Dal 2015, quando sono stati introdotti i Rav, le commissioni ispettive hanno visitato 600 scuole su oltre 11mila. E non c’è l’obbligo di correggere quanto scritto in caso di discrepanza con i giudizi indipendenti. Dall’ultima rilevazione risulta che la maggioranza dei presidi e comitati interni si è auto-promossa in tutti i settori
Quasi sempre indulgenti, a volte fasulle, quando va male addirittura classiste: la questione delle autovalutazioni delle scuole italiane è esplosa con il caso del Visconti, il liceo romano che al pari di altri istituti ha fornito sul proprio sito internet una presentazione dai toni discriminatori. Ma dietro quest’episodio (non unico ma comunque isolato) c’è un fenomeno più diffuso: la totale inattendibilità di questi rapporti. Il cosiddetto Rav(Rapporto di autovalutazione) sarebbe infatti anche uno strumento utile per scuole e famiglie, se non fosse che nessuno va a verificare cosa presidi e comitati interni ci scrivono dentro. Dal 2015 ad oggi, appena il 5% degli istituti del Paese sono stati visitati dalle commissioni ispettive, nominate proprio per controllare la veridicità dei rapporti. E quando le verifiche hanno rilevato che la realtà era un po’ diversa da quella raccontata, i dossier non sono stati nemmeno corretti.
LE DESCRIZIONI RAZZISTE – C’è chi si vanta della “prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti”, sottolineando che “la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza”, come fa il Liceo classico Falconieri di Roma. Chi bolla “poveri e disagiati” come un “problema didattico”, come il Doria di Genova, o chi addirittura rimarca l’assenza di “ragazzi diversamente abili”, quasi fossero un peso. Le frasi, riportate dalle cronache nell’ultima settimana con tanto di reprimenda pubblica della ministra Valeria Fedeli, sono tutte contenute nell’ormai famigerato Rav: si tratta del “Rapporto di autovalutazione”, che dal 2015 ogni scuola è obbligata a compilare e pubblicare sul proprio sito internet. E che evidentemente nessuno in tutto questo tempo era mai andato a controllare.
IL SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONE – Anche se viene associata alla riforma Renzi, la valutazione delle scuole attraverso il Sistema nazionale (Snv) è un’invenzione dell’ex ministro Francesco Profumo e del governo Monti e risale al 2011. Prevede che ogni istituto abbia un organismo interno che deve fornire giudizi su didattica, risultati (scrutini e Invalsi), composizione interna e tutta una serie di altre voci: da queste informazioni, viene fuori un rapporto di autovalutazione che ormai da tre anni è presente online e consultabile da chiunque. Il sistema non è ancora a regime: nel 2016 sono cominciate le visite degli ispettori, che forniscono un punto di vista “esterno” e aiutano le scuole a predisporre delle azioni di miglioramento. A partire dal 2018/2019 (dal prossimo anno, dunque) si arriverà alla “rendicontazione sociale”: dei veri e propri bilanci, in cui gli istituti dovranno dare conto di quanto fatto nel corso del triennio, dei traguardi raggiunti o di quelli mancati. L’obiettivo è fornire un affresco su tutta la scuola italiana, che aiuti l’amministrazione a migliorare e le famiglie a scegliere l’istituto più adatto ai propri figli.
NIENTE CONTROLLI – Il proposito di trasparenza, però, è caduto nel vuoto per un semplice motivo: nessuno controlla i rapporti. Quando nel 2015 sono stati stilati la maggior parte dei Rav (da allora vengono solo aggiornati periodicamente), appena il 7% delle scuole ha scelto di inserire nei nuclei di valutazione dei componenti esterni. Il Miur, non avendo risorse né strumenti necessari, sul momento si è limitato ad assicurarsi che la compilazione dei questionari avvenisse in maniera coerente. Una verifica di metodo e non di merito, che ha dato comunque risultati inquietanti: il 20% dei rapporti non aveva né capo né coda.
VERIFICHE SOLO SUL 5% DELLE SCUOLE – Il controllo avrebbe dovuto avvenire in un momento successivo, quello della valutazione esterna partita nel 2016, con dei nuclei indipendenti mandati per tre giorni negli istituti per toccare con mano quanto letto nei Rav. Anche qui, però, le risorse sono insufficienti: nel 2017 gli ispettori erano 98 in tutto il Paese, per un totale di 220 visite. Da quando il sistema esiste, sono state controllate appena 600 scuole su oltre 11mila: il 5% circa del totale, per di più senza nemmeno l’obbligo di correggere quanto scritto nei Rav in caso di discrepanza con i giudizi indipendenti; le osservazioni dei nuclei esterni sono confluite in altri documenti non pubblicati. Tutti gli altri istituti sono stati lasciati liberi di auto valutarsi, in totale autonomia e senza riscontri. E questi sono i risultati.
GIUDIZI POMPATI E BRUTTE SORPRESE – Quello che è successo è sotto gli occhi di tutti. Com’era prevedibile, presidi e professori si sono comportati come un qualsiasi studente che sa che nessuno controllerà i suoi compiti: in alcuni casi hanno scopiazzato, in altri si sono dati voti fin troppo generosi. Dall’ultima rilevazione di fine 2016 risulta che la maggioranza degli istituti si è auto-promossa in tutti i settori, dai risultati scolastici (67%) alle pratiche di inclusione (73%) per fare alcuni esempi. Come se la scuola italiana fosse tutta rose e fiori. L’unica eccezione è per i risultati nelle prove Invalsi, dove la percentuale di successo precipita al 37% (ma lì i dati sono oggettivi e non si può bluffare). E sempre per la stessa ragione, in alcuni Rav sono saltate fuori brutte sorprese: come appunto le presentazioni classiste che tanto scandalo hanno dato negli ultimi giorni. Per evitare la figuraccia, sarebbe bastato dare una lettura al documento prima di caricarlo sul sito. Chissà se da oggi qualcuno comincerà a farlo.
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