Il ministro della Salute intervistato da Nursind sanità parla del vincolo di esclusività e delle aggressioni al personale. E ribadisce: “Più soldi e più formazione per valorizzare la professione”
Il ministro della Salute Orazio Schillaci è impegnato su alcune misure per modernizzare l’organizzazione del lavoro e aumentare le retribuzioni del personale infermieristico. Intervistato da Nursind Sanità, il titolare del dicastero di Lungotevere Ripa mette in fila le priorità: il superamento del blocco del turn over per porre rimedio alla carenza di professionisti, lo sviluppo delle competenze del personale sanitario e sociosanitario, ma anche l’aumento dell’offerta formativa per rendere più attrattiva la professione agli occhi dei giovani. Il ministro, inoltre, si dice pronto “a ragionare, tenendo aperto il confronto con la categoria” sull’idea di un allentamento strutturale del vincolo d’esclusività.
Ministro, secondo diverse stime la carenza di infermieri varia da 65mila a 250mila unità. In che modo si può ovviare nel più breve tempo possibile ai buchi di personale?
La carenza di personale è un tema prioritario, su cui dall’inizio del mio mandato ho avviato una fase di ascolto e confronto con le categorie di rappresentanza degli infermieri. Siamo ben consapevoli delle criticità da affrontare. Si tratta di problematiche che si sono acuite nel tempo, per le quali negli anni passati sono mancati interventi programmatici e strutturali. Veniamo da decenni di definanziamento della sanità, di cui hanno fatto le spese in modo drammatico anche gli infermieri, che nel sistema dell’assistenza hanno un ruolo centrale, insostituibile. Da parte del Governo c’è la massima attenzione e la volontà di dare risposte chiare in tempi brevi. Bisogna puntare a superare il blocco del turn-over.
Per gli infermieri c’è anche un problema di attrattività della professione. Come rimediare?
Da una parte rivalutando il trattamento economico, dall’altra valorizzando la professione, dentro una rete assistenziale potenziata, che permetta anche una migliore organizzazione del lavoro. Nell’ultima legge di Bilancio abbiamo inserito la norma che aumenta l’indennità al personale del pronto soccorso. È un primo segnale, ma c’è ancora molto da fare. Inoltre, siamo impegnati in modo concreto affinché a livello territoriale ci siano gli strumenti per adottare nuovi modelli di organizzazione del lavoro, che lo rendano più gestibile, senza più turni massacranti e con il rischio che questi possano ripercuotersi sulla qualità dell’assistenza.
In concreto, con quali linee d’azione?
Puntiamo a questo obiettivo attraverso il confronto costante con le Regioni e attraverso la riforma dell’assistenza territoriale, nella quale la figura dell’infermiere assumerà un ruolo ancora più importante. Sul profilo infermieristico il ministero della Salute ha avviato un lavoro complesso, che tocca tutti gli aspetti fondamentali di questa professione. Si tratta di definire gli interventi e gli investimenti da destinare all’ampliamento e lo sviluppo delle competenze del personale sanitario e sociosanitario, alla formazione, al potenziamento degli organici, alla remunerazione e alle condizioni di lavoro. Vogliamo anche che gli infermieri siano e si sentano al sicuro. Gli episodi di aggressione che si susseguono da tempo, in particolare nei Pronto soccorso, sono inaccettabili. Il lavoro portato avanti dal Tavolo dedicato ai Ps e dall’Osservatorio nazionale sulla sicurezza dei professionisti della sanità ci consentirà di avere un quadro più chiaro per intervenire a tutela della loro incolumità.
Le Regioni investono poco e le università non hanno strutture adeguate: ciò genera anche un imbuto formativo, al netto del trend calante delle domande di ammissione ai corsi. Come se ne esce?
L’imbuto formativo è sicuramente un nodo da sciogliere. Sull’accesso ai corsi universitari e alle scuole di specializzazione è stato aperto un tavolo di lavoro presso il Ministero. Anche per quanto riguarda gli infermieri è importante programmare bene gli accessi ai percorsi di studio, avendo come punto di riferimento il fabbisogno del personale infermieristico, con attenzione all’offerta universitaria e alla formazione specialistica. Allo stesso tempo, non trascuriamo l’importanza delle prospettive di carriera. Per dare impulso alle iscrizioni ai corsi di laura occorre aumentare l’offerta formativa e nel contempo rendere più attrattiva la professione agli occhi dei giovani che si trovano a scegliere il proprio percorso. Per dare una risposta su questi fronti serve sinergia tra tutti gli attori istituzionali coinvolti.
Nel dl Milleproroghe è stato esteso l’allentamento del vincolo di esclusività per le professioni del comparto con la possibilità di svolgere otto ore di attività libero professionale. Pensa in futuro si possa rendere strutturale questa misura?
La proroga dell’allentamento del vincolo di esclusività, con il contestuale aumento delle ore da poter dedicare alla libera professione, è una misura con cui abbiamo voluto riconoscere una legittima opportunità di libertà professionale agli infermieri e insieme dare un contributo al problema della carenza di personale. Riguardo la possibilità di rendere la misura strutturale, siamo pronti a ragionare, tenendo aperto il confronto con la categoria.
Passiamo al Pnrr. Molti paventano che le Case e gli Ospedali di comunità restino senza personale, dati i vincoli ai tetti di spesa e la carenza di professionisti. C’è questo rischio?
Il Pnrr è una grande opportunità su cui non possiamo fallire. Non solo per gli impegni assunti attraverso il Piano, ma perché il nostro sistema ha estrema necessità di investimenti e riforme, per avere una sanità più vicina ai cittadini, anche attraverso le Case e gli Ospedali di comunità. L’obiettivo è avere una rete territoriale moderna, fortemente integrata e in grado di garantire a tutti equità di accesso alle cure. È evidente che occorre accompagnare questo processo con investimenti sul personale. Siamo al lavoro per potenziare gli organici e, se serve, saremo pronti ad agire ulteriormente sui vincoli di spesa per consentire alle Regioni di rafforzare i loro servizi sanitari.
Si parla tanto della figura di un super infermiere, specializzato e con il ricettario. Sta già pensando a come costruire questa nuova figura professionale?
In generale c’è una riflessione in corso, in stretta collaborazione con la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, su un possibile ampliamento delle competenze e di conseguenza dell’offerta formativa, nell’ottica di una valorizzazione della professione, tenendo conto dell’approccio interprofessionale richiesto da un sistema assistenziale che deve diventare più moderno e adeguato ai bisogni, con nuovi modelli organizzativi e setting assistenziali sanitari e socio-sanitari fortemente integrati. Siamo finalmente entrati in una stagione di ammodernamento. Presso il Consiglio superiore di sanità è stato istituito un gruppo di lavoro per la revisione dei profili professionali, che risalgono a circa trent’anni fa, quando l’assistenza sanitaria era pensata fondamentalmente in termini di assistenza ospedaliera. Su ulteriori possibilità, come quella di poter effettuare alcuni tipi di prescrizione, come ad esempio quelle di presidi sanitari, ci sono delle ipotesi avanzate dalla Fnopi.
Il problema delle liste di attesa è probabilmente quello più sentito dai cittadini. Cosa si può fare nel breve periodo per garantire visite ed esami in tempi ragionevoli?
Il tema delle liste d’attesa è un’altra delle grandi priorità, da affrontare in modo deciso per garantire il diritto alle cure a ogni cittadino. Nell’immediato siamo intervenuti con due importanti norme, finalizzate ad accelerare il recupero delle prestazioni. Nello specifico si consente alle Regioni di utilizzare i fondi previsti dalla legge di Bilancio 2022 per lo smaltimento delle liste di attesa che non erano stati del tutto impiegati; inoltre, per la stessa finalità, si riconosce loro la facoltà di avvalersi anche di una quota del Fondo sanitario nazionale 2023. A regime, in ogni caso, sono convinto che vada razionalizzato il percorso diagnostico, per verificarne l’effettiva appropriatezza e dare precedenza a chi ne ha davvero bisogno nell’immediato. Inoltre, ritengo vada ampliata l’offerta delle prestazioni inserendo nel sistema anche il privato convenzionato.
Molti attori della sanità guardano con preoccupazione alla legge sull’autonomia differenziata, che potrebbe cristallizzare le differenze tra regioni. Lei ha parlato di una regia in capo al Ministero. Può bastare visto che già oggi c’è un coordinamento centrale?
Fatte salve le peculiarità di ogni Regione, il ministero della Salute può e deve certamente svolgere la propria funzione programmatoria e di indirizzo centrale, per costruire insieme alle Regioni un sistema di assistenza efficace, efficiente e in grado di garantire un’assistenza omogenea a tutti i cittadini, soprattutto a chi è più in difficoltà. L’ho detto più volte, ritengo inaccettabile che in una nazione come la nostra, nel 2023, le aspettative di vita dipendano da dove si nasce, dal reddito o dal livello di istruzione. Noi possiamo essere una guida per le Regioni, per mettere in piedi insieme a loro dei modelli virtuosi di management sanitario. La sanità è profondamente cambiata e abbiamo fortemente bisogno di nuovi modelli organizzativi, spendibili anche sui territori più svantaggiati. E c’è bisogno di investimenti per colmare i gap esistenti. Non a caso al Sud è destinato almeno il 40% delle risorse del Pnrr e poi, per intero, i 625 milioni di fondi europei del Programma nazionale per l’equità nella salute.