Lettera Inviata al Direttore e pubblicata su Quotidiano Sanità il 27/03/2017
La questione sollevata dall’articolo del prof. Cavicchi sul “ritorno alle mutue” e il ruolo di facilitatore da parte del sindacato non è di poco conto e merita attenzione in modo particolare per tre motivi: il contratto nazionale del settore metalmeccanico ha aperto a forme collettive di assistenza sanitaria integrativa; siamo prossimi al rinnovo dei contratti del pubblico impiego (3 milioni di dipendenti); almeno uno dei sindacati confederali si è schierato apertamente e decisamente (anche durante l’incontro sindacati – Ministro della Funzione Pubblica sulla presentazione dello schema di decreto legislativo per la modifica del TUPI) a favore del welfare aziendale da introdurre nel rinnovo dei contratti della PA.
Personalmente non ritengo prioritario collegare un arretramento del sistema pubblico nella tutela al diritto alla salute, alla mozione Renzi. Infatti mi pare che il professor Cavicchi non sostenga che la mozione dia indicazioni a fare le mute ma che il processo di “neo mutualismo di ritorno” sia, come da me condiviso, anteriore (nel suo libro La Quarta riforma ne parla diffusamene e ne dedica un capitolo intero). Ciò che mi pare intenda dire è che “la mozione Renzi” persegue lo scopo di completare e legittimare il processo in atto.
Inoltre con il tempo il disincanto dalle promesse dei programmi politici si è radicato. Finora l’ultima legislatura ci ha riservato ben tre governi diversi e il candidato premier alle ultime elezioni nemmeno ha potuto provare ad attuare il programma elettorale. Guardiamo piuttosto ai fatti, alla coerenza dell’azione politica. Che ci sia stato un contenimento del fondo sanitario è nei fatti rispetto alla promessa e all’impegno assunto nel Patto per la Salute del 2014. Rispetto a quanto concordato in quell’atto il finanziamento del fabbisogno stabilito per il 2016 non si raggiungerà nemmeno nel 2019.
Nel frattempo anche in rapporto al PIL la spesa è in continuo calo. Ugualmente i dipendenti pubblici nell’area e nel comparo sanità sono in continua diminuzione mentre le responsabilità e i carichi di lavoro aumentano e i disagi, le liste d’attesa e i pronto soccorso sono fuori controllo. Chi ne paga le conseguenze sono le prime linee, non a caso si segnalano sempre più spesso i fenomeni di aggressione verso i sanitari.
A questi dati di fatto fanno da corollario altri dati sulla spesa sanitaria out of poket e altre dichiarazioni di stakeholder che confermano i timori di Cavicchi.
Mi riferisco a quanto esposto dalla presidente ANIA, Maria Bianca Farina, durante l’undicesimo Forum sul Risk Management in sanità (Firenze, dicembre 2016).
Nei report troviamo che in quella sede “la presidente di Ania ha sottolineato come sia necessaria una ridefinizione del Sistema Sanitario Nazionale per rendere più equa e sostenibile la spesa sanitaria out of pocket e garantire cure per tutti i cittadini, anche i meno abbienti. Per farlo, serve incentivare le forme sanitarie integrative, aziendali ed individuali, caratterizzate dal principio della mutualità. La necessità di tenere i conti della sanità pubblica sotto controllo ci dice che anche in futuro la parola d’ordine sarà razionalizzazione, con criteri stringenti per l’accesso gratuito alle prestazioni del Ssn.
La spesa sanitaria out of pocket è quindi destinata a crescere. Ma se non riparte il mercato del lavoro, non tutti potranno permettersi di pagare di tasca propria visite specialistiche magari non immediatamente necessarie, ma importanti per fare prevenzione.” Mi pare che la posizione delle imprese assicuratrici sia ben chiara. Su Italia Oggi del 16 marzo 2017 il responsabile Controllate assicurative di Generali, Andrea Mencattini, alla domanda dove si vedranno le maggiori novità nei prossimi anni la risposta è stata la seguente: “sul fronte della sanità integrativa. Oggi con la contrattazione aziendale di secondo livello e la nascita dei fondi sanitari integrativi, la copertura collettiva sta trasformando la percezione e l’uso della polizza, non più a rimborso, ma a protezione.” Se non è mutua questa …
Se ne è accorto perfino il presidente della COVIP che nel suo rapporto annuale del 2015 a pag. 23 scrive: «Nel contesto dello Stato Sociale così come si è configurato nel secondo dopoguerra, la necessità di assicurare rischi, che tra di loro interagiscono e che sono particolarmente salienti in una popolazione anziana, richiede una visione complessiva del Welfare integrativo». Ecco quindi che è utile «valutare l’opportunità di porre in essere interventi relativi all’assistenza sanitaria integrativa».
Sanità integrativa in ottica di “prevenzione” e di collegamento alla contrattazione collettiva cosa è se non sanità sostitutiva ovvero mutualità?
Dal punto di vista sindacale della contrattazione significa rinunciare a parte del salario per versare un di più rispetto alla tassazione per la spesa sanitaria. Perché dovrei farlo se la salute è un diritto tutelato costituzionalmente? Perché dovrei rinunciare dopo anni di blocco contrattuale a parte del salario e assicurami privatamente i diritti che lo Stato dovrebbe garantirmi?
La verità è, a mio parere, che la gestione economica dello Stato è stata palesemente fallimentare e mentre si salvano i grandi capitali, ai salariati si negano diritti e si fanno pagare doppio i servizi. Lo storytelling che sentiamo però ha un’altra fine, basta crederci …
Andrea Bottega
Segretario nazionale Nursind