Due degli otto decreti delegati che il Consiglio dei Ministri ha approvato il 7 aprile e il Presidente Mattarella ha emanato il 13 aprile (attesa in settimana la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) dividono inspiegabilmente la categoria degli insegnanti: docenti di primaria e infanzia di qua, docenti di scuola secondaria di là.
Il decreto legislativo sulla formazione iniziale e sul reclutamento dei docenti introduce nuove regole sui concorsi dei docenti di scuola secondaria, nuove periodicità dei concorsi, abilitazione (specializzazione) soltanto per chi supera il concorso, scomparsa del 10% di integrazione delle graduatorie di merito, dimezzamento del numero massimo di candidati per commissione d’esame.
Tutte le regole, varate soltanto un anno fa, per i concorsi attualmente in via di conclusione rimarranno soltanto per i docenti di scuola primaria e scuola dell’infanzia.
Due sistemi nettamente differenziati nati contestualmente dalla stessa legge che nel corso del tempo non favoriranno la semplificazione delle procedure selettive e complicheranno l’organizzazione dei concorsi da parte degli Uffici scolastici regionali.
Ma c’è un’altra inspiegabile differenziazione tra docenti della secondaria e quelli di primaria e infanzia. Riguarda la formazione iniziale dei docenti di sostegno.
L’articolo 12 del decreto sull’inclusione regolamenta il corso di specializzazione per le attività di sostegno didattico nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria indicando con puntualità criteri, modalità e tempi per acquisire competenze specifiche per la specializzazione in pedagogia e didattica speciale per le attività di sostegno didattico e l’inclusione scolastica.
Una buona qualità professionale dei docenti di sostegno avrà certamente una positiva ricaduta sugli alunni con disabilità. Ma perché non prevedere una uguale formazione iniziale anche per i docenti di sostegno che opereranno per gli alunni disabili della secondaria? Per questi ultimi forse non serve qualità professionale dei loro docenti di sostegno?
Due decreti che segnano una dicotomia forse figlia di retaggi culturali superati.
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