Questo giudizio, forse non scontato per molti osservatori, viene dall’ultimo rapporto elaborato dalle due istituzioni dove sono messi a confronto stato di salute e performance sanitarie dei pasi UE. Tra i rilievi critici le ancora persistenti difformità assistenziali tra regioni, il ritardo nell’ottimizzazione dell’assistenza ai cronici, la crescita della spesa privata, la carenza di medici nei prossimi anni dovuta anche a stipendi troppo bassi, il mancato aumento di competenze per gli infermieri e lo scarso uso dei generici e il freno ai biosimilari. LA SCHEDA ITALIA, IL RAPPORTO INTEGRALE.
29 NOV – “L’Italia ha la seconda più alta speranza di vita in Europa, anche se notevoli disparità persistono tra le regioni, per genere e situazione socioeconomica. Nel complesso, il sistema sanitario italiano è efficiente, e garantisce un buon accesso a prestazioni sanitarie di elevata qualità a costi relativamente bassi, sebbene si registrino differenze considerevoli tra le regioni”, questo senz’altro positive giudizio sulla nostra salute e sulla nostra sanità è contenuto nell’ultimo rapporto elaborato dalla Commissione europea e dall’Oecd.
Per le due istituzioni “le principali sfide future per il sistema sanitario italiano consistono nel migliorare il coordinamento delle prestazioni sanitarie per la crescente fascia della popolazione affetta da malattie croniche, e ridurre le disparità di accesso alle cure”.
Ma vediamo nel dettaglio i punti salienti del rapporto.
Stato della salute
Nel 2017, la speranza di vita alla nascita in Italia ha raggiunto gli 83,1 anni, ponendo il paese al secondo posto nell’Unione europea dopo la Spagna. Nonostante che a partire dal 2000 il divario di genere nella speranza di vita sia diminuito, gli uomini italiani vivono in media ancora quattro anni in meno delle donne.
Sussistono inoltre notevoli disparità connesse alla situazione socioeconomica e a livello interregionale: gli uomini italiani meno istruiti vivono in media 4,5 anni in meno rispetto a quelli più istruiti, e le persone che risiedono nelle regioni più abbienti del Nord vivono oltre tre anni in più rispetto a chi vive in quelle meno prospere del Sud.
Fattori di rischio
A partire dal 2000, il numero di fumatori in Italia è diminuito leggermente, ma nel 2017 fumavano quotidianamente ancora un adulto su cinque, una cifra leggermente superiore rispetto alla media dell’UE (19 %). L’obesità tra gli adulti è aumentata dal 9 % nel 2003 all’11 % nel 2017, ma rimane tuttavia inferiore alla media dell’UE (15 %).
I problemi di sovrappeso tra i bambini e gli adolescenti rappresentano un’altra questione problematica per la sanità pubblica, con circa un quinto dei quindicenni in sovrappeso od obeso nel periodo 2013-2014, una quota prossima alla media dell’UE. Su una nota più positiva, la percentuale di adulti che dichiara regolarmente un consumo di alcolici elevato è molto più bassa rispetto alla maggior parte dei paesi dell’UE.
Spesa sanitaria
Nel 2017 la spesa sanitaria pro capite in Italia, pari a 2.483 euro, era del 15% inferiore rispetto alla media dell’UE, pari a 2.884 euro. La spesa sanitaria ha ripreso a crescere negli ultimi anni, ma a un ritmo più lento rispetto a quello della maggior parte dei paesi dell’UE.
In proporzione ai restanti settori economici, nel 2017 la spesa sanitaria era pari all’8,8% del PIL, un punto percentuale in meno rispetto alla media dell’UE del 9,8%.
La spesa sanitaria è finanziata per circa tre quarti con fondi pubblici, mentre la parte restante è principalmente a carico dei pazienti.
In seguito alla crisi economica, la quota dei pagamenti a carico dei pazienti nella spesa sanitaria è passata dal 21% del 2009 al 23,5% del 2017, a causa dei crescenti obblighi di compartecipazione alle spese per molti servizi sanitari e farmaci in diverse regioni.
La percentuale è nettamente superiore alla media dell’UE, pari al 16 %.
Il 40% delle spese out-of-pocket in Italia sono destinate all’assistenza medica ambulatoriale. Quasi la metà di questa voce di spesa è destinata alle cure odontoiatriche.
I prodotti farmaceutici ambulatoriali rappresentano invece circa il 30 % delle spese out-of-pocket totali. Le consultazioni del medico di famiglia sono gratuite, mentre occorre pagare il ticket per le visite specialistiche con prescrizione del medico di famiglia (senza prescrizione il costo è interamente a carico del paziente), per le procedure diagnostiche, e per i prodotti farmaceutici (per i farmaci non coperti totalmente dal SSN, nel caso in cui siano imposti ticket a livello regionale, e nel caso di spese dovute all’esistenza di una differenza di prezzo tra il prodotto farmaceutico acquistato e il prezzo di un prodotto alternativo equivalente meno costoso).
Efficacia
I bassi tassi di mortalità prevenibile e trattabile riflettono l’efficacia del sistema sanitario italiano. Dopo una riduzione di oltre il 10 %, osservata tra il 2011 e il 2016, l’Italia registra il secondo tasso più basso di mortalità prevenibile nell’UE, dopo Cipro.
Il basso tasso di mortalità prevenibile è frutto delle percentuali ridotte di mortalità per cardiopatie ischemiche, tumore al polmone, decessi accidentali, suicidi e malattie connesse al consumo di alcolici, che si attestano a livelli ben al di sotto delle medie dell’UE, grazie a una diffusione più limitata dei fattori di rischio e a una minore incidenza di questi problemi di salute.
Anche il numero di decessi ritenuti potenzialmente evitabili con il ricorso a interventi sanitari è stato uno dei più bassi dell’UE nel 2016, a dimostrazione dell’efficacia generale del sistema sanitario italiano nel trattamento di pazienti con affezioni potenzialmente letali.
TaIi risultati positivi sono legati a tassi di mortalità relativamente bassi per cardiopatie ischemiche, ictus e cancro colon-rettale, che sono considerevolmente inferiori rispetto alla media dell’UE, grazie all’efficacia dei trattamenti generalmente erogati per le patologie di questo tipo.
Accessibilità
In Italia i bisogni sanitari non soddisfatti sono in genere bassi, sebbene le fasce di popolazione a basso reddito e i residenti in alcune regioni incontrino maggiori ostacoli per accedere ad alcuni servizi.
Soltanto il 2 % circa della popolazione ha segnalato un bisogno sanitario non soddisfatto nel 2017, principalmente a causa di problemi connessi ai costi e a problematiche legate ai tempi di attesa.
Il tasso di bisogni sanitari non soddisfatti era maggiore tra i redditi più bassi (quasi il 5 %) rispetto ai redditi più alti (meno dell’1%).
I dati sui bisogni sanitari non soddisfatti indicano altresì notevoli differenze di accesso alle cure tra le regioni: i cittadini delle regioni meridionali, meno prospere, hanno una probabilità quasi doppia di riscontrare un bisogno sanitario non soddisfatto rispetto a quelli nelle più ricche regioni settentrionali.
Nelle regioni meridionali sono superiori anche il tasso di bisogni sanitari non soddisfatti legati ai tempi di attesa e alle distanze da percorrere.
Resilienza
Come in molti altri Stati Membri, negli anni a venire l’invecchiamento della popolazione eserciterà pressioni sui sistemi sanitari e di assistenza a lungo termine; sarà quindi necessaria una maggiore efficienza, che deriverà da un’ulteriore evoluzione dei modelli di erogazione del servizio verso un’assistenza per le malattie croniche prestata al di fuori delle strutture ospedaliere.
Dopo la crisi economica del 2009 e la lenta crescita economica degli ultimi anni, la spesa sanitaria pubblica in Italia è cresciuta a un tasso molto modesto, in media di circa lo 0,2 % all’anno in termini reali tra il 2010 e il 2017. Poiché il PIL è cresciuto poco più rapidamente in quel periodo, la spesa sanitaria pubblica in percentuale del PIL ha registrato un lieve calo, passando dal 7,0 % nel 2010 al 6,5 % nel 2017.
Guardando al futuro, si prevede che, come in molti altri Stati Membri dell’UE, negli anni e nei decenni a venire l’invecchiamento della popolazione e la crescita economica moderata andranno ad esercitare pressioni sulla spesa pubblica sulla sanità e sull’assistenza a lungo termine.
Secondo stime recenti, la spesa sanitaria pubblica aumenterà di 0,7 punti percentuali del PIL tra il 2016 e il 2070, mentre la spesa pubblica per l’assistenza a lungo termine dovrebbe aumentare di 1,3 punti percentuali, in larga misura in linea con la media dell’UE.
Personale sanitario
Mentre il numero totale dei medici per abitante in Italia è superiore alla media dell’UE (4,0 rispetto al 3,6 per 1 000 abitanti nel 2017), il numero dei medici che esercitano negli ospedali pubblici e in qualità di medici di famiglia è in calo, e oltre la metà dei medici attivi ha un’età superiore ai 55 anni: tale situazione desta serie preoccupazioni riguardo alla futura carenza di personale.
L’offerta limitata di nuovi medici sta infatti mettendo a dura prova le capacità di alcune unità sanitarie locali e aziende ospedaliere di occupare i posti di lavoro vacanti, con un conseguente aumento della carenza di personale.
Per migliorare l’attrattiva dei contratti di lavoro, nel 2019 è stato adottato un decreto (il decreto “Calabria”, ndr.) che conferisce alle regioni maggiore flessibilità per l’offerta di contratti a tempo indeterminato in sostituzione dei medici prossimi al pensionamento.
L’Italia impiega però meno infermieri rispetto a quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale (ad eccezione della Spagna) e il loro numero è notevolmente inferiore alla media dell’UE (5,8 infermieri per 1 000 abitanti contro gli 8,5 dell’UE).
In Italia il quadro normativo per l’assistenza infermieristica non è ancora stato riveduto per consentire la creazione di nuovi ruoli e il trasferimento di compiti e delle responsabilità, come è invece avvenuto in altri paesi dell’UE.
Tuttavia, secondo un’indagine condotta nel periodo 2015-2016 tra gli operatori sanitari, i dirigenti sanitari e pazienti, circa il 30 % degli intervistati ha dichiarato che nei cinque anni precedenti vi sono stati cambiamenti di ruolo del personale infermieristico impiegato nella gestione dei casi di tumore al seno.
Oltre il 50 % degli intervistati ha citato un ampliamento del ruolo degli infermieri nella gestione dei casi di infarto miocardico acuto (Maier et al., 2018).
In concreto, tali risultati indicano che in Italia sembra emergere un trasferimento dei compiti, per la cui ulteriore attuazione potrebbe essere necessarie modifiche normative volte a rimuovere gli ostacoli rimanenti.
Medici poco pagati e costretti a migrare
Tra il 2010 e il 2016 il numero dei laureati in medicina nelle facoltà italiane è passato da circa 6.700 a oltre 8.000 unità. Tuttavia, non riuscendo a trovare un tirocinio e una specializzazione per completare la formazione poiché i posti sono limitati a un numero totale nettamente inferiore a quello dei laureati, molti neolaureati hanno deciso di andare all’estero per portare a termine la loro formazione specialistica.
In aggiunta, si sono trasferiti all’estero anche medici appena formati in Italia, desiderosi di beneficiare di migliori opportunità di lavoro, dato che le retribuzioni inziali dei medici in Italia sono molto basse (dai 2.000 ai 2.500 euro al mese, anche per i chirurghi generali).
Di conseguenza, tra il 2010 e il 2018, oltre 8.800 neolaureati in medicina o medici già in possesso di una formazione completa hanno lasciato l’Italia per trovare un tirocinio o un posto di lavoro in un altro paese Europeo. Il fenomeno è stato compensato solo in parte dall’afflusso, nello stesso periodo, di 1.100 medici formatisi all’estero.
Pochi farmaci generici
Benché tra il 2005 e il 2017 sia passata dal 7 % al 25 % in volume, la quota di mercato dei farmaci generici in Italia resta notevolmente inferiore alla media dell’UE.
Ciò, secondo il report, è in parte dovuto al fatto che la retribuzione dei farmacisti è calcolata in base a una percentuale fissa del prezzo dei prodotti, aspetto che costituisce un disincentivo a proporre ai clienti farmaci generici (meno costosi).
Per i biosimilari non è stata adottata la sostituzione automatica
Nel dicembre 2016 è stata approvata una nuova legge per migliorare l’accesso ai farmaci biosimilari. L’Agenzia Italiana del Farmaco ha adottato norme specifiche che interessano anche la sostituibilità dei prodotti e l’approvvigionamento pubblico di farmaci biosimilari attraverso gare d’appalto regionali.
Pur avendo riconosciuto che i medicinali biosimilari e i relativi medicinali di riferimento abbiano gli stessi benefici terapeutici, l’Agenzia non ha reso obbligatoria la sostituzione automatica tra i due prodotti.
In seguito all’immissione sul mercato di un farmaco biosimilare, i medici possono decidere se prescrivere o meno la nuova alternativa terapeutica.
In Italia, come in molti paesi dell’UE, la diffusione dei medicinali biosimilari varia notevolmente a seconda del prodotto e dell’ambito terapeutico.
Menzione nel report anche sui vaccini. Nel 2017 si evidenzia è stato approvato un piano nazionale di prevenzione vaccinale, che ha dato vita a un unico programma nazionale di vaccinazione comprendente dieci vaccini obbligatori per i bambini. L’attuazione del piano è stata indebolita nel Giugno 2018 dalla decisione del governo successivo di permettere ai genitori di dimostrare agli istituti scolastici la situazione vaccinale dei figli con un’autocertificazione e non necessariamente mediante un certificato medico. Nel mese successivo a tale provvedimento, si è registrato un aumento dei casi di morbillo nel paese, in seguito al quale si è deciso di ripristinare l’applicazione dell’obbligo vaccinale. La scarsa coerenza politica da parte del governo costituisce uno dei fattori che rafforza l’esitazione vaccinale e i movimenti “No vax” in Italia.
29 novembre 2019
FONTE: QUOTIDIANO SANITA’ (LINK: https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=79263)
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