Entro il prossimo 30 settembre circa 2.500 enti territoriali (regioni, città metropolitane, province e comuni) dovranno approvare il loro primo bilancio consolidato. Si tratta di un passaggio importante, previsto dal nuovo ordinamento contabile per tentare di portare a galla le tante magagne che spesso gli amministratori locali hanno nascosto nelle loro migliaia di partecipate, spesso create o acquisite proprio a tale scopo. La scadenza, tuttavia, è a forte rischio, considerato il ritardo accumulato nella chiusura dei rendiconti e le difficoltà imposte dalla riforma dei bilanci societari.
Il fenomeno dell’esternalizzazione ha assunto nella p.a. locale dimensioni impressionanti, dando vita a una giungla di enti, organismi e società che l’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, aveva stimato (per difetto) in almeno 8.000. I numerosi tentativi di «disboscamento» si sono finora rivelati vani, per cui il legislatore ha elaborato una sorta di piano B. Con il dlgs 118/2011, insieme ad altre numerose novità, è stato introdotto l’obbligo generalizzato di redigere un bilancio c.d. consolidato. Esso è chiamato a fornire la rappresentazione veritiera e corretta della consistenza economica, patrimoniale e finanziaria dei «gruppi» che fanno capo a ciascun ente. La logica, in altri termini, è la stessa già da decenni sperimentata nel settore privato, dove chi detiene partecipazioni qualificate deve esporre in modo analitico il loro impatto sul proprio conto economico e sul proprio stato patrimoniale.
Nel settore pubblico, tale strumento è diventato obbligatorio solo negli ultimi anni: in precedenza, al di là di alcune meritorie buone prassi (come quella del comune di Torino), i bilanci hanno sempre rappresentato una fotografia parziale e molto sfocata dell’effettivo stato di salute delle diverse amministrazioni. Difficile, per esempio, conoscere l’effettiva consistenza dei debiti commerciali, ovvero l’esposizione complessiva verso le banche, oppure ancora il reale costo della manodopera impiegata. Chi avesse voluto ricostruire queste informazioni, avrebbe dovuto cimentarsi in un complesso (e, in mancanza di regole chiare, aleatorio) esercizio di aggregazione di bilanci diversi per struttura, contenuti e tempistica di approvazione.
Adesso, invece, a farsi carico di questo onere dovranno essere gli stessi enti: dopo la sperimentazione che, a partire dal 2012, ha coinvolto circa 400 amministrazioni, nel 2017 sarà la volta delle 20 regioni, delle circa 100 fra città metropolitane e province e di circa 2.400 comuni con più di 5.000 abitanti.
L’approfondimento completo su ItaliaOggi Sette in edicola da lunedì 31 luglio 2017
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