15 NOV –
Gentile direttore,
la manovra 2024 per gli infermieri è solo la classica goccia che fa traboccare il vaso e quindi ci ha costretto a indire lo sciopero nazionale di 24 ore di venerdì 17 novembre. Il ddl Bilancio, infatti, sembra aver fatto tabula rasa dei problemi cronici che affliggono la categoria, ormai ridotta all’osso, come attesta anche l’ultimo rapporto Ocse, e sempre meno accattivante per i giovani.
Il punto più dolente della manovra è l’articolo 33 che reca come oggetto le diposizioni in materia di adeguamento delle aliquote di rendimento delle gestioni previdenziali. In sostanza, per gli iscritti alle casse pensioni CPDEL, CPS, CPI e CPUG è prevista la sostituzione della tabella di calcolo delle annualità antecedenti il 1996 con una più penalizzante. In particolare, secondo le nostre stime i tagli sull’ammontare lordo annuo seguono lo schema qui a seguire (la prima colonna indica l’anno di servizio utile ai fini contributivi, quindi l’anno di assunzione o riscatto o ricongiunzione).
A fronte di tali penalizzazioni, gli infermieri che potrebbero scegliere di andare in pensione entro fine anno con la vecchiaia (67 anni di età) sono circa 1.900, stando al conto annuale del 2021 di infermieri con età superiore a 65 anni.
Mentre gli infermieri che nel conto annuale 2021 hanno un’età compresa tra 60 e 65 anni (con un’anzianità contributiva superiore a 42 anni e presumibilmente interessati alla pensione di anzianità) sono almeno 19.600. Parte di questi ultimi sarà sicuramente interessata all’uscita per gli anni di servizio maturati. Rimane da chiarire se la maturazione del diritto entro fine anno sia sufficiente per evitare la penalizzazione oppure il riferimento per il calcolo è esclusivamente la data di decorrenza della pensione, che risulterebbe ritardata in ragione delle finestre di uscita. In quest’ultimo caso sarebbero penalizzati anche coloro che nei tempi previsti avessero già maturato i requisiti per le uscite anticipate in base a Quota 100, 102 e 103.
Pensare di trattenere in servizio gli infermieri fino a 67 anni per poter compensare in parte le perdite della revisione della tabella di calcolo significa gravare sui servizi e sui bilanci delle aziende sanitarie che avranno grandi numeri di personale anziano non più in grado di garantire la copertura dei turni e delle attività più gravose, scaricando così il maggior peso sui giovani ed aumentando le dimissioni precoci. Da sempre NurSind chiede il riconoscimento del lavoro usurante per i carichi di lavoro che investono le professioni d’aiuto. Ora, anziché favorire il ricambio generazionale, si penalizzano gli infermieri ultracinquantenni, quelli che sono risultati fondamentali per la tenuta del SSN durante la pandemia. Un riconoscimento concreto all’eroismo dimostrato, non c’è che dire. Se, infatti, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ritiene che l’attuale tabella di calcolo rappresenti un privilegio rispetto ai dipendenti di altri settori della PA, ricordiamo che con la manovra rimarrebbero intatte le pensioni degli statali per i quali sarebbe mantenuto il privilegio più favorevole di calcolo sull’ultima retribuzione, maggiorata del 18%. Inoltre, per queste categorie verrebbe mantenuto anche il privilegio del calcolo del TFS in quanto basato su un dodicesimo della retribuzione utile anziché su un quindicesimo come per i sanitari.
In relazione, invece, all’ipotesi di salvare dalla penalizzazione coloro che scegliessero di andare in quiescenza con i requisiti di vecchiaia, si finirebbe per avvantaggiare sì i medici, ma creando una forte discriminazione con gli infermieri.
Il secondo motivo alla base della proclamazione dello sciopero riguarda le risorse stanziate per il rinnovo del contratto di lavoro. L’articolo 10 comma 5 del ddl Bilancio esprime semplicemente una tautologia e, pur intuendone lo scopo, nulla in concreto dice sulla valorizzazione del personale infermieristico. Manca un concreto riferimento a quante risorse possono essere dedicate alla promozione della specificità infermieristica, a quale articolo del contratto fa riferimento la specificità e da quando dovrebbe avere inizio questa valorizzazione. Inoltre, è da considerare che orientativamente per il comparto sanità la percentuale di incremento del monte salari 2021 (il 5,78%) porterebbe in dote una disponibilità di circa 1.450 milioni di euro. Considerati gli anticipi già previsti della vacanza contrattuale in vigore dal 2022, dell’indennità una tantum prevista per il solo anno 2023 e dell’anticipo atteso per questo mese di dicembre (pari a 6,7 volte il valore dell’indennità di vacanza contrattuale), l’esborso per evitare riduzioni stipendiali sarebbe di circa 1.050 milioni di euro.
Di conseguenza, la disponibilità residua consente pochi miglioramenti delle specificità. L’ultimo contratto del 2022 ha visto la valorizzazione della stessa specificità infermieristica con l’impegno di 335 milioni di euro, per un valore lordo mensile individuale di 73 euro. Questa volta rimarrebbero disponibili 400 milioni: quale ulteriore valorizzazione sarà possibile con così poche risorse?
Visto il livello retributivo del personale interessato, l’applicazione del futuro contratto potrebbe paradossalmente portare all’azzeramento dell’esonero contributivo per gli importi lordi mensili di 2.692 euro. Questo comporterebbe la sterilizzazione totale o parziale dei benefici contrattuali. La soluzione potrebbe essere quella per cui in sede di legge di Bilancio i limiti attuali previsti per l’esonero contributivo siano incrementati della stessa percentuale degli incrementi previsti per i contratti. Al riguardo si segnala e si suggerisce di correggere l’anomalia per cui in detti limiti non è prevista una progressività decrescente che, di fatto, comporta la perdita di circa 100 euro netti al solo superamento di anche 1 euro del limite di 2.692 euro.
Tale situazione costituisce di fatto un disincentivo ad effettuare ulteriore lavoro (straordinario, prestazioni aggiuntive) in quanto, a fronte di un beneficio economico di alcune ore, comporta la perdita superiore dell’esonero contributivo. Con la conseguenza paradossale che essere disponibili a lavorare di più genera una riduzione di stipendio, il cui unico beneficiario è lo Stato.
E’ chiaro che in un contesto nazionale in cui la professione infermieristica non risulta attrattiva per i giovani, che sono indispensabili per un sano e fisiologico turnover, tali provvedimenti non fanno altro che aggravare la carenza di infermieri, vera emergenza internazionale, tra l’altro non sanabile attraverso la migrazione dall’estero.
A questo punto il circolo vizioso si chiude gravando i carichi di lavoro sul personale presente, che sarà sempre più usurato e disincentivato a rimanere nel SSN. Un vulnus che provoca ulteriore carenza e mette in discussione la tenuta del servizio pubblico.
Tirando le somme, possiamo dire che il grande insegnamento della pandemia non sia stato per nulla compreso dal ministero dell’Economia e dal ministero del Lavoro.
Andrea Bottega
Segretario nazionale NurSind