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GLI ESPERTI RISPONDONO

Dal Veneto 150 milioni per il personale sanitario. E il governo che fa?

La Regione, dopo aver raggiunto gli obiettivi previsti dal Patto per salute 2019-2021, stanzia le risorse per il salario accessorio e la contrattazione integrativa. L’assessora alla sanità: “Vogliamo attrarre e trattenere il capitale umano”. Bottega (Nursind): “Tutti si muovono, tranne Roma”

Potrebbe trasformarsi in una mina politica sul cammino del governo e del ministero della Salute nella gestione delle risorse per la sanità. Una sorta di fuoco amico che arriva da una delle regioni considerate modello della buona amministrazione di centrodestra: il Veneto. Infatti, mentre a Roma si arranca e si combatte con la carenza di stanziamenti per il Ssn, a Venezia il Consiglio regionale ha avviato proprio oggi la discussione sul progetto di legge della giunta Zaia che mette sul piatto oltre 150 milioni di euro nel triennio 2024-2026 per consentire alle aziende sanitarie di incrementare la retribuzione accessoria (ad esempio quella di risultato) dei professionisti della salute, infermieri in testa. Lo spazio di manovra finanziaria arriva fino al 2% (al netto degli oneri riflessi) del monte salari regionale rilevato nel 2018.

Il testo dà attuazione al Patto per la salute 2019-2021 e, dopo qualche iniziativa tra Valle d’Aosta e Lombardia, vede il Veneto fare da apripista nell’azione di attrazione e valorizzazione del personale socio sanitario, con l’intento di fermare l’emorragia in un settore lavorativo che risulta sempre meno allettante per i giovani. Proprio in ragione del Patto, la giunta ha la facoltà di differenziare gli aumenti dei fondi tra aziende ed enti del Ssr nei limiti dell’incremento massimo. Va detto che il Veneto può permettersi quest’operazione proprio perché la Regione ha realizzato le condizioni poste dal Patto per la salute, ossia l’equilibrio dei conti, la garanzia dei Lea e l’avvio del processo di adeguamento alle disposizioni del Decreto 70/2015 sugli standard dell’assistenza ospedaliera. Secondo la giunta, come scritto sul progetto di legge, l’utilizzo dei 150 milioni “peraltro, risponde ad un’effettiva necessità di riequilibrio dei fondi contrattuali nell’ambito della Regione Veneto che vede significative differenze delle risorse pro capite disponibili per il trattamento accessorio tra un’azienda e l’altra, a fronte di attività poste in essere dai dipendenti analoghe per quantità e qualità”.

E il governo nazionale cosa farà se la normativa dovesse andare in porto? Proverà a cassarla? Sarebbe difficile, visto che arriva da una amministrazione politicamente “amica” e in questo frangente molto sensibile, dato che il voto in Veneto è previsto tra un anno appena. Peraltro, in punta di diritto, la Regione sostiene che il provvedimento non lede le prerogative dello Stato centrale e della contrattazione collettiva, perché riguarda il salario accessorio e la contrattazione integrativa. In premessa, il testo cita a conforto una sentenza del 2021 della Corte costituzionale su una precedente legge regionale dello stesso tenore, sentenza secondo cui quelle norme non intervenivano “sulla regolamentazione del trattamento economico dei dipendenti, affidato alla contrattazione collettiva” e non si sostituivano “alla negoziazione tra le parti, che rappresenta l’imprescindibile fonte di disciplina del rapporto di lavoro. Solo una tale incidenza sul trattamento economico determinerebbe l’invasione della sfera di attribuzione del legislatore statale”.

Raggiunta da Nursind Sanità, l’assessora regionale veneta alla Sanità e ai servizi sociali, Manuela Lanzarin, corrobora la tesi: “Siamo in scia con la vecchia norma su Padova e con il Patto per la salute. Riteniamo di operare dentro i confini della nostra autonomia e questo provvedimento è il tassello di un piano molto più ampio”. Se allora il governo nazionale desse il via libera alla norma veneta, si porrebbe poi il problema politico di dover dare in qualche modo seguito nel resto d’Italia a un meccanismo del genere, anche se da Roma si potrebbe rispondere che non tutte le autonomie hanno fatto bene i compiti a casa come Venezia. In ogni caso, crescerebbe la pressione sulla premier Giorgia Meloni e sul ministro della Salute Orazio Schillaci.

La giunta veneta comunque si è mossa sul piano economico per attrarre e mantenere i professionisti della salute, in modo da contrastare un’emorragia di personale che riguarda l’intera nazione. Ancora Lanzarin chiosa: “Vogliamo da una parte individuare le motivazioni del fenomeno delle dimissioni inattese, che porta molti operatori a migrare all’estero o verso il privato. E vogliamo mettere in campo tutta una serie di azioni per trattenere il capitale umano, che è sempre più cruciale”. Sui criteri di suddivisione delle risorse, l’assessora assicura: “Penso che riusciremo a portare in aula la norma tra fine settembre e inizio ottobre. Quando sarà approvata, coinvolgeremo anche le parti sindacali e sicuramente privilegeremo i contesti più disagiati, le situazioni con maggiore criticità e vulnerabilità”.

Il Piano regionale, che contempla pure una Cabina di regia ad hoc e prevede nondimeno azioni di informazione e sensibilizzazione, è corredato da un documento di analisi che non si nasconde dietro a un dito: nelle aziende sanitarie territoriali medici, infermieri e operatori socio sanitari con più di 50 anni sono ormai il 47% del totale. In particolare, gli infermieri veneti over 50 sono il 43%, ma nel caso degli oss la percentuale schizza addirittura al 57%. Le coorti di professionisti vicine alla pensione sono sempre più ampie e il turn over stenta, anche in ragione della scarsa attrattività dei corsi di laurea, a partire da quelli di infermieristica. Ecco che da qui a un decennio si prevede l’uscita di circa 11mila infermieri e già al 2030 potrebbero mancarne 3mila. Una carenza che rischia di mandare in crisi anche il sistema salute più efficiente, se si considera il contemporaneo aumento della domanda di cure e assistenza, connesso all’invecchiamento della popolazione e alla crescita delle patologie croniche.

Il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega, conosce bene la realtà della sanità veneta, da cui proviene e in cui opera professionalmente. “C’è ormai grande consapevolezza circa la piaga della penuria di sanitari, in particolare di infermieri. La Commissione Ue sta agendo in accordo con l’Oms per trattenerli e valorizzarli, la Regione Veneto mette in atto degli strumenti per quanto possibile. Tutti si muovono e il governo, il ministero della Salute cosa fanno?”, chiede provocatoriamente. Poi anticipa un dato a Nursind Sanità: “Sui corsi di laurea in infermieristica, quest’anno in Veneto avremo più posti che domande. Se proseguiamo così, saremo costretti a chiudere gli ospedali. Capisco che non tutte le regioni sono come la mia, ma il governo deve tenere aperte le strutture e stanziare risorse per le figure che non ha. Non si tratta solo delle aree disagiate. L’Italia non fa nulla – conclude Bottega – a livello nazionale non si agisce per aumentare l’attrattività di una professione che secondo la Ue è la spina dorsale dei servizi sanitari”.

 

Il progetto di legge regionale

La delibera della giunta 

Di Ulisse Spinnato Vega

FONTE: NURSIND SANITA’
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