di Vittorio Lodolo D’Oria
Tra le testimonianze più interessanti che mi sono pervenute c’è quella di Flavia che ha saputo descrivere puntualmente uno dei tanti casi di burnout nella scuola. Sono molti gli spunti offerti dalla vicenda che vede protagonista questa insegnante ancora piuttosto giovane.
Flavia comincia la sua carriera professionale fortemente motivata ma, dopo pochi anni di lavoro, si trova vittima di quella usura psicofisica che non si aspettava. Infarcita di stereotipi sulla categoria come tutta l’opinione pubblica (di cui – è bene ricordarlo – fanno parte gli stessi insegnanti) non si sarebbe mai immaginata di finire stremata in così poco tempo. Proverò pertanto a commentare la lettera lungo il suo svolgersi per cogliere istantaneamente i molti spunti offerti.
Gentile dottore,
le scrivo per comunicarle una mia sofferenza che mi ha preso quest’anno. Sono stata docente di lettere in una scuola di periferia per 10 anni, dove l’emergenza con l’inclusione di casi impegnativi e gravi mi ha lentamente, anno dopo anno, logorato. Stanca e demotivata, credendo di trovare una situazione migliore, ho fatto domanda di trasferimento in una scuola del centro. All’inizio ero contenta di aver ottenuto il trasferimento, ma quando ho realizzato il carico di lavoro che mi attendeva, avendo perso tutti i miei punti di riferimento della mia vecchia scuola, con mia grande sorpresa, ho avuto un pesante crollo emotivo in estate: un primo episodio depressivo che mi ha molto spaventato, tanto da ricorrere agli ansiolitici e agli antidepressivi.
Il malessere cresce subdolamente nel corso del tempo e poiché siamo tutti vittima degli stereotipi sul lavoro degli insegnanti, trascuriamo l’usura psicofisica fino a quando la stessa non diviene sintomatica (stanchezza, demotivazione, depressione fino a necessitare di apposita farmacoterapia etc). Il trasferimento in altra sede è poi totalmente illusorio perché il malessere del lavoratore è interiore e seguirà la persona presso la sua nuova destinazione. Inoltre il nuovo ambiente è sconosciuto e privo di riferimenti e ripari come ammette la stessa docente.
Tale malessere però perdura ancora, a distanza di mesi, soprattutto la constatazione di non aver cambiato granché in questa scelta mi ha fatto sprofondare in un’altra crisi. Ai cari, collaborativi colleghi ho sostituito altri individualisti e inesistenti, poco capaci di lavorare in team; all’utenza di emarginati e stranieri e ai numerosi casi di disagio, ho sostituito invece una clientela di adolescenti della borghesia bene, talvolta arroganti, viziati e generalmente ipocriti, poco inclini ad accettare senza polemiche il voto.
Non vedo un futuro roseo per noi docenti nei prossimi anni, lo stesso buon rapporto che mi legava alla classe nei miei primi dieci anni di insegnamento ora non lo trovo più, o è sempre più raro. Ci sono mattine che non provo alcun stimolo ad andare a scuola… Spesso accade che un preside accoglie con più favore una lamentela di un genitore piuttosto che difendere il nostro operato.
Nella nuova sede di lavoro sono totalmente da ricostruire le relazioni con l’utenza, i colleghi e il dirigente ma le energie sono esaurite, senza tenere conto che anche gli altri docenti potrebbero essere anch’essi più o meno stremati. Ecco che tutti diventano “nemici” quasi per incanto: il dirigente compiacente coi genitori, gli alunni borghesi e arroganti, i colleghi individualisti e inesistenti. Stiamo invece assistendo al modificarsi del quadro clinico della docente: l’usura psicofisica diventa depressione, intervengono l’isolamento, il ritiro sociale, fino ad arrivare magari più avanti al delirio persecutorio che porta a concludere che “tutti ce l’hanno con me”, pur di non ammettere che è il soggetto stesso a essere cambiato. I problemi evidenziati da Flavia sono certamente veri ma sono sempre esistiti, mentre lei ha cambiato il modo di viverli perché, senza più forze, li percepisce come soverchianti.
Con una classe quest’anno faccio molta fatica: un bad boy ha capito la mia vulnerabilità e mi ha reso difficile ogni lezione. Sono esausta, senza energie, la sensazione di essere svuotata, di essere arrivata ad un capolinea. Non ho più nulla da dare a questi adolescenti. Il mio umore è spesso sotto le scarpe, sento un macigno al cuore, la notte mi scendono le lacrime, non volevo ma è stato necessario provvedere a iniziare una cura farmacologica. Le giuro, per me è la prima volta a 46 anni. Non reggo più i ritmi e i carichi di lavoro, le ansie, le preoccupazioni che ci sono sempre dentro una classe. Non parliamo del rapporto con i genitori, talvolta sono prevaricanti, quasi sempre sulle difensive, pochissimi sono quei genitori che collaborano con noi docenti per realizzare un’alleanza in un consapevole percorso formativo che coinvolga i loro figli. Nel mio primo incontro con lo psichiatra mi è stato garantito che da questo stadio di depressione si esce. Non sono sola, pare. Intanto la mia concentrazione, le mie facoltà intellettive si sono notevolmente ridotte. Preparare una lezione è ancora fattibile, ma a correggere tutti quei pacchi non riesco più. É un immane sforzo che mi porta via il quadruplo o il quintuplo del tempo che prima impiegavo. Un incubo riuscire poi a valutarli. Questo logoramento è una patologia correlata allo stress della mia professione?
- La sintomatologia importante ha richiesto l’inizio di una farmacoterapia antidepressiva che viene percepita come umiliante per il doppio stereotipo con cui oggi si vorrebbe colpevolizzare l’insegnante (pazzo oltreché fannullone). Ecco che Flavia si sente in obbligo di giurarmi che è la prima volta in 46 anni. Per fortuna lo psichiatra la tranquillizza dicendole che è in buona compagnia con altri colleghi e colleghe. Qui vale la pena ricordare che nel 1979 uno studio a Milano dimostrava che il 30% degli insegnanti faceva uso di psicofarmaci: figurarsi oggi con l’avvento del Prozac (anni ’80) e i prescrittori più che decuplicati (specialisti più medici di base). Da sola tuttavia la farmacoterapia non basta. Si deve comprendere perché la professione docente è usurante, quali sono i segni prodromici del disagio, quali strategie di adattamento sono positive e quali negative, infine quali sono le tutele giuridiche medico-legali offerte al lavoratore con tanto di diritti e doveri contrattuali.
- Un piccolo ma istruttivo accenno lo merita anche l’età di Flavia che afferma di avere 46 anni ed è in fase depressiva in farmacoterapia. Si avvicina lentamente il fenomeno fisiologico della menopausa in cui la suscettibilità alla patologia depressiva è quintuplicata rispetto alla fase fertile. Tale periodo deve essere strettamente monitorato in modo congiunto da psichiatra e ginecologo che potrebbero valutare l’opportunità di una Terapia Ormonale Sostitutiva per evitare l’aggravamento della depressione per la menopausa.
Vorrei trovare una soluzione a questo mio disagio. Eppure sono partita così entusiasta della mia professione quando avevo vent’anni, ora provo tanta amarezza. Probabilmente ho bisogno tanto di staccare dalla scuola per curarmi. Il medico mi ha dato due settimane di malattia. In questi giorni sto persino pensando a richiedere un congedo: i tempi restrittivi del controllo fiscale non favoriscono la mia ripresa. Avrei bisogno di muovermi, di attraversare un bosco, di stare fuori all’aria aperta; chiudermi in casa in attesa della visita fiscale non mi aiuta a superare certamente questa mia fase ansioso depressiva. Come se ne esce? La ringrazio per l’ascolto.
L’entusiasmo e la motivazione iniziali non sono sufficienti per venirne fuori incolumi, tanto più per l’allontanarsi della pensione a seguito di riforme operate senza considerare età anagrafica e malattie professionali. Conoscere la propria professione, le manifestazioni del malessere e le relative tutele per la salute sono pertanto argomento del corso online studiato appositamente per rendere edotti gli insegnanti sulle loro patologie professionali (il programma è sempre richiedibile scrivendo al seguente indirizzo email: dolovitto@gmail.com). PS: tra i vari suggerimenti del corso anche il modo con cui è possibile non dover sottostare alle visite fiscali durante l’orario di servizio quando la diagnosi di malattia è psichiatrica.
Clicca sull'immagine per aprire il file in formato PDF“Sono vittima di usura psicofisica a causa degli stereotipi sui docenti”