a livelli ritenuti non più “accettabili” da parte delle imprese (oltre ad avere generato non banali complicazioni di gestione dei bilanci). Una diversa allocazione dei pay-back, quindi, sembra che non possa essere risolutiva, a meno che non comporti anche una riduzione dell’ammontare complessivo del ripiano”.
Per Spandonaro e Polistena, quindi, “il tema della governance non può che essere declinato insieme a quello del tetto di spesa e anche a quello delle politiche industriali”.
Lucia Conti
http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=70036
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