Continua l’attacco al pubblico impiego, che puntualmente ritorna di moda in prossimità degli appuntamenti di confronto tra governo e sindacati. Martedì, infatti, presso la sede Aran di Via del Corso si inizieranno le trattative per l’accordo sulle prerogative sindacali
A svolgere il compito di fustigatore del lavoro pubblico è Marco Ruffolo su l’edizione di la Repubblica dell’8 gennaio 2017 con un articolo su “L’Italia degli imboscati” (Clicca). L’intento dichiarato è quello di parlare degli abusi – nel pubblico impiego – nelle inidoneità e nei diritti legati all’assistenza dei disabili. Ben due pagine con un richiamo in prima sugli abusi ma nella sostanza un parlare demagogico che perpetua uno schema funzionale alle politiche di governo di smantellamento dei diritti dei lavoratori mettendo settori dell’impiego l’uno contro l’altro, il lavoro privato contro il lavoro pubblico reo di avere dei tassi di godimento dei diritti sociali e civili più elevati rispetto al privato.
In particolare si ritiene di intervenire sulla condizione infermieristica esposta nell’articolo.
Qui non si pone in discussione eventuali casi particolari né gli eventuali abusi che sono in egual modo presenti in ogni professione e in ogni lavoro. Il giornalista cita uno studio del Cergas-Bocconi sulle inidoneità che, è bene ricordarlo, è stato finanziato anche da Nursind, il sindacato infermieristico, per sostenere una valutazione complessiva di un fenomeno che è in aumento non tanto per gli abusi ma perché è sempre più alta l’età del personale sanitario in servizio grazie al blocco del turn over attuato dalle politiche governative di contenimento dei costi e perché i carichi di lavoro sono sempre più pesanti e se ne fa fronte con sempre meno personale (vedi i casi dei posti letto bis nelle corsie degli ospedali o della congestione dei pronto soccorso). Del fatto che gli infermieri erogano salute a scapito della propria di salute, invece, nessuna parola. I tassi di inidoneità rilevati sono mediamente simili tra le diverse situazioni di sorveglianza sanitaria ad indicare che i diversi sistemi di rilevazione conducono spesso allo stesso risultato. Tutti gli studi e le revisioni bibliografiche riproducono circa le stesse percentuali perché è dato per assodato che il lavoro di infermiere è un lavoro usurante anche se, per convenienza economica, lo Stato non lo riconosce. Con la norma sui lavori usuranti –afferma il prof. Cazzola – dal 2011 a oggi lo Stato ha risparmiato 3,4 miliardi di euro stanziati e non spesi perché la legge è troppo severa e non funziona.
Sull’uso delle agevolazioni previste dalla legge 104/92 per chi assiste i disabili, posto che quanto previsto dalla legge è da ritenersi un piccolo aiuto rispetto al continuo disagio di dover prendersi carico di un disabile, desideriamo evidenziare che è naturale per un sanitario, specialmente se infermiere, farsi carico dell’assistenza alla persona non autosufficiente visto che lo fa per professione.
Al netto degli abusi va ribadito che i tre giorni di permesso o il congedo straordinario previsti dalla legge 104/92 se utilizzati per altre finalità danno luogo al reato di truffa e alla risoluzione del rapporto di lavoro e non per tale motivo si può giustificare una loro limitazione così come lo svolgere altra attività lavorativa durante la malattia è punibile con il licenziamento per giusta causa ma non per ciò si suggerisce di abolire l’istituto della malattia costringendo i lavoratori malati a rendere sempre e comunque la prestazione lavorativa.
Ciò che ci preme però rilevare è quanto veicola nell’opinione pubblica una tale trattazione che somma tutti casi di presunti abusi dei diritti. Tale richiamo alla legittimità dei comportamenti è ribadito più volte e sta a sottolineare che non è in discussione l’uso illegale di tali diritti ma che tali diritti hanno come legittima e naturale conseguenza l’abuso e quindi si pone il dubbio sulla bontà di tali diritti.
In sostanza lo schema che sottende all’articolo è: i diritti che riguardano i lavoratori (tutela della salute, assistenza ai disabili) danno luogo, nel pubblico impiego, a innumerevoli abusi pertanto i lavoratori del privato e i cittadini devono indignarsi. Ma avvalersi dei tali diritti non dà luogo a comportamenti illegittimi punibili per legge (come i furbetti del cartellino) quindi l’abuso è connaturato al diritto e se si vuole togliere l’abuso vanno tolti i diritti che, a leggere l’articolo, sono fruiti principalmente dai dipendenti pubblici.
In fondo è la stessa dinamica che ha ispirato il Jobs act: l’articolo 18 non tutela tutti e sono fortunati i lavoratori che si avvalgono di tale tutela quindi, per evitare discriminazioni e per giustizia sociale, anziché estenderlo a tutti lo si toglie completamente togliendo il diritto di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa e definendo tale situazione non come norma “taglia diritti” ma contratti a “tutele crescenti”. In fondo, forse, nel rapporto di lavoro privato, ancor meglio se nelle piccole e medie imprese, grazie a questi contratti e allo smodato utilizzo delle forme flessibili di lavoro (voucher) si notano meno abusi perché ogni sospetto di abuso viene di fatto rimosso con la cessazione del rapporto di lavoro non più tutelato adeguatamente. Prevenire è meglio che curare!
Nursind, di fronte a tale narrazione e tale sistema di smantellamento dei diritti sociali, desidera ribadire il proprio impegno verso la tutela della dignità del lavoro e dei diritti che secoli di lotte sociali hanno riconosciuto ai lavoratori.
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