Uno dei pilastri fondanti dell’Unione Europea è la libertà di movimento. Tra il 2006 e il 2016 circa 550 mila lavoratori europei hanno cambiato Paese in cerca di migliori opportunità. Tra questi, i professionisti che più si muovono all’interno dell’UE sono quelli del settore medico, in particolare i medici (114.000) e gli infermieri (121.000). Il più delle volte l’emigrazione di personale medico avviene dall’Est e dal Sud Europa verso i paesi del Nord.
L’Italia non fa eccezione. Nell’ultimo decennio oltre 31.000 dottori e infermieri hanno lasciato l’Italia per lavorare altrove, ovvero il 53% del totale dei professionisti emigrati secondo le stime della Commissione UE. Le mete preferite sono Regno Unito, Belgio e Svizzera (paese non UE, ma area Schengen).
La spesa pro capite per la sanità varia molto da Paese a Paese: si va dai 6.000 euro a persona del Lussemburgo agli 800 euro della Romania, passando per i 2.400 euro dell’Italia, poco al di sotto della media europea. I lavoratori seguono i soldi e si muovono di conseguenza. La Germania è tra i Paesi che più investe nella sanità, ma più della metà dei dottori tedeschi emigrati nel 2015 ha scelto la Svizzera, molto più munifica. Lo stesso vale per i medici svedesi. Gli italiani preferiscono la Svizzera e la Germania, i rumeni la Germania e il Regno Unito, i polacchi la Norvegia e il Regno Unito e così via.
Spesa sanitaria pro capite
- OCSE; Eurostat; OMS
Il Regno Unito, negli ultimi anni, ha accolto molti professionisti del settore medico provenienti dai vari Paesi europei, anche per far fronte alla carenza di personale interno. Il risultato di questa politica è che il 17% dei medici e degli infermieri che esercita oggi negli ospedali pubblici inglesi viene da un altro Paese europeo.
Per risolvere il problema della carenza di personale, infatti, gli ospedali inglesi si sono mossi guardando altrove e facendo scouting. Come? Ingaggiando società di reclutamento come Best Personnel per reperire sul mercato esterno le professionalità ricercate. Della serie: se Maometto non va alla montagna, è la Montagna che va da Maometto.
È così che Claudia, giovane infermiera di Terni, ha iniziato la sua avventura a Bournemouth, nella costa sud del paese.
“Trovare lavoro in Inghilterra è stato facile”, spiega Claudia. “Ho mandato un solo curriculum e dopo tre settimane ero qui. In Italia spesso ai concorsi pubblici si presentano in 2.000 per un posto e in generale il mercato del lavoro è saturo. Finita l’università mi è stato proposto anche di aprire una partita iva, ma io non ho voluto accettare compromessi. Così mi sono candidata per una posizione aperta in Inghilterra e sono stata subito ricontattata da Best Personnel”.
“Per attirare risorse – continua Claudia – gli ospedali possono decidere di offrire benefit, come il pagamento delle spese di affitto per i primi mesi di permanenza, il biglietto aereo di andata, il corso di inglese e il rimborso delle spese per l’iscrizione all’albo degli infermieri. Qui investono in te e soprattutto ti danno la possibilità di fare esperienza”.
L’esperienza è un capitolo a parte di questa storia e sembra essere il marchio distintivo del Regno Unito. Il Paese, infatti, è molto aperto ai giovani neolaureati.
Lo spiega Cinzia Balducci, reclutatrice per Kate Cowhig International:
“In Inghilterra non si richiede un livello minimo di esperienza come in altri Paesi, per cui è più facile trovare un impiego una volta conclusi gli studi. Il maggior ostacolo che si può incontrare è quello linguistico perché dal 2016 agli infermieri si richiede di raggiungere un livello abbastanza alto, lo stesso che serve per accedere alle università inglesi. Questo, unito al discorso della Brexit, ha fatto calare di molto il flusso di infermieri verso il paese e ha portato alcune agenzie di reclutamento a chiudere i battenti”.
Per capire la portata di questi eventi basta confrontare i dati. Tra il 2009, l’anno in cui c’è stato il boom, e il 2016 si è passati da 40 a 3.600 infermieri italiani emigrati nel Regno Unito, mentre tra giugno 2016 e aprile 2017 il numero di iscritti all’albo degli infermieri ha subito un calo del 96% a livello aggregato, scendendo da 1.304 a 46.
Nonostante le difficoltà, i giovani infermieri e medici europei continuano a emigrare verso i dorati lidi del Nord in cerca di migliori prospettive.
“L’Italia – conclude Daniela, giovane infermiera emigrata in Inghilterra – manca sempre. Qui, però, investono su di te e ti formano. Se sei ambizioso, dall’Inghilterra non te ne vai”.
Le professionalità in fuga sembrano ormai un cliché ma è quello che accade anche in questo settore. A fronte di una preparazione universitaria di livello alto, non corrispondono adeguate prospettive lavorative.
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