Il nuovo contratto degli statali prevede un aumento medio mensile di circa 160 euro, che può arrivare a 190 euro per alcune figure professionali.
Sul tavolo delle trattative per il nuovo contratto degli statali ieri è arrivato il piatto forte di ogni negoziato: i numeri della parte economica. E quando nelle bozze discusse all’Aran compaiono le tabelle con le cifre, vuol dire che il confronto punta a entrare nel vivo. Si vedrà alla ripresa di settembre se la strada imboccata porterà in fretta alla firma della preintesa o se si dovrà aspettare il 2025; in uno scenario nel quale molte variabili si muovono lontano dalle stanze in cui si discute il contratto.
Le cifre, comunque, disegnano un aumento medio mensile che si aggira intorno ai 160 euro lordi, ma che può arrivare a 190 euro nei rami più “ricchi” della Pubblica amministrazione centrale. Perché il contratto del comparto abbraccia tre famiglie diverse: i circa 122mila ministeriali sono il gruppo più numeroso, caratterizzato però da retribuzioni medie più contenute. Il panorama delle «Funzioni centrali» contempla poi i quasi 38mila dipendenti delle agenzie fiscali e si completa con le 37mila persone che lavorano negli enti pubblici non economici come Inps e Inail, dove le buste paga sono mediamente un po’ più corpose.
La base, dopo le semplificazioni profonde portate dalla tornata 2019/21, sono comuni e sono rappresentate dai tabellari delle diverse posizioni economiche. Il testo presentato ieri dall’Aran indica un incremento da 110,4 euro per gli «operatori», la categoria che occupa lo scalino più basso nella gerarchia amministrativa. Per gli «assistenti» l’aumento è di 116,1 euro, sale a 141 euro per i «funzionari» e arriva a 193,9 euro per le «elevate professionalità», la quarta area creata dallo scorso rinnovo contrattuale per costruire una fascia di quadri tecnici della Pubblica amministrazione che però sta iniziando solo ora a essere effettivamente popolata, a ritmi diversi a seconda delle scelte delle singole amministrazioni.
Come sempre gli aumenti pensati per il tabellare rappresentano il pilastro fondamentale di un’architettura che conosce però altre parti. Nei calcoli dell’Aran, l’agenzia negoziale del pubblico impiego che rappresenta la Pa come datore di lavoro nel confronto con i sindacati, le risorse messe a disposizione dall’ultima manovra permettono di finanziare un ulteriore tassello da 30 euro medi al mese, con risultati però molto differenziati a seconda del settore di appartenenza; perché nei ministeri il chip viaggia intorno ai 14 euro al mese, nelle agenzie fiscali sale a 45 euro e arriva a 58 euro negli enti pubblici. Fondi che potrebbero andare al trattamento accessorio o, in parte, rinforzare ancora un po’ le prospettive dello stipendio base.
Nelle loro reazioni ufficiali quasi tutti i sindacati, dalla Cgil alla Uil e alla Flp, hanno voluto sottolineare che i fondi a disposizione sono considerati scarsi. «Bisogna che il Governo faccia la propria parte fino in fondo e metta ulteriori risorse nella prossima legge di bilancio», ha ribadito in particolare la Cgil. «C’è un dialogo certamente vivace ma costruttivo», ha riassunto il presidente dell’Aran Antonio Naddeo al termine della riunione, sottolineando che sul testo presentato ieri, ricco di interventi anche sul terreno ordinamentale dalle relazioni sindacali al lavoro agile, «per l’Aran non c’è nessuna preclusione: siamo aperti alle soluzioni migliori e ad accelerare le trattative se le organizzazioni sindacali sono d’accordo».
Al di là dei posizionamenti negoziali ufficiali, le bozze di ieri aiutano a riassumere i termini principali del confronto. Gli aumenti sono naturalmente lontani dal coprire la super-inflazione del periodo, che avrebbe chiesto al bilancio pubblico la cifra ingestibile di 32 miliardi di euro; ma, in un conto che deve considerare gli anticipi riconosciuti a dicembre e ora consolidati dal contratto, superano in modo netto le offerte delle scorse tornate, che pure avevano viaggiato a ritmi più alti rispetto alle dinamiche dei prezzi dei rispettivi periodi di riferimento.
Lontano dalla parte economica, il testo completa molti percorsi avviati dal contratto 2019/21, firmato due anni fa, a partire dal lavoro agile liberalizzato dai vincoli generali e modulabile con la contrattazione integrativa per estendere il numero di giorni lontano dall’ufficio da riconoscere per particolari categorie di lavoratori come i fragili, i titolari di permessi ex legge 104 o i destinatari delle norme a tutela della genitorialità. Sul tavolo è finita poi la proroga al 30 giugno 2025 delle progressioni in deroga ai titoli di studio richiesti dai nuovi ordinamenti. La Cgil chiede di estendere la deroga a tutto il prossimo anno, mentre dalla Flp arriva un pacchetto di proposte concentrate su attuazione vera dell’area delle elevate professionalità, diritto alla carriera, lavoro agile e welfare aziendale.
Alla ripresa di settembre si capirà se a prevalere saranno i possibili punti di accordo o la volontà di attendere nuovi fondi da una manovra che però nelle premesse non si annuncia prodiga, stretta com’è dall’esigenza di non alimentare ulteriormente il debito mentre tornano in vigore i vincoli fiscali Ue e la sola esigenza di replicare le misure in vigore e coprire le spese obbligate chiede oltre 20 miliardi di euro.