Si è svolto ieri a palazzo Vidoni l’incontro tra il Ministro della funzione pubblica e le confederazioni sindacali avente ad oggetto “questioni connesse al lavoro pubblico”.
Nella riunione, durata più di due ore e mezza, il ministro ha chiesto la collaborazione delle organizzazioni sindacali per rilanciare il lavoro pubblico invertendo le politiche di austerità che hanno prodotto il blocco delle assunzioni e il blocco delle retribuzioni. Due situazioni definite patologiche dallo stesso ministro ma che possono essere superate costruendo anche un nuovo modello di pubblica amministrazione che sia più utile ai cittadini. Un modello che deve nascere dal lavoro tra sindacati e ministero sul rinnovo dei contratti e sulla stesura del nuovo testo unico del pubblico impiego.
Quattro sono i punti che il ministro pone sul tavolo per la discussione:
Assunzioni: devono essere funzionali a reclutare le professionalità che servono. Il reclutamento deve quindi essere legato ai fabbisogni e non più alle piante organiche. Il sistema concorsuale non deve essere parcellizzato ma unitario. Turn over sì ma selettivo. Vanno riviste anche le forme di flessibilità del pubblico impiego che hanno dato vita a contenziosi come quelli sul “tempo determinato”.
Mobilità: quanto attuato con la modifica del DL 90/2014 si è rilevato molto funzionale, si è riusciti a riassegnare i dipendenti delle provincie.
Valutazione: bisogna premiare chi fa bene. Con il decreto sui “furbetti del cartellino” abbiamo dato un segnale forte contro chi non fa il proprio dovere ora dobbiamo premiare chi lavora bene. Non ci deve essere più un sistema premiante “a pioggia”, premiare significa essere selettivi. Occorre lavorare assieme per individuare un sistema di valutazione che differenzi sulla base del merito.
Contratto: forse nella prossima legge di stabilità, se ci sarà la disponibilità, si potrà trattare anche il tema del contratto stanziando nuovi fondi. Per ora lavoriamo con quelli che ci sono e diamo avvio alla contrattazione.
La proposta che arriva dal ministro è di proseguire in sede Aran con un incontro tecnico, da effettuarsi entro il 10 settembre, dove poter raccogliere le proposte per stilare l’atto di indirizzo sulla contrattazione e indicazioni da inserire nel testo unico del pubblico impiego.
Attraverso la Confederazione CGS, abbiamo ribadito la necessità in primo luogo di avere un quadro giuridico certo che chiarisca quali relazioni sindacali sono possibili con la parte datoriale e quali materie possono trovare spazio nel contratto. Come anche altre confederazioni abbiamo chiesto maggiori risorse dopo 7 anni di blocco stipendiale perché lo 0,4% del monte salari è certamente insufficiente.
Abbiamo altresì dato la disponibilità ad affrontare nello specifico i temi posti dal ministro al tavolo tecnico presso l’Aran.
Alcune riflessioni personali.
Si è trattato di un incontro politico ed esplorativo su temi generali senza alcun impegno concreto. Non c’era alcuna bozza di testo o di direttiva. L’impressione personale che ho ricavato è che il governo voleva sondare l’umore sindacale per capire quali scenari si deve aspettare in autunno alla vigilia del voto sulla riforma della costituzione, appuntamento fondamentale per la vita di questo governo.Dagli interventi delle maggiori confederazioni e dai toni usati pare proprio che sarà un autunno tranquillo e che i sindacati del pubblico impiego non si metteranno di traverso a Renzi felici di essere ascoltati due volte l’anno.
La questione non è tecnica (da trattare in ambito Aran) bensì politica. Come si potrà rinnovare un contratto con soli 300 milioni euro? E se anche nella prossima legge di stabilità si raddoppiassero le risorse cosa cambia? 20 euro lordi o 10 euro non permettono di indennizzare gli 11 miliardi risparmiati e certificati dalla Corte dei Conti e i 7 anni di blocco degli stipendi. Ricordiamo che l’attuale DEF prevede 11 euro lordi di aumento mensile fino al 2018 e poi fino al 2021 solo l’indennità di vacanza contrattuale. E, pare ormai chiaro, non tutti riceveranno questi 11 euro ma saranno riversati nel salario di produttività e quindi soggetto a una distribuzione selettiva dei lavoratori.
La questione è politica perché è necessario avere un quadro giuridico chiaro per capire se lo Stato si riserva materie importanti che erano prima dominio della contrattazione e che spazio di trattativa lascia ai sindacati nelle relazioni sindacali. Il testo Unico sul pubblico impiego chiarirà questi aspetti e solo allora sapremo se il governo vuole realmente lavorare assieme alle rappresentanze dei lavoratori per riformare la pubblica amministrazione oppure se ha voluto solo prendere tempo per non giungere al referendum con una posizione chiara che darebbe motivo ai 3 milioni di dipendenti pubblici di votare NO per mandare a casa questo governo che a voce dice di voler valorizzare la più importante risorsa della pubblica amministrazione ma poi nei fatti non mette le risorse economiche adeguate preferendo finanziare onerosi sgravi fiscali alle imprese e bonus “a pioggia” dal sapore beffardo come i 300 milioni stanziati per chi compie 18 anni nel 2016.
Dunque sarà il combinato disposto legge di stabilità 2017 e riforma del Testo Unico sul pubblico impiego che deciderà il destino dei pubblici dipendenti. E non è detto che sia bene arrivare a questo appuntamento con questo governo.