– La Pubblica Amministrazione, una risorsa per il Paese;
– La contrattazione quale strumento per la valorizzazione del personale ed il mi glioramento dei servizi;
– L’ordinamento, lo sviluppo professionale e il merito;
– Il Lavoro Pubblico, la tutela dei diritti ed il rispetto dei doveri;
– Un sindacato partecipativo, per migliorare la PA e contrastare gli sprechi e le esternalizzazioni delle attività e dei servizi;
– Per una nuova PA attraverso il ricambio generazionale e diverse politiche previdenziali.
La Pubblica Amministrazione, una risorsa per il Paese
Una buona e funzionale Pubblica Amministrazione non è per il Paese un lusso, o una spesa improduttiva.
La Pubblica Amministrazione in un paese democratico è garanzia di rispetto delle regole, di convivenza democratica, di sicurezza, di istruzione, formazione e ricerca scientifica di qualità, di fruizione e conservazione di beni storici e culturali, di servizi sociali e sanitari accessibili a tutti, compreso i meno abbienti.
E’ lo strumento fondamentale per la regolazione dei mercati mediante il contrasto ai fenomeni evasivi ed elusivi, alle contraffazioni e al contrabbando, e quindi alla concorrenza sleale di chi, contravvenendo alle leggi, altera le regole di mercato, penalizzando le aziende sane. E’, per il tramite della scuola statale gestita dagli enti locali, strumento essenziale per garantire lo sviluppo economico e sociale del Paese. Un sistema di istruzione e formazione che fornisca gli strumenti necessari alle nuove generazioni per sostenere le sfide del prossimo futuro e un avanzato settore della ricerca sono le condizioni imprescindibili per garantire al paese un’ adeguata competitività internazionale nel panorama mondiale attuale.
Con la semplificazione normativa, la delegificazione, la digitalizzazione, senza perdere la funzione di orientamento e controllo che gli spetta, la P.A. può divenire un’importante fattore di creazione di valore, permettendo alle aziende e alle nuove imprenditorialità di dispiegare tutte le loro potenzialità in un mercato sempre più globale e concorrenziale.
Con la riscrittura e la risistemazione degli attuali livelli di governo e di articolazione sul territorio deve divenire sempre più vicina ai cittadini, fruibile, efficace, meno complessa, senza però perdere la sua capillarità, la sua funzionalità, la caratteristica peculiare di essere funzione pubblica al servizio del Paese nel rispetto delle norme costituzionali.
In questa direzione, forte è la contrarietà della CGS, Confederazione maggiormente rappresentativa nei comparti del lavoro pubblico, nei confronti delle operazioni messe in campo dai governi e dal Parlamento negli ultimi quindici anni di ridimensionamento delle strutture, degli uffici e degli organici, di privatizzazioni selvagge, di spregiudicate operazioni che hanno esternalizzato funzioni e servizi, aumentando a dismisura i costi, diminuendo nel contempo la qualità dei servizi e delle prestazioni rese.
In tale ambito intendiamo lanciare una vera sfida al Governo in ordine alla grandi scelte che devono investire nell’ immediato futuro la nostra Pubblica Amministrazione e che all’interno della legge delega recentemente approvata fatichiamo ad individuare.
In uno scenario che vede le parti sociali escluse dai processi “riformatori”, continueremo a produrre comunque le nostre idee e proposte, non rinunciando al ruolo che possiamo e dobbiamo avere, consapevoli che ove persistessero le scelte unilaterali e autoreferenziali di questi mesi non esiteremo a scendere di nuovo in piazza come avvenuto più volte in modo anche unitario negli ultimi mesi.
La contrattazione quale strumento per la valorizzazione del personale e il miglioramento dei servizi
L’inaccettabile approccio dei governi che si sono succeduti in questi anni nei confronti del lavoro pubblico lo si è avuto sul mancato diritto al contratto e sui rinnovi contrattuali con la consistente riduzione in molti casi fino al 50% dei fondi aziendali destinati alla contrattazione integrativa.
Il blocco dei contratti del pubblico impiego, che dura ormai da 7 anni, ha determinato non solo la riduzione drastica del potere d’acquisto dei salari delle lavoratrici e dei lavoratori, ma anche l’indebolimento di diritti, oggetto di ripetute incursioni legislative punitive e lo svilimento delle professionalità, anch’ esse bloccate per legge sia nelle dinamiche economiche che professionali.
Eppure vi era, e tanto più vi è ora, la necessità di riconoscere le professionalità esistenti, ingessate in ordinamenti ormai superati.
Le battaglie da noi condotte anche nelle aule dei tribunali per mettere fine all’ odiosa discriminazione nei confronti dei lavoratori pubblici ha portato, come è noto, alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’ illegittimità costituzionale delle norme che bloccano la contrattazione nel pubblico impiego, permettendo finalmente che si potesse ritornare a parlare di rinnovo dei contratti, in uno scenario che invece, senza la nostra azione, sarebbe stato ancora fermo per anni.
La normativa sul pareggio di bilancio e l’ incredibile campagna mediatica sui presunti costi del rinnovo dei contratti con effetto retroattivo ha portato alla sentenza che riconosce la cosiddetta “sopravvenuta” con la decorrenza economica successiva alla pubblicazione della sentenza stessa.
Ma il Governo non rispetta neanche questa sentenza.
Con la legge di stabilità 2016, infatti, ha stanziato una posta assolutamente irrisoria per il 2016 e ha bypassato completamente il 2015. Inoltre il DEF 2016 estende lo stesso finanziamento (310 milioni di euro) per tutto il triennio 2019-2021. Ferme restando le iniziative assunte di fronte alla Corte dei Diritti dell’uomo di Strasburgo che vedono la nostra Confederazione impegnata con uno storico ricorso teso a far sì che vi sia il riconoscimento di un adeguato indennizzo per gli anni di blocco, e la condanna del Governo Italiano che elude la sentenza, per la CGS comunque il rinnovo dei contratti dovrà decorrere dal 1 luglio 2015 e l’incremento economico dovrà tenere conto in modo chiaro della perdita di potere d’acquisto subita in questi anni.
Gli stessi indici basati sull’IPCA (Indice Prodotti al Consumo al netto dell’andamento dei prezzi petroliferi) che avrebbero dovuto costituire l’ indicatore per il rinnovo dei contratti a partire dal 2010 e che avrebbero dovuto operare a regime e con regolarità per un triennio, non sono ormai adeguati a svolgere il proprio compito e recuperare il gap che si è prodotto in questi anni.
Anche alla luce del ridisegno dei comparti di contrattazione occorrerà quindi mettere in campo un insieme di azioni che intervengano sui diversi livelli di contrattazione e che permettano di rivalutare lo stipendio, aggiornare le indennità delle singole amministrazioni, rifinanziare e rilanciare i livelli di contrattazione integrativa, consentire gli sviluppi di carriera, omogeneizzare i contratti sotto l’aspetto normativo e giuridico garantendo in ogni caso le specificità professionali di categoria, uniformandosi alle esperienze migliori e positive, sia di livello nazionale e sia di livello europeo.
Con risorse che sono reperibili all’ interno del bilancio dello Stato se veramente si vuole fare una seria lotta agli sprechi e alle inefficienze della spesa pubblica per appalti, consulenze, esternalizzazioni; se si mette in campo una vera azione di contrasto all’evasione fiscale e contributiva che permette l’ arricchimento di pochi e l’impoverimento di tanti. Bisogna utilizzare tutti i risparmi di gestione reinvestendoli nel personale e nelle dinamiche retributive estendendo anche al lavoro pubblico lo strumento della defiscalizzazione dei premi di produttività ormai da tempo in uso nel privato.
Rispediamo al mittente le ipotesi di rinnovi contrattuali al ribasso o diversificate, che non porterebbero alcun beneficio economico ai lavoratori e creerebbero solo soluzioni assolutamente inaccettabili, vista la situazione economica in cui versano circa 3 milioni di lavoratori e le loro famiglie.
Lo Stato italiano è l’ unico datore di lavoro che decapitalizza il proprio patrimonio, svaluta e non investe nel personale che è la vera risorsa che può permettere il cambiamento e il realizzarsi di quelle riforme di cui necessitano le amministrazioni pubbliche. Come si può pensare di dare gambe a una riforma della PA bloccando i salari di chi dovrebbe impegnarsi maggiormente per realizzare le innovazioni di cui le organizzazioni e i servizi hanno bisogno?
Crediamo nella contrattazione come strumento centrale per garantire una migliore efficienza delle Amministrazioni e delle funzioni che svolgiamo, perché mediante gli strumenti della partecipazione, del confronto e della negoziazione è sicuramente possibile garantire una migliore organizzazione del lavoro e una maggiore fruibilità dei servizi, rispetto alle azioni unilaterali e solitarie dei capetti di turno.
Pensiamo che il contratto possa e debba garantire attraverso un mix combinato di azioni, il diritto alla formazione, all’accrescimento professionale, all’articolazione dell’ orario di lavoro, al riconoscimento dei diritti e all’individuazione dei doveri.
Vogliamo ridare al contratto la funzione primaria di regolazione del rapporto di lavoro superando le leggi e leggine che hanno ripubblicizzato il rapporto di lavoro in senso unicamente punitivo, anche con penalizzazioni sul salario in caso di malattia che non trovano eguali in altri settori e in altri Paesi. Noi vogliamo batterci e ci batteremo questo sia chiaro, per un contratto a tutto tondo in cui l’intera parte economica costituisca parte fondamentale dello stesso, anche ai fini pensionistici (indennità, salari accessori in generale, buoni pasto, etc).
L’ Ordinamento, lo sviluppo professionale e il merito
Siamo convinti che occorra partire (o ripartire) dal lavoro pubblico e dai lavoratori pubblici che sono una risorsa importantissima per il Paese e una incredibile leva occupazionale anche e soprattutto se legata ai servizi che vengono erogati ed alla loro maggiore qualità.
Pensiamo che l’ occasione dei rinnovi contrattuali nell’ambito dei nuovi comparti del Pubblico Impiego, possa essere utilizzata per superare ordinamenti professionali ormai obsoleti, modernizzare e rendere gli stessi funzionali al progetto di inserimento nelle diverse Amministrazioni, partendo dai nuovi ambiti di riferimento (nuovi comparti), salvaguardando nel contempo le loro specificità.
Proprio i criteri che hanno ispirato le aggregazioni nei nuovi comparti tendono a valorizzare le affinità professionali. Così pensiamo debba essere anche per i contratti di settore: valorizzare le professionalità e le relative assunzioni di responsabilità che hanno gradualità diverse.
In questo contesto, pensiamo ad uno sviluppo professionale che consenta il dispiegarsi delle carriere, rivedendo le attuali aree funzionali verso l’alto (eliminazione di quella iniziale, creazione dell’area quadri e implementazione di quella dei professionisti, valorizzare il management sanitario e le specialità cliniche, garantire la specificità professionali dei docenti) trovando soluzioni moderne che consentano al personale pubblico di crescere professionalmente ed economicamente.
Nella considerazione che la legge Brunetta, non solo non ha creato fattori di crescita ma ha impedito lo sviluppo del personale, vietando le carriere interne e diventando così fattore di demotivazione per milioni di lavoratori, pensiamo di avviare una forte rivendicazione per la modifica della predetta norma anche allo scopo di reintrodurre la possibilità di seri percorsi professionalizzanti che consentano al personale di mettersi in gioco e misurarsi ai fini di un adeguato sviluppo professionale verticale.
Nell’ambito dell’ istruzione, essendo la professione docente tutelata costituzionalmente, attraverso la libertà di insegnamento prevista dall’art. 33 della Costituzione, va perseguita la rivendicazione di un’area di contrattazione specifica e separata per la docenza.
In ambito sanitario va individuata una categoria a sé per chi svolge le funzioni di coordinamento e di specialista clinico.
Sul fronte del merito, ribadita la nostra posizione critica di fondo sull’ attuale modello, non può non essere confermata la disponibilità e la necessità politico sindacale di affrontare senza alcun timore reverenziale l’ineludibile problematica della performance del personale pubblico.
In questo quadro occorre però riaprire un dialogo vero e concreto fra le parti attraverso il superamento della riserva di legge sulla materia per ridare ai lavoratori pubblici attraverso le loro rappresentanze, strumenti idonei al fine di affrontare seriamente il tema del merito, fuori dal canale mediatico creato volutamente intorno allo stesso.
Sulle fasce di merito pensiamo che vadano superate le rigidità predeterminanti e che, ad esempio, il riferimento da prendere in considerazione non debba essere l’ufficio, il reparto/servizio o il dipartimento bensì l’intero ente di appartenenza.
Il lavoro Pubblico, la tutela dei diritti, il rispetto dei doveri
L’ attacco mediatico portato strategicamente e con violenza al lavoro pubblico e al lavoratore pubblico, agli occhi di un osservatore comune, rende quasi anacronistica la scelta di una difesa, anzi di un vero e proprio rilancio sul tema della tutela dei diritti e, aggiungiamo noi, del rispetto dei doveri.
L’ esperienza e gli accadimenti dei nostri giorni, rendono evidente come questo sia invece uno dei temi centrali per il rispetto dovuto a milioni di lavoratori, quelli pubblici, che svolgono quotidianamente il loro dovere al servizio dello Stato, nelle diverse forme professionali e sotto le più diverse amministrazioni, centrali e periferiche. La soluzione non può essere quella di ridurre i diritti attraverso la legislazione ne tanto meno quella di urgenza.
Oltre alla modifica delle attuali norme legislative che rendono inesigibili i diritti sanciti dai precedenti rinnovi contrattuali, occorre la definizione di un accordo quadro per tutto il pubblico impiego o accordi quadro di singolo comparto che rilancino la fase contrattuale sul tema dei diritti e dei doveri e, con l’ occasione, siano capaci di eliminare le attuali disparità giuridico-ordinamentali in materia di diritti costituzionalmente garantiti, oltre a modificare e integrare gli istituti che mirano concretamente a offrire risultati positivi per i dipendenti pubblici.
Esempi che possono essere considerati “di scuola”, sono quelli relativi alle sanzioni disciplinari con l’assoluta assenza di terzietà ed il disarmonico sviluppo dei trattamenti previsti per le persone/dipendenti affette da gravi patologie.
Nell’ambito della tutela dei diritti, sempre in un contesto di accordo quadro, occorrerà sviluppare altri temi che sono intimamente legati alla qualità della vita dei pubblici dipendenti e che riguardano i tempi di conciliazione lavoro-famiglia, la politica degli orari ed il welfare aziendale.
Così come andranno ribaditi i doveri in termini di rigoroso rispetto delle norme contrattuali, di deontologia e di servizio che debbono caratterizzare sempre più l’ attività ed il comportamento di tutti coloro che, a diverso titolo e con le svariate funzioni svolte, ogni giorno rappresentano la Pubblica Amministrazione in questo Paese.
Lotta agli sprechi e alle esternalizzazioni: per migliorare la PA occorre un sindacato partecipativo
Siamo convinti che un buon modo per recuperare risorse, anche da utilizzare internamente alle singole Amministrazioni per lo sviluppo delle politiche del personale e per rendere migliori servizi al cittadino utente, possa essere quello di reinternalizzare tutta una serie di servizi che, per scelta politica e amministrativa, in questi anni sono stati appaltati all’esterno della Pubblica Amministrazione italiana e che continuano a sfuggire alla verifica ed al controllo degli ormai innumerevoli commissari alla spending review o della autorità politica di turno.
Pensiamo che i contratti di lavoro possano contenere clausole che consentano alle parti sociali di dare il proprio contributo partecipativo, ai diversi livelli, in ordine alla scelte di carattere organizzativo che riguardano la tipologia e la qualità dei servizi e delle attività, siano essi interni alle stesse Amministrazioni siano essi esterni verso l’utenza ed i cittadini in generale.
Pensiamo che anche per quanto riguarda la politica degli appalti nella PA, ci possano essere espliciti riferimenti di ambito contrattuale che consentono alle parti sociali di intervenire e interloquire con le singole Amministrazioni per verificare e per monitorare lo stato e lo sviluppo delle attività connesse, a livello centrale e nei singoli territori, in un quadro più ampio di relazioni sindacali nell’interesse dei cittadini e dei lavoratori pubblici e di quelli privati che operano a contatto con le strutture pubbliche.
Il tentativo strisciante di privatizzare servizi pubblici fondamentali previsti dalla Carta Costituzionale si sta palesando anche attraverso lo sviluppo del terzo settore che sta trovando nuovo impulso nelle politiche governative. Il definanziamento dei servizi pubblici e il blocco del turn over portano in primis disservizi ai cittadini che vengono di fatto dirottati al privato a pagamento e così, portati all’ esasperazione per l’inefficienza organizzativa, si formano una pessima opinione del servizio pubblico e del dipendente pubblico.
Per una nuova Pubblica Amministrazione, un vero ricambio generazionale ed una modifica della attuali politiche assunzionali e previdenziali
Una Pubblica Amministrazione in linea con la scelta di essere anche volano di sviluppo economico e occupazionale per il Paese, deve traguardare una nuova politica assunzionale ed una diversa politica previdenziale del settore pubblico, risolvendo una volta per tutte l’ annosa questione del precariato e armonizzando la normativa italiana con quella europea, come impone la sentenza della Corte di Giustizia Europea del novembre 2014.
Per continuare e migliorare la qualità di servizi pubblici insostituibili forniti ai cittadini, quali quelli della istruzione e della salute, della giustizia, del fisco, della difesa e delle istituzioni, del territorio, culturali e ambientali, etc., la PA può e deve rinnovarsi profondamente anche per quanto riguarda il proprio personale, e i contratti di lavoro devono essere uno strumento attraverso il quale procedere a rivisitare gli attuali processi previsti per tali materie.
La mobilità volontaria interna nei comparti e a livello intercompartimentale e interregionale, le politiche occupazionali e assunzionali, rivedendo i modelli sinora attuati, la previsione dell’ utilizzo di forme nuove di lavoro anche nel pubblico, in alcuni casi già inserite nei precedenti contratti ma scarsamente praticate, il tutto allo scopo precipuo di ringiovanire la Pubblica Amministrazione, potranno essere elementi utili per raggiungere l’ obiettivo finalizzato di un vero e significativo processo di riorganizzazione della stessa PA, a cui far partecipare attivamente le forze sociali anche nell’ambito di una necessaria revisione delle dotazioni organiche delle singole Amministrazioni.
Appare però di tutta evidenza, come al provvedere di un necessario ringiovanimento della PA italiana occorra abbinare il superamento degli attuali blocchi previsti dalla Legge Fornero che, di fatto ed allo stato, limitano fortemente il possibile turn over del personale.
La materia della mobilità deve tornare a essere materia contrattuale e non riserva di legge. Il personale della nostra Pubblica Amministrazione è tra i più vecchi d’Europa. Alcune attività sono altamente usuranti e l’ impatto nelle dotazioni organiche è rilevante per offrire servizi di qualità e sicurezza ai cittadini. Tutto ciò pone la necessità di uno svecchiamento del personale. È quanto mai doveroso affrontare il problema e trovare delle soluzioni che consentano al lavoratore di arrivare a termine carriera in salute e consentano all’ Amministrazione di mantenere aperti i servizi.
Conclusioni
Queste sono le nostre prime riflessioni a carattere generale sul contratto come strumento per rilanciare il lavoro e la funzione pubblica, ridare fiato al potere d’ acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori, valorizzare le professionalità per offrire servizi migliori e di maggiore qualità, reinternalizzando attività che possono essere svolte con maggiore proficuità e grandi risparmi dalle professionalità interne, coniugando il rispetto dei diritti con l’ esercizio puntuale dei doveri. Tutto ciò dovrà andare di pari passo con le scelte che riteniamo debbano essere assunte dall’ Esecutivo e dal Parlamento in tema di riforma della Pubblica Amministrazione, dei livelli di governo, del rapporto tra legge e contratto.
Ecco perché è necessario riprendere un percorso che tenga conto di queste variabili, seppur con forme e modalità diverse, e che sia però coerente con l’ obiettivo da raggiungere.
I decreti delegati di riforma della PA dovranno tenere conto di queste riflessioni e saranno fondamentali per capire il ruolo riservato alle rappresentanze dei lavoratori pubblici. Se i lavoratori saranno considerati semplici “comparse” e sarà loro riservato solo l’informazione, se continuerà il definanziamento dei contratti e il blocco delle assunzioni, è prevedibile che ogni tentativo di riforma sia destinato al fallimento.
Visualizza scarica o stampa il file in formatoPDF
Clicca sull'immagine per aprire il file in formato PDF