Da alcuni lustri i Programmi scolastici sono stati sostituiti dalle Indicazioni nazionali: nella scuola primaria e alle medie, dapprima con il decreto legislativo 59 del 2004, durante la lunga gestione a Viale Trastevere di Letizia Moratti, poi perfezionato con il Dpr 89 del 2009 e ampliato per gli istituti superiori con ulteriori Regolamenti approvati a seguito della riforma Tremonti-Gelmini. Il passaggio non è stato da poco, perché da allora gli insegnanti non devono più imporre temi e argomenti da affrontare in classe, ma modellare i percorsi formativi sulla base delle necessità dell’allievo, anzi del singolo alunno. Molti docenti, soprattutto a fine carriera, continuano però a fare alla “vecchia maniera”. Non vogliono adeguarsi. Questa ostinazione è arrivata anche alle orecchie del ministro dell’Istruzione.
Quel mito ossessivo da abbattere
Patrizio Bianchi ne ha parlato durante l’evento “I Giovani nel cuore dell’Europa“, svolto il 3 giugno. E lo ha fatto cercando di convincere i più scettici ad adeguarsi. Il titolare del dicastero dell’Istruzione ha detto loro che bisogna uscire “dal mito ossessivo del programma, l’ossessione di ognuno di noi. Bisogna andare” oltre a “quei muri dei programmi, cercando gli strumenti per capire quello che è stato e sarà”.
Secondo il responsabile del MI è ora di puntare ad “una scuola basata sulla capacità di progetto”, da realizzare in modo soggettivo e quindi rifiutando modelli didattico-formativi precostituiti. “L’esame di Stato di quest’anno si basa su questo principio”, ha sottolineato Bianchi.
Lo scritto alla maturità in fondo c’è
“È una sciocchezza dire che all’esame di maturità quest’anno non c’è lo scritto“, ha quindi ribadito il ministro.
Il ministero ha voluto puntare su una prova più pensata, elaborata, ragionata.
“Abbiamo chiesto alle scuole – spiega – di fare un passo in più per poter sviluppare un pensiero articolato, complesso. Bisogna ricostruire il piacere della scrittura, rifiutando la banalità in cui abbiamo vissuto negli ultimi anni, con parole che sembrano piume al vento; la scuola deve servire ad esplorare la complessità, a comprenderla. La maturità non è un test, è un passaggio per entrare in una giovinezza sempre più matura e adulta”.
La maturità del futuro
E se questa sarà la nuova maturità anche per gli anni a venire, si vedrà. “Valuteremo poi come va quest’anno”, ha sottolineato Bianchi.
“Ieri – ha raccontato – ho incontrato 150 ragazzi al Quirinale e mi hanno parlato degli elaborati che faranno, con temi da far tremare i polsi: una ragazza si occuperà della scoperta del quantum, un geometra mi ha detto di aver disegnato un asilo nido ecosostenibile e mentre parlava gli occhi gli brillavano”.
Secondo il ministro gli insegnanti devono imparare a “guardare negli occhi i ragazzi, far fare loro una riflessione su tutto il percorso fatto in questi cinque anni; la maturità è un rito di passaggio ed è fondamentale che venga vissuta come momento per riflettere, per trarre insegnamenti. La fase successiva sarà piena di paure ma fa parte della vita. L’esame di maturità accompagna in un’altra parte della vita”.
L’anno della DaD
Bianchi ha anche parlato del “bilancio di questo anno scolastico” che ha giudicato “positivo: ci sono stati tanti problemi ma – ha detto – siamo stati in grado di affrontarli, abbiamo riscoperto la scuola, che prima era considerata ‘data’”.
“È stato un anno difficile, in cui ci siamo misurati con le nostre paure. Sono comparsi vecchi spettri, quelli della solitudine. Dobbiamo uscire da questo anno con una capacità più profonda di esplorare noi stessi per costruire poi anche una community di 4.500 amici“.
E ancora: “La scuola non è mai stata chiusa, un filo ha legato i docenti agli studenti, certo, con molte difficoltà. La scuola riflette quello che siamo: paure, speranze, fragilità. Io vorrei più speranza, non ne vedo abbastanza. Dobbiamo essere orgogliosi: l’Italia ha riaperto subito le scuole per i più piccoli; abbiamo dato il via ad una campagna vaccinale incredibile, il paese è ripartito quando sembrava impossibile”.
La scuola vero luogo identitario
Il numero uno del Palazzo bianco di Viale Trastevere ha quindi concluso gli interventi sostenendo che “la scuola è il luogo identitario, non ce ne sono altri, la Chiesa non lo è più non lo è sicuramente il Comune”.
“Dobbiamo fare della scuola il battito della comunità, non possiamo accontentarci di tornare alla normalità, il tasso di dispersione è ancora troppo alto, dobbiamo andare avanti e costruire nuove normalità”, ha detto ancora Bianchi.
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