Un sospiro di sollievo, e una ravvivata fiducia nella Giustizia, arriva nel mondo del precariato grazie ad una recentissima sentenza del Tribunale di Padova.
Al contrario di quanto si era tentato di sostenere, la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza “Motter” dello scorso 20 settembre 2018, non ha affatto retrocesso rispetto all’ormai consolidata giurisprudenza che vede pacifico il riconoscimento di una sostanziale equiparazione del servizio reso dal personale a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato.
Quanto ai docenti, la Corte ha sottolineato l’importanza del ruolo del Giudice Nazionale che, caso per caso, dovrà valutare l’esperienza professionale maturata dai ricorrenti nel periodo di precariato, escludendo dal riconoscimento dell’integrale anzianità di servizio esclusivamente coloro che non abbiano maturato un’esperienza qualificante – quale quella del docente che abbia prestato servizio sempre e solo per supplenze particolarmente brevi.
In tale ipotesi, non sarebbe possibile, secondo i Giudici della Corte di Giustizia, riconoscere ai precari il medesimo trattamento giuridico ed economico riservato ai docenti di ruolo.
Come ben sapranno i precari, o coloro che lo sono stati per molto tempo, la maggior parte di chi ricorre ai Tribunali per vedersi riconosciuta l’anzianità di servizio integrale ha lavorato per moltissimi anni svolgendo l’identico lavoro dei docenti di ruolo – salvo una maggiore preoccupazione per l’incertezza del domani e il maggiore carico di lavoro dovuto alla necessità di adeguarsi ogni anno alle diverse realtà nelle quali si trovano, o si sono trovati, a prestare servizio.
Correttamente, dunque, il Giudice di Padova, dr. Francesco Perrone, con sentenza n. 705/2018 del 20 dicembre 2018, ha riconosciuto il diritto all’integrale ricostruzione di carriera ai fini giuridici ed economici, nonché alla corresponsione delle differenze retributive non percepite in favore dei docenti che, con l’avv. Maria Elena Sinigaglia, in collaborazione con l’avv. Irene Graziosi, hanno avviato l’azione promossa dal Sindacato UIL SCUOLA di PADOVA.
Si legge infatti nella sentenza:
“- come emerge dall’esame della giurisprudenza della CGUE, i lavoratori a tempo determinato non devono ricevere un trattamento che, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato al riguardo a lavoratori a tempo indeterminato comparabili. La nozione di «ragione oggettiva» di cui al punto 1 della clausola cit. “dev’essere intesa nel senso che essa non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma interna
– a tale proposito, alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza della CGUE si deve ritenere che la clausola 4, punto 1 della direttiva cit. “esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato per quanto riguarda le condizioni di impiego. Il suo contenuto appare quindi sufficientemente preciso affinché possa essere invocato da un singolo ed applicato dal giudice” (v. sentenze Gaviero Torres, punto 78, Impact, punto 60, Zentralbetriebsratder Landeskrankenhäuser Tirols, punto 24);
– peraltro, nel nostro ordinamento, il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato trova espresso riconoscimento, seppur non generalizzato, nell’articolo 6 del decreto legislativo n. 368/2001;
– nel caso di specie, la disparità di trattamento che viene a crearsi in merito al riconoscimento dell’attività di servizio non risulta giustificata dalla sussistenza di alcun preciso e concreto elemento, oggettivamente fondato su caratteristiche obiettive le quali contraddistinguano il rapporto di impiego a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato, idoneo ad ancorare la legittimità del differente regime di trattamento ad una reale e oggettiva necessità quale ad esempio l’esigenza di perseguire uno specifico obiettivo della direttiva medesima ovvero una legittima finalità di politica sociale dello Stato membro;
– nemmeno rileva che i lavoratori a termine siano stati assunti sulla base di particolari procedure diverse da quelle praticate per le assunzioni a tempo indeterminato, atteso che tale circostanza costituirebbe semmai una ulteriore ragione di disparità di trattamento la quale, a fronte dell’omogeneità qualitativa delle mansioni svolte, resterebbe a sua volta priva di oggettiva giustificazione;
– è evidente che se i ricorrenti avessero sin dall’origine ottenuto il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nei periodi di assunzione a termine, essi avrebbero goduto di ogni beneficio conseguente sotto il profilo sia retributivo, sia dell’avanzamento di carriera (v. sentenze CGUE C- 177/2010, Rosado Santana, nonché C- 302-205/2012, Valenza, punti da 39 a 49), così come previsto in applicazione della contrattazione collettiva di settore;
– deve essere altresì rilevato che in materia di riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato da personale docente la CGUE (Sentenza 20/9/2018, C-466/17, Motter), ha recentemente statuito che l’esclusione di parte dell’anzianità di servizio, maturata dai docenti in forza di servizi prestati a tempo determinato, può, in certe circostanze, essere considerata rispondente all’obiettivo legittimo di “rispecchiare le differenze tra l’esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell’ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti […]”. A giudizio della Corte tali elementi possono costituire “una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro” in quanto utili a “giustificare la differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato” (v. punti da 49-54). La Corte tuttavia precisa che sono sempre “fatte salve le verifiche che spettano al giudice del rinvio” dirette ad accertare se tali fattori di giustificazione effettivamente sussistano nel caso concreto;
– tanto premesso, la disparità di trattamento tra docenti assunti a tempo determinato e docenti assunti a tempo indeterminato può trovare oggettiva giustificazione – la cui concreta sussistenza deve essere valutata caso per caso dal giudice nazionale – nelle peculiarità caratterizzanti il processo di acquisizione della professionalità da parte dei docenti in ruolo rispetto ai docenti assunti a tempo determinato. Esso infatti, come evidenziato dalla stessa CGUE, è significativamente caratterizzato dalla requisito della continuità dello svolgimento dell’attività di docenza su un particolare insegnamento la quale, in linea di principio, svolge un ruolo particolarmente incisivo nel delineare la “qualità” professionale dell’insegnante di ruolo, in termini sia di esperienza didattica, sia di bagaglio conoscitivo. Pertanto, quantomeno in linea di principio, la continuità professionale acquisita per mezzo dell’insegnamento in ruolo non può essere considerata omogenea alla continuità d’insegnamento sperimentata dall’insegnante assunto a tempo determinato, qualora adibito alla copertura di supplenze frammentarie e discontinue;
– al tempo stesso deve essere compito del giudice quello di accertare se, nel caso concreto, l’insegnante non in ruolo abbia svolto la propria attività di insegnamento con modalità tali da consentire la maturazione di un’esperienza professionale qualitativamente comparabile rispetto a quella propria dell’insegnante in un ruolo. L’approccio della CGUE è infatti tradizionalmente orientato ad indicare quale sia la corretta interpretazione del diritto dell’Unione facendo specifico riferimento alle caratteristiche sostanziali del caso concreto, assegnando al giudice nazionale il compito di andare al di là delle definizioni formali eventualmente tracciate del diritto nazionale;
– venendo al caso di specie, è pacifico in causa che la carriera dei ricorrenti è stata caratterizzata da una sostanziale “continuità” nell’insegnamento. Tutti i ricorrenti hanno continuativamente lavorato, per molti anni scolastici, presso i medesimi Istituti o per Istituti di ordine e grado omogenei, dedicandosi alle medesime materie d’insegnamento, coprendo pressoché per intero ciascun anno scolastico, seppure in esecuzione di successivi contratti formalmente distinti tra loro;
– pertanto, assumendo la continuità d’esercizio della professione docente come elemento distintivo della professionalità maturata dal docente in ruolo, rispetto alla professionalità del docente assunto a tempo determinato, non vi sono ragioni obiettive per ritenere che, nel caso di specie, i ricorrenti abbiano maturato una professionalità qualitativamente diversa, a parità di mansioni, di materia d’insegnamento e d’Istituto di assegnazione, per il solo fatto di essere stati assunti con plurimi e successivi contratti di lavoro a tempo determinato;
(…)
– ne consegue che l’art. 485, comma 1, d. lgs. 297/1994 deve essere disapplicato nella parte in cui, escludendo la completa equiparazione dell’incidenza dei periodi di lavoro svolto a tempo determinato ai fini del computo della complessiva anzianità di servizio maturata, determina una irragionevole discriminazione rispetto ai pubblici dipendenti assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a parità di mansioni”.
Anche al personale ATA lo stesso Giudice dr. Francesco Perrone, con sentenza n. 608/2018, ha riconosciuto il diritto all’integrale ricostruzione di carriera e alla corresponsione delle differenze retributive non percepite, specificando, con riferimento alla sentenza “Motter” che: “…venendo al caso di specie, non vi sono elementi di fatto sufficienti a ritenere che la professionalità propria degli ATA, sotto questo particolare punto di vista, sia paragonabile alla professionalità propria del corpo insegnante in quanto essa, quantomeno in linea di principio, non risulta influenzata in modo altrettanto intenso dalla maggiore o minore continuità con cui le relative mansioni siano state eseguite nel corso degli anni;
– la circostanza che il processo di acquisizione e consolidamento della professionalità da parte del personale ATA sia qualitativamente diverso e diversamente influenzato dalla continuità di servizio è desumibile anche da precisi indici normativi, tra i quali la diversa durata prevista per i rispettivi periodi di prova. Il CCNL Scuola del 19/4/2018 prevede, all’articolo 30, che “il personale ATA assunto in servizio a tempo indeterminato è soggetto ad un periodo di prova la cui durata è stabilita come segue: a) due mesi per i dipendenti inquadrati nelle categorie A e A super; b) quattro mesi per i restanti profili”, mentre l’art. 438 del D.Lgs. n. 297/1994 per il personale docente prevede il più lungo periodo di prova della “durata di un anno scolastico. A tal fine, il servizio effettivamente prestato deve essere non inferiore a 180 giorni nell’anno scolastico”;
– tale specifico dato normativo dimostra che lo stesso sistema normativo riconosce per le mansioni ATA un grado di complessità diverso rispetto alle mansioni docenti. Da ciò consegue che il principio di diritto espresso dalla sentenza Motter con riferimento al corpo docenti deve essere declinato diversamente quando applicato al corpo insegnanti, e diversa deve essere considerata la rilevanza della continuità professionale necessaria ad acquisire quel grado bagaglio esperienziale necessario a rendere oggettivamente ingiustificata una disparità di trattamento nel riconoscimento dell’anzianità professionale anteriore alla stabilizzazione rispetto a quella maturata successivamente;
– non sono, pertanto, ravvisabili ragioni oggettive idonee a giustificare per il personale ATA, assunto a tempo determinato disparità di trattamento nel computo dell’anzianità professionale rispetto al personale assunto a tempo indeterminato;
– ne consegue che l’art. 485, comma 1, d. lgs. 297/1994 deve essere disapplicato nella parte in cui, escludendo la completa equiparazione dell’incidenza dei periodi di lavoro svolto a tempo determinato ai fini del computo della complessiva anzianità di servizio maturata, determina una irragionevole discriminazione rispetto ai pubblici dipendenti assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a parità di mansioni …”.
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