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GLI ESPERTI RISPONDONO

Manca un dibattito sullo smart working perché l’Italia ancora non ne ha capito i benefici

Il lavoro agile è già scomparso dai piani del governo anche se le statistiche suggerirebbero di adottarlo in diverse forme. Il Paese rischia di sprecare una grande opportunità di modernizzare il proprio sistema produttivo

C’è un tema su cui la mancanza totale di una discussione, tanto a livello politico quanto culturale, rischia di far perdere all’Italia una grande occasione per innovare il suo sistema produttivo, rendendolo più attrattivo e competitivo: il lavoro agile.

In questo modo, la faglia è destinata ad allargarsi. Sviluppare nuovi modelli significa aumentare la produttività (con effetti sui salari), e in questo il lavoro agile ha dimostrato di poter svolgere un ruolo. Già in pandemia, l’Istat ha calcolato l’aumento della produttività in 1,3 punti percentuali in media a livello nazionale (contro lo 0,5 annuale), mentre l’ufficio studi di Variazioni, realtà specializzata nelle trasformazioni dei luoghi di lavoro, ha stimato che il sessantasei per cento delle aziende ha visto aumentare la produttività negli ultimi tre anni grazie al ricordo al lavoro da remoto, che ha inciso anche sulla diminuzione delle assenze.

Non siamo di fronte a un semplice cambiamento del luogo fisico di lavoro: il lavoro agile, o smart working, non serve solo a risparmiare il tragitto casa-ufficio o a far fronte a situazioni emergenziali, ma è un ripensamento globale delle modalità lavorative, tanto sul fronte organizzativo quanto valutativo. Il solo home office, sperimentato durante la pandemia, non basta a creare un vero cambiamento se non inserito in una cornice più ampia di flessibilità e revisione dei processi.

Vi sono poi una serie di effetti positivi indiretti, come il minor costo per le imprese (dato dalla riorganizzazione e in molti casi riduzione degli spazi) e un minor impatto ambientale. Enea, ad esempio, ha stimato la riduzione del quaranta per cento di emissioni e  ottantacinque Megajoule di benzina in meno, pro capite, all’anno in uno scenario di lavoro agile generalizzato.

Al di là della data del 30 giugno, dunque, il tema è strategico per il futuro del Paese e del suo sistema produttivo. L’assenza di un dibattito sul tema, così come la mancanza nella maggioranza di una discussione sull’aggiornamento della normativa in materia e su come favorire la diffusione del lavoro agile, tradisce da parte del governo una totale incomprensione della questione.

Un’incomprensione che fa perdere al Paese produttività e competitività, esponendolo inoltre ancora di più (anche a causa dei salari medi) alla concorrenza estera, soprattutto in un futuro in cui un’armonizzazione fiscale a livello Ue dovesse permettere di vivere stabilmente in uno Stato membro lavorando per un’azienda con sede in un altro.

Sul lavoro agile si gioca una partita decisiva per il futuro del tessuto produttivo italiano. La scelta, oggi, non è se permettere un cambiamento che si verificherà in ogni caso, ma semplicemente se governarlo o subirlo. E stiamo scegliendo la seconda opzione, sprecando un’occasione di innovazione che, negli anni, scaverà un solco tra aziende moderne e aziende ferme al passato, esponendo ancora di più il Paese a un corporativismo che, nei decenni, ha disinnescato il potenziale di ogni vero cambiamento strutturale.

Di Luigi Daniele

FONTE: LINKIESTA
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