Lavorare a scuola non paga, almeno dal punto di vista economico. Lo avevamo scritto alla vigilia di Ferragosto, nel pubblicare i dati del bollettino semestrale dell’Osservatorio JobPricing (JP Salary Outlook) sui Paesi Ocse: in Italia i laureati guadagnano 65.000 euro l’anno e fanno carriera, nella scuola si portano a casa appena 29.000 euro di media e quasi nessuno sale di livello. Stavolta a sottolineare la modestia dei compensi di chi opera per la formazione dei giovani fino alla maturità è stato l’Inps: all’interno del Rendiconto Civ dell’Istituto, presentato il 30 ottobre, l’Istituto nazionale di previdenza sociale ha sottolineato che nel 2023 (prima dell’ultimo rinnovo contrattuale, il Ccnl 2019/21, datato gennaio 2024) i dipendenti pagati meno nel pubblico impiego sono stati quelli della scuola con 96,4 euro lordi medi guadagnati al giorno tra le donne e 97,1 tra gli uomini.
Quelli assegnati nella scuola risultano guadagni davvero ingiustificatamente bassi: basti pensare che si realizza una media delle buste paga di tutta la pubblica amministrazione italiana, le donne prendono in media 110,5 euro al giorno e gli uomini 141,2. Quindi, la scuola sta sotto tra i 14 e i 45 euro circa al giorno.
Gli stipendi del personale scolastico si potrebbero accostare ai dipendenti delle attività manifatturiere: in questo comparto, le donne prendono in media 91,9 euro al giorno e gli uomini 115.
A rendere ancora più umiliante, ma anche beffarda, la situazione, in particolare dei docenti e del personale Ata (che si attestano sotto i 25mila euro lordi annui), è il fatto che i dipendenti statali pagati meglio pagati settimanalmente risultano quelli che operano nell’Università e nella Ricerca (148,6 euro al giorno le donne e ben 183,3 gli uomini).
Chi lavora nei contesti accademici, addirittura, supera i compensi medi dei dipendenti delle amministrazioni centrali e delle autorità indipendenti, che percepiscono 149 euro al giorno (le donne) e 159,4 (gli uomini).
Un recente studio, l’Ocse Talis, diffuso da Invalsi, risulta che gli insegnanti guadagnano in media circa 29.000 euro (neanche la metà di chi si è laureato e lavora in altri contesti lavorativi): inoltre, per insegnanti gli scatti automatici di carriera non portano grandissimi vantaggi, perché mediamente comportano incrementi del 33% (grazie agli scatti automatici che subentrano circa ogni cinque anni), con il salto maggiore tra i 55 e i 64 anni.
Alla fine della carriera, dopo 35 anni di servizio, sempre in Italia si può al massimo incrementare del 50% il compenso ricevuto nei primi anni.
L’unica “consolazione” è che nella scuola, almeno, non risulta presente alcun divario di trattamento economico tra uomini e donne: un gap che nel lavoro privato diventa quasi schiacciante, visto che
il Rendiconto dell’Inps sottolinea come per i dipendenti privati la retribuzione media giornaliera sia 77,6 per le donne e 104,4 per gli uomini (+34,54%) con una differenza significativa soprattutto per le attività immobiliari con 75,1 euro per le femmine e 126,2 per gli uomini (+68,04).
Una curiosità: l’unico settore nel lavoro dipendente con la retribuzione più alta per le donne è quello dell’estrazione dalle cave e miniere con 169,4 euro medi per le donne e 165,5 per gli uomini.
Complessivamente, l’Inps ha rilevato che in Italia le retribuzioni medie settimanali lorde degli uomini nel 2023 sono state in media pari a 643 euro, superiori del 28,34% rispetto ai 501 euro medi percepiti dalle donne.
Inoltre, c’è una differenza significativa tra la media delle retribuzioni dei lavoratori comunitari (uomini e donne), pari a 582 euro a settimana e quella degli extracomunitari, pari a 385 euro a settimana (+51%).
Gli stranieri sono il 10,7% degli occupati ma superano il 25% tra i nuovi assunti. Tra gli extracomunitari le donne prendono in media 309 euro a settimana e 432 gli uomini.
Nel rendiconto sociale dell’Inps, elaborato e presentato dal CIV (Consiglio di Indirizzo e Vigilanza) il 30 ottobre, emerge un dato allarmante ma già noto, piaga del sistema scolastico attuale. Nel 2023 docenti e personale ATA sono i dipendenti pagati meno nel pubblico impiego, con 96,4 euro lordi medi al giorno per le donne e 97,1 per gli uomini.
Una condizione economica inaccettabile, avvalorata da un altro studio, presentato da Ocse Talis, che mostra come gli insegnanti guadagnino in media 29mila euro l’anno, ovvero neanche la metà dei laureati che operano in altri settori. A rendere ancora più evidenti queste disuguaglianze sono gli incrementi stipendiali previsti per i dirigenti scolastici, che negli ultimi anni hanno beneficiato di significativi aumenti, portando a compensi sempre più distanti da quelli dei docenti, con ingiustificabili divari retributivi.
Gilda: “Correggere ingiustizie retributive”
“La Federazione Gilda Unams in virtù delle imminenti trattative contrattuali, ritiene indispensabile correggere tali ingiustizie retributive, che contribuiscono ad un impoverimento del personale della scuola e intende lavorare per un’equiparazione salariale. Ad esempio, riversando tutte le risorse disponibili attualmente distribuite, nella RPD (Retribuzione Professionale Docenti), oltre a separare il contratto per la docenza dagli automatismi del pubblico impiego.
Non si può ignorare che l’essenza del sistema educativo risiede nel lavoro quotidiano di docenti e personale scolastico, investire sulla scuola significa garantire dignità e valorizzazione economica, evitando disparità che rischiano di minare la qualità dell’insegnamento”, così in una nota la Gilda degli Insegnanti.
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