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GLI ESPERTI RISPONDONO

Autonomia differenziata e sanità: Italia già oggi spaccata in due

Secondo un rapporto Crea Salute solo alcune Regioni del Centro-Nord mantengono standard di assistenza soddisfacenti. Il Mezzogiorno migliora, ma resta indietro. E pesano limiti strutturali del nostro Ssn

La discussa riforma dell’autonomia differenziata allunga la sua ombra sul futuro dell’assistenza socio-sanitaria. L’Italia, già oggi, risulta spaccata in due secondo il Crea Sanità (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), con solamente quattro regioni del Centro-Nord che raggiungono livelli superiori al 50% del massimo ottenibile sul terreno delle performance di tutela sociale e sanitaria. Sette si fermano invece tra il 45 e il 50%, sei sono tra il 37 e il 44% e in quattro regioni del Sud, fanalino di coda, i livelli di performance sono inferiori al 35%.

I risultati della 12esima edizione del progetto “Opportunità di tutela della salute: le performance regionali” si basano su 20 indicatori articolati in sei dimensioni: equità, appropriatezza, esiti, innovazione, quella economico-finanziaria e quella sociale. E “il risultato dà la misura reale dell’efficacia dell’organizzazione e degli esiti dell’assistenza socio-sanitaria”, consentendo “anche di monitorare gli effetti dell’applicazione dell’autonomia differenziata dal Nord al Sud del Paese”, chiosano dal Crea. L’analisi è stata eseguita su 104 stakeholder, riuniti dal Crea Sanità in cinque gruppi: utenti, istituzioni, professionisti sanitari, management di aziende sanitarie e industria medicale.

Aleggia naturalmente sul rapporto la preoccupazione di molti osservatori per le possibili conseguenze dell’autonomia differenziata e per la reale applicazione dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, di cui il modello Lea non è un felicissimo precursore. L’istituto però aggiunge una nota positiva: “La buona notizia di questa edizione è che negli ultimi cinque anni si è registrato un miglioramento del 46% delle performance che ha interessato tutte le ripartizioni geografiche e, in maggior misura – anche se il Sud è ancora indietro rispetto alla valutazione delle singole performance – le Regioni del Mezzogiorno, poi quelle del Nord-Est, del Nord-Ovest e del Centro”. Insomma, i gap si riducono, ma la strada da fare è ancora lunga.

L’autonomia differenziata, per la verità, è ad oggi un’incognita, il Crea ne prende atto e spiega che per la valutazione degli effetti della riforma “è stata predisposta la metodologia ma, non essendo stata ancora riconosciuta a nessuna Regione e quindi non avendo criteri ufficiali, è stata implementata la prima fase, ovvero sono state calcolate e poi comparate, per il periodo 2017-2022, le dinamiche su dieci indicatori scelti dal panel di esperti in gruppi di Regioni”. E quindi: il gruppo delle Province-Regioni Autonome o a statuto speciale verso le altre, quelle in piano di rientro sempre verso le altre e quello delle Regioni che hanno richiesto l’autonomia differenziata nel 2017, ancora una volta verso le altre. “Nel primo gruppo la dinamica nelle Province-Regioni Autonome o a statuto speciale è stata (leggermente) peggiore che nel gruppo delle altre – chiarisce il Crea – nel secondo la dinamica nelle Regioni in piano di rientro è stata nel complesso decisamente migliore che nel gruppo delle altre; nel terzo la dinamica nelle Regioni che hanno già richiesto l’autonomia differenziata è stata, seppure leggermene, peggiore delle altre”.

Tornando al dettaglio delle prestazioni regionali: Veneto, Piemonte, Bolzano e Toscana (oltre 13,3 milioni di abitanti) sono promosse dall’indagine con livelli complessivi di tutela della salute migliori dalle altre e con un indice di performance che supera il 50% del livello massimo (rispettivamente 60%, 55%, 54% e 53%); Friuli-Venezia Giulia, Trento, Emilia-Romagna, Liguria, Valle d’Aosta, Marche e Lombardia (19,3 milioni di abitanti) promosse ma con la sufficienza, perché raggiungono livelli di performance tra 45 e 50%; “rimandate” con livelli tra il 37 e il 44% Sardegna, Campania, Lazio, Umbria, Abruzzo e Puglia (circa 18,9 milioni di abitanti); infine fortemente insufficienti (livello di performance inferiore al 35%) Sicilia, Molise, Basilicata e Calabria (circa 7,5 milioni di abitanti). In pratica il 55% degli italiani vive in aree del Paese con risultati soddisfacenti per la tutela della salute, mentre per il 45% le cose non vanno del tutto bene.

Come accennato, infine, negli ultimi cinque anni si è registrato un miglioramento del 46% della performance, che ha interessato tutte le ripartizioni geografiche e, in maggior misura, le Regioni del Mezzogiorno (+75,9% in media), poi quelle del Nord-Est (+44,9%), quelle del Nord-Ovest (+40,9%) e del Centro (+37,4%).  Questo anche perché, nonostante i margini d’azione non manchino per raggiungere il 100% del valore dell’indice di performance, “non sembra – spiega il rapporto – che le Regioni con prestazioni migliori riescano a registrare significativi passi avanti: probabilmente ad indicare l’esistenza di limiti strutturali nell’attuale assetto del sistema sanitario”.

Executive summary

Di Ulisse Spinnato Vega
FONTE: NURSIND SANITA’
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