Il rapporto Osservasalute dell’Osservatorio nazionale sulla salute evidenzia un divario tra regioni settentrionali e meridionali, dove il tasso di decessi per cancro e altre malattie croniche è maggiore alla media nazionale di una percentuale che va dal 5 al 28%
In Italia si muore meno per tumori e malattie croniche, ma solo dove la prevenzione funziona, ovvero principalmente nelle regioni settentrionali. Al Sud, invece, la situazione è opposta: il tasso di mortalità per queste malattie è maggiore di una percentuale che va dal 5 al 28% rispetto alla media nazionale, e la Campania è la regione con i numeri peggiori. Sono questi alcuni dati che emergono dal Rapporto Osservasalute, relativo al 2017, dell’Osservatorio nazionale sulla salute, presentato all’Università Cattolica di Roma. Nel documento, oltre a evidenziare la discrepanza tra Nord e Sud del Paese, evidente anche nel livello di spesa pro capite da destinare alla sanità, viene lanciato l’allarme per il fatto che, nel 2028, avremo oltre 6 milioni di anziani non autosufficienti.
Mortalità precoce, grave la situazione della Campania
Secondo Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla salute delle regioni italiane, il dato considerato “è quello della mortalità precoce, dai 30 ai 69 anni, per varie patologie come tumori, diabete e malattie croniche e cardiovascolari: tale mortalità è diminuita negli ultimi anni ma maggiormente al Nord, dove maggiori e più efficaci risultano i progetti di prevenzione”. I dati relativi al meridione, invece, sono di segno opposto: “La situazione più grave è in Campania dove – afferma Solipaca – si registra un +28% di mortalità per tali malattie rispetto alla media nazionale del 2,3%. In Sicilia la mortalità è del +10%, in Sardegna è del +7% e in Calabria è del +4,7%. Eccezione è la Puglia dove, invece, il tasso di mortalità è nella media nazionale”. Dunque, rileva il Rapporto, “laddove la prevenzione funziona, la salute degli italiani è più al sicuro, con meno morti per tumori e malattie croniche come il diabete e l’ipertensione: diminuiti del 20% in 12 anni i tassi di mortalità precoce per queste cause”.
I tumori e la prevenzione
Si conferma dunque il “profondo divario fra Nord e Meridione” e “paradigmatica è la sopravvivenza per tumori: nel Centro-Nord la sopravvivenza è largamente omogenea per tutte le sedi tumorali esaminate, indicando una sostanziale equivalenza non solo dei trattamenti, ma anche delle strategie di diagnosi, mentre al Sud e Isole risulta generalmente inferiore alla media”. Per quanto riguarda i tumori oggetto di programmi di screening, gli effetti dell’introduzione di misure efficaci di prevenzione secondaria sono visibili nelle aree del Paese dove si è iniziato prima e dove la copertura è ottimale. Una minor copertura di popolazione e una ritardata implementazione degli screening, avverte il Rapporto, “sono fattori da considerare per spiegare le diverse performance osservate nel Paese”: ad esempio nella PA autonoma di Trento lo screening preventivo per il tumore del colon retto raggiunge una copertura del 72% della popolazione, mentre in Puglia la copertura degli screening preventivi per questo tumore arriva appena al 13%. Le regioni con la mortalità precoce più bassa sono state l’Umbria (204,7 per 10.000), l’Emilia-Romagna (205,8 per 10.000) e il Veneto (206,9 per 10.000).
Sud: uno su cinque non ha soldi per cure
Dal rapporto Osservasalute emerge un altro dato significativo: nel sud Italia una persona su cinque dichiara di non avere soldi per pagarsi le cure, quattro volte la percentuale osservata nelle regioni settentrionali. Gli esiti, “in particolare la mortalità prevenibile attraverso adeguati interventi di Sanità Pubblica sono drammaticamente più elevati al Sud. La Campania, e in particolare la Calabria, sono le regioni che nel quadro complessivo mostrano il profilo peggiore”. Si evidenziano dunque, avverte l’indagine, “situazioni di buona copertura dei sistemi sanitari nelle regioni del Centro-Nord, mentre per il Meridione appare urgente un forte intervento in grado di evitare discriminazioni sul piano dell’accesso alle cure e dell’efficienza del sistema”.
Al Nord aumenta spesa per salute da parte dei cittadini
Il Rapporto evidenzia che la spesa da parte dei cittadini per la salute, negli ultimi anni, è aumentata, mediamente, di circa l’8,3% (2012-2016), ma in maniera disuguale nel Paese. L’aumento è stato elevato nelle regioni del Nord, al Centro i valori sono rimasti costanti mentre sono diminuiti nelle regioni meridionali. Nel decennio 2005-2015 “si è osservato un netto incremento della spesa privata (+23,2%, da 477,3 euro pro capite a 588,1), soprattutto nelle regioni settentrionali. Tali regioni si contraddistinguono per alti livelli di spesa pubblica pro capite, buoni livelli di erogazione dei Livelli essenziali di assistenza e quote basse di persone che rinunciano alle cure”. Tale evidenza può essere interpretata, sottolinea Solipaca, “come il risultato di scelte individuali di cittadini che, avendo la possibilità economica, preferiscono rivolgersi al settore privato, ottenendo un servizio più tempestivo o di migliore qualità. D’altra parte non va dimenticato che spesso la compartecipazione alla spesa richiesta dal settore pubblico è confrontabile con la tariffa del privato”. Si osserva che a guidare la classifica delle regioni con la spesa privata pro capite più alta troviamo la Lombardia (608 euro), l’Emilia-Romagna (581 euro) e il Friuli Venezia Giulia (551 euro), che vantano anche strutture sanitarie pubbliche con standard qualitativi più elevati rispetto alle altre regioni. Calabria (274 euro), Campania (263 euro) e Sicilia (245 euro) chiudono la graduatoria. Confrontando la situazione italiana con il contesto europeo, l’Italia è tredicesima in termini di quota di spesa a carico del cittadino e settima con la quota più alta di persone che dichiarano di aver rinunciato a una prestazione sanitaria di cui avevano bisogno, quasi il doppio della media dell’Ue.
Nel 2028 6,3 milioni anziani non autosufficienti
Inoltre, in soli 10 anni si registrerà in Italia una popolazione anziana non autosufficiente pari a 6,3 milioni di persone. Nel 2028, gli over 65 e le persone non in grado di svolgere le attività quotidiane per la cura di se stessi saranno circa 1,6 milioni (100 mila in più rispetto a oggi), mentre quelle con problemi di autonomia (preparare i pasti, gestire le medicine e le attività domestiche) arriveranno a 4,7 mln (+700 mila). Ciò, avverte il Rapporto, porrà “seri problemi per l’assistenza”. Il trend, si legge, è delineato “considerando l’andamento demografico di invecchiamento e gli attuali tassi di disabilità, ma i dati potrebbero rappresentare una sottostima del problema”. “Ci troveremo di fronte a seri problemi per garantire un’adeguata assistenza agli anziani – avverte Solipaca – in particolare quelli con limitazioni funzionali (che non sono autonomi), perché la rete degli aiuti familiari si va assottigliando a causa della bassissima natalità che affligge il nostro Paese da anni e della precarietà dell’attuale mondo del lavoro che non offre tutele ai familiari caregiver”. Più in generale, l’indagine segnala come diminuisca il numero degli abitanti in Italia, con oltre 1 italiano su 5 che ha più di 65 anni: attualmente sono 6,6 milioni i 65-74enni (10,9% con un picco del 12,7% in Liguria), 4,8 milioni i 75-84enni, 2 milioni gli over 84 (con le donne che rappresentano la maggioranza, ovvero il 68%). Continuano invece a calare gli ultracentenari: al gennaio 2017, meno di 3 residenti su 10mila hanno 100 anni e oltre e le donne sono le più numerose. Attualmente, ben il 30,3% degli ultrasessantacinquenni ha molta difficoltà o non è in grado di usare il telefono, prendere le medicine e gestire le risorse economiche, preparare i pasti, fare la spesa e svolgere attività domestiche, leggere, svolgere occasionalmente attività domestiche pesanti. Tali prevalenze si attestano al 13% nella classe di età 65-74 anni, al 38% per gli anziani tra i 75-84 anni e al 69,8% tra gli ultra ottantacinquenni.