Il decalogo del ministero dà indicazioni sull’uso del telefono in classe, un’esperta di educazione e tecnologie ci ha spiegato quali sono le sfide da affrontare e i problemi da risolvere
«Il punto non è smartphone a scuola sì o no, che è una discussione sterile, da bar, ma a chi, come e quando va fatto usare uno smartphone in ambito scolastico. E vale per tutte le tecnologie». Maria Ranieri insegna tecnologie per l’educazione all’Università di Firenze ed è vicepresidente dell’associazione italiana di educazione ai media e alla comunicazione, anche dai gruppi di studio di cui fa parte sono arrivati gli input che hanno portato alla nascita del decalogo (i punti sono nella gallery in alto) per l’uso dei dispositivi mobili a scuola pubblicato dal Ministero dell’Istruzione.
Il termine che apre i dieci punti del documento voluto dal Miur è inglese: BYOD – Bring your own device, porta il tuo dispositivo personale, tema digitale già visto in molte aziende. La parola importante è personale. «Anche un computer è personal, concepito per un uso personale – spiega la professoressa – ma uno smartphone è iper-personal».
Uno smartphone ce l’hanno quasi tutti in tasca ed è vivere con una benda sugli occhi il pensare che a scuola non entrino i telefonini. Ci sono già ampiamente e il problema è come farli usare in modo corretto, anche se non sono entrati dalla porta principale, cioè messi a disposizione dalla scuola, come pc e lavagne interattive. Il decalogo del Ministero, più che un guardare avanti, è un mettere paletti su una realtà che esiste già e un voler superare la circolare del 2007 che ne vietava l’uso. Anche se in Francia stanno facendo l’esatto contrario, cioè impongono il divieto a scuola
Cosa dice il decalogo? Che è sempre il docente a decidere quando usare lo smartphone. Negli altri momenti deve essere tenuto spento. Il difficile sta qui, visto che da un’indagine di Skuola Net viene fuori che quasi la metà dei ragazzi, il 45%, lo usa in classi per scopi personali: dalla chat alla ricerca sul web.
La distinzione da fare è tra personale (sullo smartphone ci sono tracce di vita personale, le foto solo per fare un esempio) e formale, come dovrebbe essere l’istituzione scolastica. «Entra in gioco la questione della privacy – dice Maria Ranieri -. Il telefono a scuola non la deve violare. Entra in gioco la questione del digital divide. Una scuola può avere una connettività migliore di altre e ci possono essere dispositivi più performanti di altri. I cardini devono essere sicurezza ed equità di accesso. È il livello che deve affrontare la struttura scolastica».