L’Italia è fra le nazioni in cui si va prima in pensione. Un po’ di dati
L’Italia è fra le nazioni in cui si va prima in pensione. Un po’ di dati
Politici e sindacalisti chiedono di ridurre l’età di pensionamento, ma gli anziani sono il gruppo più protetto dalla crisi
Fra chi chiede di allentare le maglie, e chi chiede almeno di lasciare le cose come sono, si torna a parlare di pensione. Secondo quanto scrive Il Post, infatti, “l’Istat ha confermato che per gli italiani che hanno 65 anni l’aspettativa di vita è cresciuta di cinque mesi rispetto al 2013. La principale conseguenze di questa stima è che dal primo gennaio 2019 l’età di pensione legale, cioè l’età a cui si andrà in pensione se non saranno soddisfatti prima altri requisiti, salirà a 67 anni rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi. Salirà anche l’età prevista per la pensione anticipata, quella che si può ottenere a qualsiasi età a condizione di aver versato un certo numero di anni di contributi”.
Diversi esponenti politici – Cesare Damiano del Pd e Maurizio Sacconi di Forza Italia, fra gli altri – insieme a molti sindacati hanno invece chiesto di sospendere questo aumento. Fra loro anche membri del governo come il vicesegretario del Pd e ministro delle politiche agricole Martina o il ministro del lavoro Poletti. Il presidente dell’Inps Tito Boeri è invece contrario, e in un’intervista a Repubblica dice che “c’è solo una ragione per non adeguare l’età pensionabile alla speranza di vita: la prossima campagna elettorale”.
Certo oggi la legge prevede termini precisi – 43 anni e tre mesi di lavoro per gli uomini e un anno meno per le donne –, ma in realtà esistono numerose eccezioni che consentono loro di anticipare la finestra prevista.
L’Italia è fra le nazioni in cui si va prima in pensione. Un po’ di dati
Politici e sindacalisti chiedono di ridurre l’età di pensionamento, ma gli anziani sono il gruppo più protetto dalla crisi
Fra chi chiede di allentare le maglie, e chi chiede almeno di lasciare le cose come sono, si torna a parlare di pensione. Secondo quanto scrive Il Post, infatti, “l’Istat ha confermato che per gli italiani che hanno 65 anni l’aspettativa di vita è cresciuta di cinque mesi rispetto al 2013. La principale conseguenze di questa stima è che dal primo gennaio 2019 l’età di pensione legale, cioè l’età a cui si andrà in pensione se non saranno soddisfatti prima altri requisiti, salirà a 67 anni rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi. Salirà anche l’età prevista per la pensione anticipata, quella che si può ottenere a qualsiasi età a condizione di aver versato un certo numero di anni di contributi”.
Diversi esponenti politici – Cesare Damiano del Pd e Maurizio Sacconi di Forza Italia, fra gli altri – insieme a molti sindacati hanno invece chiesto di sospendere questo aumento. Fra loro anche membri del governo come il vicesegretario del Pd e ministro delle politiche agricole Martina o il ministro del lavoro Poletti. Il presidente dell’Inps Tito Boeri è invece contrario, e in un’intervista a Repubblica dice che “c’è solo una ragione per non adeguare l’età pensionabile alla speranza di vita: la prossima campagna elettorale”.
Certo oggi la legge prevede termini precisi – 43 anni e tre mesi di lavoro per gli uomini e un anno meno per le donne –, ma in realtà esistono numerose eccezioni che consentono loro di anticipare la finestra prevista.
E infatti, secondo le ultime stime dell’Ocse, l’Italia è già fra le nazioni in cui le persone tendono ad andare in pensione più presto: diversi anni in meno rispetto alla media dei paesi sviluppati, e prima che in Germania, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.
L’Italia è fra le nazioni in cui si va prima in pensione. Un po’ di dati
Politici e sindacalisti chiedono di ridurre l’età di pensionamento, ma gli anziani sono il gruppo più protetto dalla crisi
Fra chi chiede di allentare le maglie, e chi chiede almeno di lasciare le cose come sono, si torna a parlare di pensione. Secondo quanto scrive Il Post, infatti, “l’Istat ha confermato che per gli italiani che hanno 65 anni l’aspettativa di vita è cresciuta di cinque mesi rispetto al 2013. La principale conseguenze di questa stima è che dal primo gennaio 2019 l’età di pensione legale, cioè l’età a cui si andrà in pensione se non saranno soddisfatti prima altri requisiti, salirà a 67 anni rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi. Salirà anche l’età prevista per la pensione anticipata, quella che si può ottenere a qualsiasi età a condizione di aver versato un certo numero di anni di contributi”.
Diversi esponenti politici – Cesare Damiano del Pd e Maurizio Sacconi di Forza Italia, fra gli altri – insieme a molti sindacati hanno invece chiesto di sospendere questo aumento. Fra loro anche membri del governo come il vicesegretario del Pd e ministro delle politiche agricole Martina o il ministro del lavoro Poletti. Il presidente dell’Inps Tito Boeri è invece contrario, e in un’intervista a Repubblica dice che “c’è solo una ragione per non adeguare l’età pensionabile alla speranza di vita: la prossima campagna elettorale”.
Certo oggi la legge prevede termini precisi – 43 anni e tre mesi di lavoro per gli uomini e un anno meno per le donne –, ma in realtà esistono numerose eccezioni che consentono loro di anticipare la finestra prevista.
E infatti, secondo le ultime stime dell’Ocse, l’Italia è già fra le nazioni in cui le persone tendono ad andare in pensione più presto: diversi anni in meno rispetto alla media dei paesi sviluppati, e prima che in Germania, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.
Allo stesso tempo, Grecia a parte, in Europa non esiste un altro paese che spende tante delle proprie risorse in questo modo. Del valore totale dei beni e servizi prodotti in Italia nel 2015, poco meno del 14% è andato soltanto a pagare le pensioni di vecchiaia – senza neppure considerare la parte assistenziale.
Si tratta, e di gran lunga, della singola maggiore voce di spesa dell’intero bilancio italiano, che vale diverse centinaia di miliardi di euro l’anno.
Anche in quanto a pensioni di reversibilità – quelle che vengono attribuite a un coniuge quando l’altro partner muore – fra le grandi nel continente non risultano nazioni generose quanto l’Italia. Il sistema pensionistico è stato interamente tenuto al riparo dagli effetti della crisi economica, tanto che mentre il reddito diminuiva per tutti gli altri gruppi sociali, ai pensionati è andata una fetta crescente delle – scarse – risorse disponibili.
Questo non vale solo in Italia – qualcosa di simile è successo anche in Spagna e soprattutto in Francia – ma al nostro paese spetta il record. Nazioni come la Germania, per parte loro, hanno invece mantenuto un maggiore equilibrio nelle generosità delle loro pensioni, e da anni le loro finanze pubbliche sono addirittura in avanzo: ovvero spendono meno di quello che incassano, il loro debito pubblico si riduce, e al contrario dell’Italia hanno maggiore spazio per sostenere chi è più in difficoltà. E non a caso lì la disuguaglianza è una delle più basse fra i paesi sviluppati.
Anche in quanto a pensioni di reversibilità – quelle che vengono attribuite a un coniuge quando l’altro partner muore – fra le grandi nel continente non risultano nazioni generose quanto l’Italia. Il sistema pensionistico è stato interamente tenuto al riparo dagli effetti della crisi economica, tanto che mentre il reddito diminuiva per tutti gli altri gruppi sociali, ai pensionati è andata una fetta crescente delle – scarse – risorse disponibili.
Questo non vale solo in Italia – qualcosa di simile è successo anche in Spagna e soprattutto in Francia – ma al nostro paese spetta il record. Nazioni come la Germania, per parte loro, hanno invece mantenuto un maggiore equilibrio nelle generosità delle loro pensioni, e da anni le loro finanze pubbliche sono addirittura in avanzo: ovvero spendono meno di quello che incassano, il loro debito pubblico si riduce, e al contrario dell’Italia hanno maggiore spazio per sostenere chi è più in difficoltà. E non a caso lì la disuguaglianza è una delle più basse fra i paesi sviluppati.
Che l’Italia spenda tante risorse in pensioni non significa però che esse siano per forza elevate. È invece vero che la durata media della carriera lavorativa tende a essere molto breve, per gli uomini ma soprattutto per le donne: si comincia a lavorare tardi, il percorso è più spesso discontinuo. Questo significa meno contributi previdenziali versati, nel tempo, e per forza di cose un importo non sempre elevato.
Secondo gli ultimi numeri dell’Istat, e relativi al 2014, il grosso della spesa in pensioni va in assegni da 1.500 a 3mila euro mensili circa, che interessano diversi milioni di ex lavoratori. Questi numeri non indicano però quanto effettivamente viene versato a ciascun pensionato, perché uno su tre di loro riceve più di un assegno e dunque il valore reale è senz’altro più elevato.
Che l’Italia spenda tante risorse in pensioni non significa però che esse siano per forza elevate. È invece vero che la durata media della carriera lavorativa tende a essere molto breve, per gli uomini ma soprattutto per le donne: si comincia a lavorare tardi, il percorso è più spesso discontinuo. Questo significa meno contributi previdenziali versati, nel tempo, e per forza di cose un importo non sempre elevato.
Secondo gli ultimi numeri dell’Istat, e relativi al 2014, il grosso della spesa in pensioni va in assegni da 1.500 a 3mila euro mensili circa, che interessano diversi milioni di ex lavoratori. Questi numeri non indicano però quanto effettivamente viene versato a ciascun pensionato, perché uno su tre di loro riceve più di un assegno e dunque il valore reale è senz’altro più elevato.
A differenza dei giovani di oggi, che andranno in pensione con il metodocontributivo, chi è già in pensione da po’ di tempo gode invece del più vantaggioso sistema retributivo.
La differenza è semplice: i primi ricevono grosso modo quanto hanno versato in contributi sociali, i secondi invece ottengono invece un assegno che è una parte – a volte anche significativa – del loro ultimo stipendio. Per alcune categorie, mostrano alcune stime pubblicate su lavoce.info, vuol dire avere indietro anche il triplo di quanto si è dato.
Quanto gli anziani siano stati protetti – e forse a danno di tutti gli altri – lo si vede per esempio guardando al tasso di povertà. L’agenzia europea di statistica calcola, ogni anno, quante sono le persone con un reddito inferiore a una certa soglia minima, insieme a coloro che non possono permettersi un affitto o spese impreviste.
Nell’ultimo decennio, la povertà per chi ha superato i 65 anni si è ridotta moltissimo, mentre è cresciuta per tutti gli altri gruppi di età. Oggi è povero un minorenne su tre, e quasi il 40% degli 18-24enni.
Un’altra misura interessante è la ricchezza complessiva, calcolata dalla banca d’Italia in un rapporto sullo stato delle famiglie italiane, che include fra l’altro beni materiali come case o auto insieme a quanto abbiamo in banca e ai nostri investimenti.
Tutto considerato, di nuovo quello degli over 65 è l’unico gruppo stabile – a parte una leggera perdita causata dall’inflazione –, appena sfiorato dagli effetti della recessione. Per molti, al contrario, dal 2008 la ricchezza complessiva è diminuita anche di decine di migliaia di euro.
Ridurre l’età pensionabile richiederebbe un ulteriore esborso da parte dello stato di miliardi e miliardi di euro. Significa, in sostanza, dirottare ulteriori risorse verso chi – a differenza dei 3 milioni di disoccupati ancora oggi presenti – la peggiore crisi del dopoguerra l’ha vista al più soltanto sulle pagine dei giornali.https://www.wired.it/economia/lavoro/2017/10/30/italia-pensione-dati/