Il ministro: “Per i cittadini prestazione nei tempi che servono”. Resta il nodo risorse. Ma ci sarebbe la copertura di 250 mln per la fiscalizzazione al 15% sull’orario aggiuntivo. Pd: “E’ fuffa”. M5s: “Montagna ha partorito il topolino”
Da una parte il decreto e dall’altra un disegno di legge. Due provvedimenti con cui “andiamo incontro a quello che è uno dei problemi” più sentiti dai cittadini e cioè “le liste d’attesa“. Lo dice al termine del Consiglio die ministri, che ha licenziato i due testi, il titolare del dicastero di Lungotevere Ripa, Orazio Schillaci. “I cittadini potranno avere le prestazione nei tempi che servono”, ha assicurato soffermandosi soprattutto sull’abolizione del tetto di spesa prevista nel decreto: dal 1 gennaio 2025 subentrerà un “nuovo metodo di calcolo che parlerà di fabbisogno e non più di tetto di spesa”, ha spiegato Schillaci. Non solo, ma già nel 2024 per le regioni che lo vorranno, “sarà possibile incrementare il tetto dal 10% al 15%”.
Secondo il ministro, naturalmente, “non è più accettabile” che ci siano “liste chiuse, devono rimanere sempre aperte”. Non solo, ma “il singolo professionista non deve fare più prestazioni in intramoenia che prestazioni pubbliche”, come emerso da alcuni monitoraggi a campione che hanno rilevato addirittura 9 prestazioni nel pubblico contro a 90 in intramoenia.
Per migliorare le prestazioni in campo anche il disegno di legge. Quattordici articoli in tutto, dal Registro delle segnalazioni dei disservizi a maggiori servizi offerti nelle farmacie “che avranno la possibilità – ha spiegato Schillaci – di effettuare vaccinazioni, test per rivelare infezioni batteriche e l’antimicrobico resistenza”. Fino alle misure per il personale, a cominciare dall’’aumento della tariffa oraria per le prestazioni aggiuntive. L’incognita risorse, tuttavia rimane. Non sulla fiscalizzazione al 15% sull’orario aggiuntivo del personale (misura prevista nel testo del decreto), a sentire il ministro: la spesa “è stata stimata sui 250milioni di euro e ci sarà la copertura”. La musica cambia però sulle prestazioni, tant’è che Schillaci sottolinea come non ci sia un monitoraggio preciso al momento di quanto speso ma ricorda anche i 500 milioni stanziati per le Regioni nel 2022 e 2023 per le liste d’attesa e non tutti impiegati: “Auspichiamo quindi che i soldi già destinati alle liste d’attesa vengano utilizzati a tal fine”.
Non l’unico nodo da sciogliere sul fronte della spesa. Una stima, per esempio, su straordinari e festivi dei lavoratori ancora non c’è, come ha ammesso il ministro spiegando che sono in corso i calcoli “per valutare l’impatto dei lavori serali”. Incognite e dubbi che fanno insorgere le opposizioni che all’unisono derubricano le misure a “spot elettorale”. Nel Pd ci pensa Marco Furfaro, capogruppo in commissione Affari Sociali di Montecitorio, a parlare di “decreto fuffa in Cdm”: “Un inutile spot elettorale a quattro giorni dalle elezioni. Questa è la deprimente risposta del governo alla sanità al collasso e alle nostre richieste di intervenire con urgenza. Servivano risposte serie e risorse, arriva un decreto fuffa che favorisce ancora una volta il privato e rimanda le fatiche nell’accesso alla cura dei cittadini a data da destinarsi”.
Dalla minoranza anche il Movimento cinque stelle si fa sentire, con i parlamentari delle commissioni Affari sociali di Camera e Senato che stroncano le misure e attaccano: “Meloni mette in attesa le liste d’attesa”. “La montagna ha partorito un topolino. Il famoso decreto sulle liste d’attesa approvato dal Cdm è estremamente deludente, privo di risorse e di urgenza, un mero spot elettorale in vista delle Europee. Meloni e Schillaci hanno a lungo annunciato misure straordinarie, ma poi in Cdm hanno dovuto chinare il capo davanti a Giorgetti e non hanno garantito le risorse necessarie per impattare davvero sulla situazione”, attaccano. Per chiosare infine: “Le misure più importanti, poi, vengono rimandate a un disegno di legge, confermando che la sanità non è una priorità di questo governo”.