Il primo a lanciare l’allarme fu Guido Bertolaso, relazionando al Senato sul terremoto che colpì L’Aquila e rese inagibile l’ospedale San Salvatore. Il dato venne riconfermato nel 2013 dalla Commissione d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Ssn. A seguito di verifiche effettuate su 200 edifici, risultò che il 75% di queste sarebbe crollato in caso forte evento sismico. Del resto solo l’8 per cento di tutti gli edifici ospedalieri italiani è stato progettato dopo il 1983 quando fu adottata la normativa antisismica. Per ora si parla di una Cabina di regia, ma si troveranno i fondi in legge di Bilancio?
12 OTT – “Stiamo studiando un Piano Marshall relativo a tutta una serie di investimenti rimasti bloccati, come ad esempio nel capitolo dell’edilizia sanitaria. Questo è un tema importantissimo che riguarda anche il rifacimento di tutta una serie di strutture ospedaliere non a norma dal punto di vista antisismico. Si prevede una collaborazione con Inail già contemplata nella scorsa legge di Bilancio ma che era rimasta lettera morta”. Ad annunciarlo era stata ieri la ministra della Salute, Giulia Grillo, in un’intervista a Sky Tg24.
Quello della riqualificazione degli ospedali italiani secondo le norme tecniche antisismich, è un problema annoso che ci trasciniamo ormai dal 2009. Da allora, infatti, e più precisamente a seguito del terremoto che colpì L’Aquila e rese inagibile l’ospedale San Salvatore, sappiamo che sono almeno 500 le strutture ospedaliere a rischio crollo in Italia in caso di forte evento sismico.
Il primo a lanciare l’allarme fu l’allora capo della protezione civile Guido Bertolaso relazionando al Senato, il 9 giugno 2009, proprio su quanto accaduto pochi mesi prima all’ospedale San Salvatore nel terremoto che distrusse il capoluogo abruzzese. Strutture che si trovavano principalmente lungo tutta la dorsale appenninica e nelle regioni meridionali – diceva Bertolaso – “considerate punto di riferimento in caso di emergenza e che avrebbero bisogno di interventi di messa in sicurezza perché si trovano in zone a rischio sismico, idrogeologico o vulcanico”.
Nella sua relazione al Senato, Bertolaso ricordava come, “secondo uno studio commissionato dall’ex Ministro Veronesi nel 2001, su circa 1000 presidi, risulta che circa il 65% è stato costruito prima del 1970 (di cui il 15% prima del 1900 e il 20% tra il 1900 e il 1940), il 20% tra il 1971 e 1990 e solamente il 15% dal 1991 al 2001”. Per realizzare la messa in sicurezza di tutti gli edifici pubblici, ammetteva però l’ex capo della protezione civile, servirebbero “una decina di Finanziarie messe insieme”.
Il dato rigurdante i 500 ospedali a rischio sismico venne successivamente ripreso, nel 2013, dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Ssn presieduta da Ignazio Marino: “Per quanto riguarda la situazione degli edifici ospedalieri, ancorché in mancanza di una cifra esatta, le strutture che necessitano di una pluralità di interventi, che sarebbero strategiche in base alla loro localizzazione in zone ad alto rischio sismico dato che costituiscono un punto di riferimento per la gestione di eventuali situazioni di emergenza post evento, non sono meno di 500. Sono strutture distribuite soprattutto lungo l’arco appenninico, nella zona dell’Italia centrale ma soprattutto meridionale, in particolare in Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia”.
Non solo veniva riconfermato il dato sugli ospedali a rischio, ma quella volta la Commissione presentò a supporto anche un approfondimento della situazione con delle verifiche effettuate su 200 edifici ospedalieri in base a un protocollo per la riduzione del rischio sismico avviato dal Governo nel 2003. “Per valutare l’adeguatezza sismica degli edifici la Protezione civile usa valori che vanno da 0 a 1: gli indicatori al di sotto dello 0,2 indicano gravi deficienze, quelli compresi tra lo 0,2 e lo 0,8 indicano carenze di gravità decrescente, mentre i valori al di sopra dello 0,8 corrispondono a un’adeguatezza quasi completa degli edifici. Ciò significa che l’edificio che ha un valore di adeguatezza pari a 0 è l’edificio più a rischio, mentre l’edificio con un valore di adeguatezza pari a 1 è l’edificio più sicuro”, si spiegava nella relazione.
“In questo caso il 75 per cento degli edifici verificati presenterebbe un indicatore di rischio di stato limite di collasso compreso tra lo 0 e lo 0,2, quindi carenze gravissime. Se cioè si verificasse un terremoto particolarmente violento con magnitudo superiore a 6,2-6,3, il 75 per cento degli edifici che sono stati verificati crollerebbe“. Un dato che scenderebbe al 60% nel caso di terremoti meno gravi ma comunque importanti, ossia un terremoto di intensità 6 della scala Richter.
Dalla prima denuncia sono passati ormai 10 anni, eppure ancora poco è stato fatto. Vedremo se nella prossima legge di Bilancio si riuscirà ad invertire questa tendenza con l’avvio di un finanziamento ad hoc che preveda, contestualmente, uno snellimento della macchina burocratica.
Nella Nota di aggiornamento al Def, intanto, si parla esplicitamente di un adeguamento antisismico e a norme antincendio degli ospedali e nuova Cabina di regia per selezionare gli interventi più urgenti anche per l’adeguamento antisismico (solo per le zone I e II). Presso il Ministero della Salute, entro marzo 2019, si prevede l’insediamento di una ‘cabina di regia’ con il compito di selezionare le priorità del Paese, a partire dalle zone a maggiore rischio sismico, per implementare un piano pluriennale degli investimenti da realizzarsi nei prossimi anni. Anche per questi motivi è prevista la collaborazione e compartecipazione agli investimenti di altri soggetti istituzionali pubblici.
Altro tema sul quale il Governo dovrebbe dar risposte è quello relativo agli investimenti infrastrutturali e tecnologici. Lo scorso luglio, nel Rapporto di coordinamento di Finanza pubblica 2018 presentato dalla Corte dei Conti, si spiegava come, anche nel 2017, si sia registra una “flessione di oltre il 5 per cento dei pagamenti: alla riduzione si accompagna la conferma di un tasso medio di obsolescenza delle tecnologie a disposizione nelle strutture pubbliche e accreditate“. Come si evince dal recente il Rapporto del Ministero della salute, nonostante il lieve miglioramento rispetto al 2016, circa un terzo delle apparecchiature è operativo da più di 10 anni e la diffusione di queste tecnologie presenta rilevanti differenze tra aree territoriali.
Giovanni Rodriquez
http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=66609
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