Intervista a Marco Carlomagno, segretario generale della FLP – Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche.
A cura di Mara Passafiume.
La Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche è, da sempre, molto attenta alle politiche messe in campo dai governi per l’innovazione e lo sviluppo del personale della PA. Lo scorso 21 novembre, grazie al tavolo di lavoro “Innovazione e politiche di sviluppo del personale. Per una Pubblica Amministrazione moderna, capace e competente” organizzato dal sindacato, è stato possibile discutere dei diversi temi che riguardano le Pubbliche Amministrazioni con rappresentanti politici ed istituzionali. Il dibattito è stato ampio: ce ne parla Marco Carlomagno, leader della Flp.
Segretario, partiamo dal Disegno di Legge di Bilancio che metterà in campo una serie di misure per un valore di circa 24 miliardi di euro. Come giudica questa manovra?
È una manovra con poche luci e parecchie ombre. Ancora insufficienti le risorse per il rinnovo dei contratti e nessuna novità sul fronte del TFR/TFS dei pubblici dipendenti, per dare attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 130/2023 sul TFS.Due terzi della manovra – 16 miliardi – sono finanziati in deficit (accrescendo il nostro già corposo debito pubblico), e per il restante terzo è finanziata da nuove entrate o risparmi di spesa, di cui la parte più cospicua è affidata a una nuova “spending review” delle Amministrazioni Centrali.
Giudichiamo positivamente l’anticipo di dicembre previsto nel collegato alla legge di bilancio a valere sul 2024, di un importo pari a 6,7 volte l’IVC (Indennità di Vacanza Contrattuale), ma al contempo riteniamo “del tutto insufficienti” le risorse stanziate per i rinnovi contrattuali, atteso che per garantire un adeguato rinnovo contrattuale, a fronte di un IPCA (indice per i rinnovi) che sfiora il 18% nel triennio le risorse sin qui stanziate ne coprono meno del 6%.
Il taglio del cuneo fiscale, pur apprezzabile, essendo stato previsto per fasce e non per scaglioni di imposta, rischia di ridurre le retribuzioni nel caso che gli aumenti contrattuali portino al superamento della soglia dei 35.000 euro lordi, con il conseguente azzeramento dei benefici contrattuali e con decurtazione dello stipendio.
Non possiamo inoltre non esprimere una valutazione decisamente negativa rispetto alla scelta di continuare a limitare solo al lavoro privato la detassazione dei premi di produttività.
Infine sulle pensioni, in controtendenza con quanto affermato nei mesi scorsi, si rendono meno flessibili le uscite e si depotenziano gli strumenti di Opzione donna e Ape social.
Dal tavolo di lavoro sull’innovazione e le politiche di sviluppo del personale è emerso che la nostra PA, fotografata dall’ultimo Rapporto Inps, è fondamentalmente anziana e che, nei prossimi anni, ci saranno numerosi pensionamenti. Come vede questa situazione?
I dipendenti pubblici in Italia sono all’incirca 3.3 milioni. Negli ultimi mesi sono riprese le assunzioni, dopo un decennio di blocchi, ma il numero di dipendenti pubblici continua ad essere inferiore rispetto alla media europea. In Italia, il rapporto dipendenti pubblici/abitanti è del 5,3%, una percentuale notevolmente inferiore a quelle registrate in Francia (8,4%), Regno Unito (7,8%), Spagna (6,8%) e Germania (7,2%). Siamo deficitari non solo in termini numerici, ma anche per quanto riguarda la tipologia del rapporto di lavoro, che è sempre più precario. Oggi su 100 assunti nelle PA, 15 sono a termine. Quindi è da sfatare l’asserzione, da troppo tempo presente nel dibattito pubblico, che i dipendenti pubblici sono troppi. Non solo sono di meno, ma anche meno pagati rispetto ai loro omologhi europei. Come mi veniva chiesto, sono anche i più anziani. Oggi in Italia la media di età dei dipendenti pubblici è di 51 anni, mentre in Francia è di 43, in Germania di 44 e nel Regno Unito di 46. Un invecchiamento riacutizzatosi nell’ultimo decennio a causa del blocco delle assunzioni e del restringimento delle uscite dal mondo del lavoro. Ma il ritardo delle uscite dal mondo del lavoro avrà fatalmente un momento in cui, per effetto del raggiungimento di massa dei limiti di età per lavoratrici e lavoratori forzosamente bloccati, assisteremo a un vero e proprio esodo dell’attuale forza lavoro.
Si stima che entro dieci anni oltre un terzo dell’attuale forza lavoro andrà in pensione, per un totale di circa 1,35 milioni di persone. Bisogna mettere da subito in campo una straordinaria operazione di reclutamento nel lavoro pubblico che non si limiti a cercare di tamponare i buchi, ma che vada nella direzione di riequilibrare gli organici, sia dal punto di vista numerico che qualitativo. Un’operazione che, in un arco temporale predeterminato, a partire dal triennio 2024-2026, sarebbe sostenibile e avrebbe importanti ricadute non solo sull’efficacia e sulla qualità dei servizi resi, ma produrrebbe anche riflessi positivi sul nostro PIL, contribuendo alla crescita della domanda interna e, quindi, all’aumento dei redditi e dei consumi.
Per attrarre e trattenere giovani talenti nella PA, la Flp ritiene fondamentali nuove politiche retributive e di valorizzazione del personale. Può dirci quali?
Il posto fisso nelle amministrazioni pubbliche, pur in un contesto di generale contrazione del lavoro dipendente, è ancora poco attrattivo per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. I recenti concorsi hanno registrato elevate percentuali di rinuncia.
Questo è particolarmente evidente quando i posti sono disponibili nelle grandi aree metropolitane, dove il costo della vita è insostenibile per affitti e trasporti. Le motivazioni sono molteplici: retribuzione non in linea con le competenze richieste, limitate possibilità di carriera, scarse politiche di conciliazione vita-lavoro, rigidità organizzative caratterizzate da una visione burocratico-formale, che in molte amministrazioni ostacola il ricorso al lavoro agile, mancanza di formazione continua.
Gli ultimi dati elaborati dalla nostra Organizzazione sindacale, che comparano gli stipendi dei lavoratori pubblici con quelli dei lavoratori del settore privato in posizioni equivalenti, dimostrano che il divario retributivo a favore del lavoro privato è ancora evidente. Nel pubblico impiego non esistono scatti di stipendio come nel privato, ma procedure di progressioni economiche fortemente selettive, poco remunerative e soprattutto legate alla disponibilità di risorse nei fondi destinati alla contrattazione integrativa delle singole amministrazioni. Le carriere sono sostanzialmente bloccate dai vincoli normativi che le legano in percentuale alle nuove assunzioni e alla disponibilità di posti in organico, sempre più ridotti nelle Aree più professionalizzanti e apicali a causa della “spending review”.
Da tempo ci battiamo per l’adozione e lo sviluppo di modelli organizzativi e strumenti contrattuali che possano rendere più attrattive per i giovani e per le nuove professionalità le nostre pubbliche amministrazioni, oggi ingessate da ordinamenti professionali arcaici e modelli organizzativi vetusti.
Le nostre proposte sono: stipendi dignitosi, in linea con il costo della vita e con le professionalità richieste, percorsi di carriera chiari, sostenibili e accessibili, formazione continua e di qualità, attivazione di strumenti di conciliazione vita-lavoro, adozione di modelli organizzativi flessibili e sostenibili, che includano il lavoro agile e da remoto. Buona parte delle attività potrebbe essere svolta a distanza, anche in uffici collocati nella sede di residenza dei vincitori, pur lavorando pratiche nazionali. Se si decidesse di utilizzare questa opportunità, si ridurrebbero le rinunce, miglioreremmo la digitalizzazione delle amministrazioni e dei processi, rendendoli più efficienti e accessibili, e la qualità e la fruibilità dei servizi a cittadini e imprese, che non sarebbero più costretti a rivolgersi unicamente a sportelli fisici.
Sul tema della formazione, lei ha detto che le nostre Amministrazioni Pubbliche devono compiere un salto di qualità e investire sulle persone. In che modo?
Nonostante gli annunci del Governo, la formazione nella PA continua a essere carente. E questo nonostante negli ultimi 40 anni il mondo sia cambiato radicalmente, con la semplificazione e la trasformazione digitale che sono diventate le parole d’ordine. Oggi, in media, un dipendente della PA riceve meno di un’ora di formazione all’anno, un apporto totalmente insufficiente per sviluppare le competenze necessarie per partecipare efficacemente alla trasformazione digitale. Il Ministro Zangrillo ha dichiarato di voler aumentare la formazione a 30 ore all’anno, un annuncio che potrebbe avere un impatto positivo sul rinnovamento della Pubblica Amministrazione, ma che presenta ancora alcuni limiti, primo fra tutti quello delle coperture economiche: In un contesto in cui i finanziamenti per la formazione sono in costante diminuzione, dove si troverebbero i quasi 5 miliardi di euro necessari per aumentare il numero di ore di formazione? Facciamo i conti: nel 2019 i fondi per la formazione sono stati un totale di 164 milioni di euro (nel 2008 erano 262 milioni di euro), il che significa circa 48 euro all’anno per dipendente pubblico. Nel 2021, i fondi sono ulteriormente diminuiti a 158,9 milioni di euro. Se moltiplichiamo questo costo – che è comunque inferiore al costo di una formazione di qualità, che si aggira sui 100 euro – per le ore di formazione a cui auspica Zangrillo, cioè 30 ore, si ottiene un costo totale di circa 4,5 miliardi di euro. Un importo enormemente superiore a quello stanziato finora.
Innanzitutto, è necessario aumentare prioritariamente gli investimenti in formazione, utilizzando in modo coerente e coordinato le diverse fonti di finanziamento disponibili a livello europeo (PNRR e PON).
È inoltre necessario creare un organismo di coordinamento che superi l’attuale dicotomia tra la formazione praticata a livello di amministrazione e di ente, spesso basata su competenze tecniche con modalità teoriche e slegate dalle prestazioni da svolgere, e quella cosiddetta sulle competenze digitali, che invece è indirizzata dall’alto e prescinde dalle reali condizioni tecnologiche delle singole amministrazioni, limitandosi a una semplice operazione di alfabetizzazione di base.
Infine, è necessario superare la logica della formazione vista come un puro adempimento formale, che nella vecchia logica burocratica era vista solo come una perdita di tempo e una distrazione per il personale dalle attività correnti.
A proposito dello stato di avanzamento del PNRR, sono emerse alcune criticità rispetto all’attuazione di molti progetti. La Flp aveva già espresso in passato forti preoccupazioni relativamente all’attuazione concreta del Piano. Ci spiega dove sono i nodi da sciogliere?
La Corte dei Conti, nella sua ultima relazione semestrale sullo stato di avanzamento dei Piani del PNRR, pubblicata il 6 novembre scorso, ha evidenziato nuovamente alcuni punti di criticità rispetto all’attuazione concreta di molti progetti.
Infatti, da un lato le attività che hanno portato alla scrittura dei progetti e alla loro approvazione sono in linea con i tempi previsti, ma dall’altro si riscontrano ritardi nella loro concreta realizzazione, nella cosiddetta “messa a terra”, termine utilizzato per definire la concreta attivazione delle attività progettate.
Dopo una prima fase, sicuramente più agevole da realizzare in quanto basata sulla mera progettazione dei Piani, ora il percorso appare decisamente più complicato, poiché si tratta di realizzare concretamente le opere programmate.
Appare evidente la sostanziale sottovalutazione della strategicità della funzione della PA nella realizzazione del PNRR, testimoniata dal fatto che su 190 miliardi di euro di risorse disponibili, solo 9 miliardi sono destinati agli investimenti in PA, in gran parte frammentati in progetti di breve termine e di natura infrastrutturale.
Una delle principali motivazioni alla base delle criticità riscontrate risiede nella debolezza strutturale delle Amministrazioni, sia centrali che locali. Questa debolezza è causata da decenni di mancato reclutamento, sia numerico che qualitativo. La Corte dei Conti ha certificato questa situazione, evidenziando la mancanza di professionalità tecniche, in particolare nei settori della digitalizzazione e delle nuove tecnologie. La carenza di queste professionalità è stimabile in circa 65.000 unità.
Se è vero che i finanziamenti e l’approvazione del PNRR erano subordinati alla realizzazione di riforme di sistema, non al rafforzamento degli organici, la situazione italiana è peculiare nel panorama europeo e poteva essere affrontata adeguatamente.
Considerato che in tale ambito il PNRR si è limitato a prevedere forme di reclutamento a termine, in particolare per il progetto relativo all’Amministrazione giudiziaria e a quelle negli Enti locali, e che gran parte delle risorse del PNRR sono indirizzate a finanziamenti infrastrutturali di rete e di dotazioni informatiche, si poteva intervenire con maggiore decisione sul potenziamento delle risorse umane e della formazione, utilizzando le altre risorse derivanti dal bilancio dello Stato, dai PON e dai Fondi Strutturali Europei.
Fino a questo momento, purtroppo, non è stata raggiunta la necessaria sinergia per utilizzare in modo completo e coerente tutte le risorse disponibili, a prescindere dalla loro provenienza. Non è stata creata una vera cabina di regia, che si occupi non solo delle risorse del PNRR, ma di tutte le risorse disponibili.
Nel 2022, secondo i dati diramati dalla Ragioneria generale dello Stato, l’andamento complessivo degli organici delle funzioni centrali e locali è diminuito rispetto al 2021, nonostante i concorsi banditi. Ed anche per il 2023 l’andamento previsto rischia di essere negativo.
Per non perdere le risorse del PNRR e utilizzare appieno l’occasione che si è presentata, che può costituire un volano importante di ripresa economica e infrastrutturale, è necessario da subito cambiare registro e mettere in campo una nuova stagione di reclutamento del personale e delle professionalità necessarie.
Per rendere il lavoro pubblico veramente attrattivo, è necessario superare le logiche del precariato, ridefinendo gli ordinamenti professionali del personale, rinnovando i contratti nazionali di lavoro scaduti, adeguando gli stipendi al costo della vita e al valore del lavoro, rafforzando la formazione e utilizzando tutte le potenzialità della digitalizzazione e della tecnologia. Queste ultime rappresentano un fattore di attrattività importante, in un mondo del lavoro che è cambiato e che è molto attento all’utilizzo delle nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
M.P.
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