Presentato il 20esimo Rapporto Crea Sanità: servono almeno 20 miliardi per portare la spesa sanitaria sugli standard Ue, ma secondo gli estensori la tenuta del sistema passa attraverso decisioni cruciali, come “riallineare le promesse alle risorse”
Servirebbero almeno 20 miliardi di euro, oltre l’11,3% del finanziamento attuale, per allineare la spesa sanitaria italiana agli standard europei e altri 30 per adeguare gli organici e le retribuzioni. Questi alcuni dei dati contenuti nel 20esimo Rapporto realizzato dal Centro per la ricerca economica applicata in sanità (Crea), dal titolo “Manutenzione o trasformazione: l’intervento pubblico in sanità al bivio”, presentato a Roma nella sede del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel). Ma il Servizio sanitario nazionale (Ssn) non è solo scarsamente finanziato, secondo gli autori, appare anche sprovvisto dei livelli occupazionali necessari e non risulta equo, visto che solo il 20% dei cittadini versa abbastanza per coprire i costi medi necessari al funzionamento del sistema.
Spesa privata e rinuncia alle cure
Le difficoltà economiche delle sacche più disagiate del Paese si intrecciano con le criticità dell’offerta sanitaria. Per sopperire alle carenze del Servizio, infatti, i cittadini spendono di tasca propria, sebbene oltre un milione di famiglie non possa pagare e perciò rinunci alle cure. “Il Ssn copre il 75% delle prestazioni sanitarie, ma un quarto della spesa (oltre il 24%, pari a 43 miliardi di euro) è a carico dei cittadini”, spiega Barbara Polistena, docente di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”. “La spesa privata – prosegue – è sostenuta da persone che di fatto hanno difficoltà economiche e che non sosterrebbero i costi, se non fosse necessario. Ciò fa ipotizzare che la spesa privata non sia inappropriata”.
Il confronto con l’Europa
Rispetto ai 14 Paesi più ricchi dell’Unione europea, l’Italia conta una spesa pubblica inferiore quasi al 45% e si attesta come la capofila degli Stati più poveri. “Bisognerebbe garantire – commenta Polistena – una spesa sanitaria più alta dell’11,3%, ovvero 20 miliardi di euro, sebbene ne servirebbero altri 10 per allineare gli organici e altri ancora per le retribuzioni”. C’è poi il dato discordante fra la spesa sanitaria privata e il Pil pro-capite, in percentuale, rispetto alla media dei primi 14 Paesi europei (ante 1995): la prima è superiore al secondo, “questo – afferma la docente – significa che l’Italia conta una spesa privata superiore a quello che effettivamente si potrebbe permettere, rispetto alle compatibilità macro-economiche”.
“Scelte scomode”
Il Rapporto parla della necessità di compiere scelte politiche decisive per intervenire sul Servizio sanitario nazionale. “A fronte di risorse aggiuntive limitate, se non nulle – si legge nel documento –, di possibili recuperi di inefficienze importanti, ma non risolutivi, si rende necessario fare scelte politiche scomode, ovvero, scelte che riguardano una razionalizzazione delle promesse di tutela pubblica”. Secondo gli estensori, per “riallineare le promesse alle risorse disponibili”, “l’intervento pubblico deve allargare i suoi confini, rinunciando ad arroccarsi sull’idea di una posizione egemonica del servizio pubblico, occupandosi della governance di tutto il sistema sanitario, compresa la (rilevante) quota di servizi sanitari oggi classificati come sanità privata”. A rimarcare il messaggio è Federico Spandonaro, docente dell’Università di Roma “Tor Vergata” e presidente di Crea Sanità, che osserva: “Le scelte si fanno difficili perché si tratta di trovare accordi fra interessi contrastanti. Dobbiamo assumerci la responsabilità e non nascondere le difficoltà”.
Ex ministri a confronto
A commentare i dati, si sono succeduti sei ex ministri della Sanità e della Salute degli ultimi 30 anni. Fra questi, Rosy Bindi, titolare del dicastero nel periodo 1996-2000, suggerisce: “So che siamo in tempi difficili, ma bisogna andare avanti per priorità e la lotta all’evasione fiscale è una di queste”. E avverte: “Se il ministero non riprende la guida dei vari servizi regionali, il Ssn è a rischio perché ha bisogno di uniformità. Non è solo una questione di soldi. Le Regioni, come Veneto, Toscana ed Emilia Romagna, con meno privato sono quelle che hanno il rispetto più alto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), mentre quelle che hanno la percentuale di privato più alto, hanno il rispetto più basso dei Lea e sono fra le sette in rientro di bilancio. Poniamoci – conclude – il problema di quanto privato può sopportare il sistema che ha un solo finanziatore, cioè, la fiscalità generale”. Per Giulia Grillo, ministro dal 2018 al 2019, la politica deve intervenire “perché – dice – non intervenire sarebbe comunque una scelta. La politica si dichiari su alcuni aspetti, che la presidente del Consiglio si dichiari se il Ssn è o non è una garanzia di perseguimento della solidarietà. Non basta più che sia scritto in Costituzione perché poi le leggi le fanno i governi”.
Di Elisabetta Gramolini