Rinnovo dei contratti pubblici: il Governo stanzia 900 milioni
Nel fervore dei lavori per la definizione della legge di bilancio 2017, un capitolo importante è quello che riguarda il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, fermi, come ben noto, dal 2008.
di CHIARA D’ANGELO Pubblicato il
Con la legge di stabilità 2016 il Governo aveva messo sul piatto 300 milioni di euro, da subito ritenuti assolutamente insufficienti dalle parti sociali, poiché si sarebbero tradotti, mediamente, in una decina scarsa di euro per ogni dipendente.
Nelle settimane scorse i sindacati avevano rincalzato il Governo, fornendo le stime del fabbisogno per ridare dignità al lavoro dei dipendenti pubblici: 7 miliardi di euro. Una cifra enorme, e obiettivamente impossibile da raggiungere di questi tempi. Da parte del Presidente del Consiglio Matteo Renzi era arrivata un’apertura, verso quella che è definita come un’ ”ingiustizia da sanare” quanto prima, come peraltro sancito anche dalla Corte Costituzionale nell’estate del 2015.
Dai corridoi di palazzo trapela la notizia che per il rinnovo dei contratti le risorse potrebbero essere lievitate a 900 milioni di euro, 600 in più rispetto a quanto già stanziato con la legge di stabilità 2016.
Di fronte a questa cifra il fronte sindacale si divide, con la CGIL che taglia corto sostenendo che non si tratta di uno stanziamento adeguato e, se dovesse essere confermato, saranno possibili azioni di protesta. La CISL è più tiepida, ritenendo la mossa del Governo un primo passo, pur ammettendo che non si tratta di un intervento risolutivo e che, per poter sortire qualche effetto concreto sulle e buste paga dei dipendenti pubblici, avrà bisogno di una robusta iniezione di risorse da parte delle Regioni, che già ad oggi dovranno contribuire per circa 600 milioni.
Alle amministrazioni locali quindi dovrebbe essere richiesto uno sforzo in più, e non di poco conto, considerando che i loro dipendenti sono 600 mila e 600 mila sono i dipendenti della Sanità. Un milione e 200 mila lavoratori del cui rinnovo contrattuale, sostanzialmente, dovrebbero farsi carico le Regioni e le autonomie locali. Un’operazione che potrebbe portare, in prima battuta, nelle tasche dei dipendenti pubblici circa 50 euro lordi mensili; non grandi cifre, se si considera che molti di loro beneficiano del bonus di 80 euro e che il requisito di reddito in questo caso potrebbe decadere.
Cifre alla mano, quando saranno definite, la palla passerà ai tavoli negoziali, dove l’Aran si confronterà con i sindacati sulla base dell’atto di indirizzo atteso a giorni da parte del Ministro Madìa e dove, oltre al risvolto economico, si dovranno risolvere altri nodi strategici, come l’articolazione dei livelli di contrattazione per i nuovi quattro comparti in cui è stato suddiviso il pubblico impiego (funzioni centrali, funzioni locali, sanità e scuola).
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