Nella proposta di parere sul decreto attuativo della riforma, la commissione Affari sociali disegna un ruolo centrale per l’Ifec: “Contribuisca alla prevenzione e alla formazione sulla sanità digitale degli anziani”
Il Parlamento chiama in causa l’Infermiere di famiglia e comunità (Ifec) per la tutela sul territorio della popolazione anziana non autosufficiente. In attesa delle risorse che permettano la concretizzazione efficace e un’ampia diffusione della nuova figura sanitaria, resa centrale dal ridisegno dell’assistenza territoriale voluto nel Pnrr, la commissione Affari sociali del Senato ha immaginato e suggerito al governo un ruolo cruciale, corredato da svariate funzioni, per l’Ifec in seno, appunto, alla riforma delle politiche per la non autosufficienza.
A Palazzo Madama è stato messo nero su bianco il necessario parere, nella versione proposta dal relatore, il presidente della commissione Francesco Zaffini (FdI), sullo schema di decreto legislativo che attua le norme primarie, contenute nella legge 33 del 2023, riguardanti potenzialmente una platea di 3,8 milioni di persone (compresi i disabili divenuti anziani) su circa 14 milioni di anziani italiani. La posizione dei senatori sarà verosimilmente favorevole, ma il lavoro di base fatto da Zaffini contiene osservazioni puntuali che, per quanto non prescrittive, dovrebbero in qualche modo vincolare l’esecutivo nella calibratura del testo definitivo che uscirà dal Cdm dopo i passaggi parlamentari.
In particolare, l’ipotesi di parere chiede che l’erogazione degli interventi di sanità preventiva presso il domicilio degli anziani possa essere effettuata anche dall’Infermiere di famiglia e comunità e che quest’ultimo sia coinvolto nella formazione degli over 65 in materia di sanità digitale. Inoltre, viene auspicato che il governo valuti il contributo dell’Ifec “nell’effettuazione della valutazione multidimensionale unificata”, ossia l’approccio chiave che ispira la riforma.
Facendo un passo indietro, va ricordato che la norma primaria punta a supportare l’invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità nelle persone anziane, tenendo in conto una dimensione olistica che include gli aspetti sanitari, socio-sanitari, culturali, relazionali e affettivi. Il ridisegno vuole quindi contrastare l’isolamento, potenziare l’educazione alla salute, la telemedicina, il senior cohousing e il cohousing intergenerazionale, lo sviluppo del turismo del benessere e del turismo lento.
Da qui l’impostazione multidimensionale che comporta poi la sfida di coordinare e semplificare gli interventi assistenziali sanitari e sociosanitari, armonizzando e razionalizzando le risorse. L’obiettivo più ambizioso di Palazzo Chigi sarebbe quello di rivedere completamente l’attuale indennità di accompagnamento nell’ambito della definizione di una prestazione universale per la non autosufficienza. Al momento, però, vista la penuria di risorse, è stata prevista una cifra di 850 euro, aggiuntiva rispetto ai 531,76 euro dell’accompagnamento stesso e spendibile solo in servizi certificati alla persona. Lo stanziamento complessivo è di 600 milioni sul biennio 2025-2026, per una platea di beneficiari che non dovrebbe superare le 30mila persone.
Lo schema di parere sarà votato domani in commissione, ma di tempo da perdere non ce n’è visto che il decreto va varato entro fine marzo per rispettare i tempi del Pnrr. Tra le molte osservazioni proposte da Zaffini ai senatori che riguardano la necessità, a suo avviso, di precisare meglio termini e formulazioni normative, c’è l’invito a rivedere la limitazione della promozione del turismo del benessere e intergenerazionale agli anziani autosufficienti.
Ma soprattutto il relatore chiede di precisare meglio la platea cui sono indirizzate le molte disposizioni contenute nel decreto in materia di assistenza sociale, sanitaria, sociosanitaria e prestazione universale. Perché il testo all’inizio parla di over 65 e di “grandi anziani” over 80, ma poi nell’articolo 40 fa riferimento a misure da applicare a chi ha compiuto i 70 anni. Per Zaffini “tale previsione” può ingenerare confusione, perché “non sembra trovare un preciso riscontro nella disciplina di delega, né appare chiaro il suo fondamento scientifico”.
La proposta di parere del relatore