Il 30% dei professionisti ha deciso cambiare alloggio trasferendosi lontano dalla famiglia per evitare di esporla ad un maggiore rischio di contagio. È quanto emerge dalla prima indagine sull’impatto sociale del covid-19 per gli operatori sanitari condotta da Women For Oncology Italy che vede coinvolte soprattutto dottoresse, infermiere e specializzande
23 APR – Esposti al contagio e preoccupati per i propri familiari: la pandemia di coronavirus sta avendo un impatto significativo sulla vita sociale e familiare, oltre che professionale, degli operatori sanitari, prevalentemente donne, impegnati in prima linea per contrastare la diffusione del virus.
Il 30% dei professionisti della sanità ha scelto di vivere lontano dai familiari per evitare il rischio di trasmissione domestica e l’83% degli operatori è consapevole di essere maggiormente esposto alla possibilità di contrarre il virus rispetto alla popolazione generale a causa della propria professione. Il timore del contagio però è rivolto soprattutto ai propri familiari: il 72,4% reputa di poter esporre a questo rischio anche i propri partner, figli e genitori.
Questa è la situazione fotografata dai risultati della prima indagine sull’impatto sociale per gli operatori sanitari durante l’emergenza Covid-19, condotta dall’Associazione Women For Oncology Italy. Lo studio ha coinvolto circa 600 professionisti della sanità italiani, di cui la maggior parte donne (circa il 75%). Si tratta di medici specialisti (63%), infermieri (21%) e specializzandi (9%) che svolgono il loro lavoro principalmente nel reparto di oncologia (59%). Oltre l’83% degli intervistati dichiara di non vivere da solo.
“Questa è la prima survey sul disagio sociale degli operatori sanitari – ha dichiarato Rossana Berardi, vice Presidente di Women for Oncology Italy e Direttore della Clinica Oncologica Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche – promossa in corso di pandemia da Covid che fotografa una realtà che fa riflettere in merito alle difficoltà anche pratiche che ci troviamo quotidianamente ad affrontare. Questa emergenza sta cambiando non solo le nostre abitudini come professionisti, ma anche come genitori e caregiver. Molti operatori che stanno lavorando in prima linea sono donne e madri, costrette ad allontanarsi dai loro figli o a non poter più accudire i genitori anziani. Siamo preoccupati e costretti a isolarci, con tutte le conseguenze psicologiche che questo comporta. Forte è la preoccupazione di contrarre il virus che però non riguarda solo gli operatori sanitari, ma coinvolge anche i nostri familiari – ha aggiunto – per questo, molti di noi hanno scelto di allontanarsi dal proprio nucleo familiare per mettere in sicurezza i propri affetti ed evitare che possano essere a loro volta soggetti all’infezione, consapevoli che la distanza di oltre un metro, oggi, è un atto di amore”.
Mantenere le distanze per i 2/3 dei partecipanti all’indagine di W4O ha avuto ripercussioni sulla propria vita familiare (il 54% risponde “si”, il 16% “abbastanza”). E questo si è tradotto, per quasi un terzo dei rispondenti, nella difficile decisione di cambiare alloggio trasferendosi lontano dalla famiglia per evitare di esporla ad un maggiore rischio di contagio; a questi si aggiunge un ulteriore 7,6% dei casi, in cui è stato invece il nucleo familiare a trasferirsi in un’altra abitazione, mentre nel 6,7% dei casi a cambiare casa sono stati i figli.
Coloro che scelgono di rimanere insieme alla propria famiglia hanno naturalmente adottato misure di sicurezza per ridurre il rischio di infezione, come una divisione della zona notte, il mantenimento delle distanze di un metro o più e una rinuncia ai contatti ravvicinati specialmente con i bambini. Il distanziamento sociale, come per il resto della popolazione, ha coinvolto principalmente gli anziani, la categoria più gravemente colpita dalla pandemia: l’80,7% degli intervistati ha dichiarato di non vedere i propri genitori da oltre 14 giorni. L’isolamento ha portato però anche ad una ancora più dolorosa lontananza dai propri figli: il 60,7% degli operatori sanitari coinvolti nella survey riporta di non avere contatti ravvicinati con loro da meno di 7 giorni e il 32% da oltre due settimane. Le difficoltà maggiormente riscontrate dagli operatori sanitari sono state il reperimento di badanti (10,7%) e baby-sitter (22,5%), in aggiunta a quello della spesa (54,4%).
“Abbiamo voluto condurre questo studio per accendere i riflettori e sensibilizzare sull’impatto sociale che questa emergenza sanitaria sta avendo sugli operatori sanitari e, in modo particolare sulle donne che svolgono queste professioni – aggiunge Marina Garassino, Presidente di Women for Oncology Italy – come associazione non possiamo non lanciare, ancora una volta, un appello alle nostre Istituzioni perché la pandemia rischia di aggravare quel gender gap già esistente nel mondo del lavoro ed in particolare in quello delle professioni mediche. Pur essendo le professioniste donne impegnate in prima linea per trattare i pazienti positivi al virus e nell’organizzazione degli ospedali, sono ancora poco presenti ai tavoli istituzioni. Ne è una riprova la recente tornata di nomine pubbliche per il comitato tecnico scientifico della Protezione Civile e quella per la task force governativa presieduta da Vittorio Colao e composta per l’80% da uomini in seguito alla quale è stato lanciato l’appello scandito dall’hashtag #datecivoce, a cui anche W4O si unisce. Rafforzando l’invito a valorizzare, tutelare e non lasciare sole le donne che lavorano ed in particolare quelle che curano, in corsia ma anche a casa, svolgendo il proprio ruolo di mamme, mogli e caregiver verso i genitori anziani.”
FONTE: QUOTIDIANO SANITA’ (LINK: http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=84422);
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