Campagne di comunicazione e formazione (Ecm e non) mirata al potenziamento delle competenze degli operatori stessi, nel riconoscimento dei comportamenti a rischio, ponendo in atto metodiche di deescalation anche nella comunicazione. Sono due delle indicazioni emerse nel rapporto trasmesso al Parlamento. Ad acuire il fenomeno anche la carenza di personale. Lavoro di équipe può essere strumento di dissuasione. LA RELAZIONE
22 MAR –
Continuano ad aumentare in modo esponenziale le aggressioni ai danni degli operatori sanitari. Aggressioni fisiche e verbali che spesso provengono dagli stessi pazienti o da familiari e caregiver, come nel caso recente di Bari dove è stato aggredito un pediatra nel pronto soccorso del Giovanni XXIII. Per contrastare questa tendenza si è deciso di puntare sul potenziamento del personale sanitario e sulla sua formazione in modo da mitigare i fenomeni di violenza sul luogo di lavoro in ambito sanitario.
Questa una delle indicazioni contenute nella relazione dell’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni sanitarie e socio-sanitarie (Onesps) trasmessa al Parlamento e pubblicata sul sito del Ministero della Salute. L’Osservatorio è costituito da circa 60 realtà e si è insediato l’11 marzo 2022, in occasione della prima Giornata nazionale contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari.
Il problema dei flussi di dati difformi tra Regioni
Dalla rilevazione svolta è emerso che, sebbene varie Regioni abbiano avviato una raccolta dati sulle aggressioni, “questa avviene con modalità differenziate e, pertanto, i relativi risultati non sono confrontabili”. Rispetto agli episodi denunciati all’Inail, nel triennio 2019-2021 sono stati 4.821 gli infortuni legati ad episodi di violenza, con un calo del 30% nel 2020 per effetto della pandemia. Gli studi citati nel documento mettono in rilievo che la forma più comune di violenza è costituita dall’aggressione verbale mentre gli altri tipi di violenza riportati sono costituiti da minacce verbali, attacchi fisici, abuso sessuale (molestia e violenza), molestia etnica, diffamazione, mobbing, bullismo, comportamento intimidatorio e molestia razziale.
La relazione ospita i contributi di diverse categorie, ad esempio la Società di medicina di Emergenza e Urgenza (Simeu) ha rilevato, in un campione di 218 strutture che nel 63 per cento si è verificato almeno un episodio di violenza fisica nel bimestre oggetto della rilevazione, nella metà dei casi nelle strutture in cui il sovraffollamento di pazienti era maggiore. Mentre un’indagine tra oltre 2.300 Medici di Continuità Assistenziale ha evidenziato che il 94 per cento ha dichiarato di aver subito almeno un episodio di aggressione o atti intimidatori.
Strategie di deescalation, l’importanza della formazione del personale
Diverse le strategie proposte dall’Osservatorio per arginare il fenomeno. In riferimento all’ambito organizzativo, uno dei temi principali portato all’attenzione da alcuni componenti dell’ONSEPS è stato quello della carenza di personale, ritenuta oggi una delle principali cause dei disservizi in sanità e dei possibili conseguenti episodi di aggressione.
È stata ribadita l’importanza della formazione (ECM e non) mirata al potenziamento delle competenze degli operatori stessi, nel riconoscimento dei comportamenti a rischio, ponendo in atto metodiche di deescalation anche nella comunicazione, non dimenticando di approntare tutele psicologiche di sostegno per chi è stato vittima di aggressione, anche per un migliore rientro al lavoro.
Inoltre, è stata sottolineata la necessità di produrre campagne informative rivolte sia agli operatori sanitari sia alla cittadinanza e finalizzate ad aumentare la sensibilità, dei primi, rispetto alla necessità di acquisire le conoscenze utili alla prevenzione e alla gestione degli episodi di violenza e, dei secondi, rispetto alle condizioni di lavoro del personale sanitario e alle conseguenze di eventuali atti violenti.
Altro argomento affrontato, è stato quello dell’uso del lavoro in équipe come strumento di dissuasione e di gestione delle condizioni di rischio, evitando il lavoro in forma individuale e prevedendo la presenza di più persone almeno nelle situazioni e nei luoghi in cui è più facile che si verifichino reazioni da parte dell’utenza. Contestualmente si è ribadita la necessità di stabilire procedure per rendere sicura anche l’assistenza domiciliare prevedendo, per esempio, la comunicazione a un secondo operatore dei movimenti per una facile localizzazione.
Tra gli obiettivi per il 2023 l’individuazione e diffusione di buone pratiche, anche in materia di comunicazione e di gestione psicologica della fase post aggressione a sostegno del singolo e del gruppo di operatori coinvolti, e si continuerà nel monitoraggio dei corsi di formazione ECM, anche al fine di definire una proposta dei contenuti minimi degli stessi.
Giovanni Cedrone