Quando il Covid non insegna nulla: il decreto Rilancio prevede una dotazione minima di 14 posti letto ogni 100mila abitanti. Ma il Meridione arranca e a livello nazionale siamo lontani da quota 11mila
di Ulisse Spinnato Vega
Migliorati sì, ma non a sufficienza. Il sistema sanitario mostra di non aver ancora imparato appieno la lezione impartita dal Covid sul fronte della dotazione di posti in terapia intensiva. I dati Agenas, infatti, parlano chiaro: complessivamente in Italia ci sono 9.086 letti disponibili, una soglia che ci porta a quota 15,2 posti per 100mila abitanti, poco sopra l’asticella minima di 14 posti fissata l’anno scorso dal decreto Rilancio. Rimane tuttavia lontano l’obiettivo degli 11mila posti letto evocato ai tempi del governo Conte 2 e sbandierato per mesi senza che alle parole seguissero (del tutto) i fatti. Su quel mantra scivolò anche l’ex commissario straordinario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, ma c’è da dire che nemmeno otto mesi di esecutivo guidato da Mario Draghi sono stati sufficienti per coprire del tutto i buchi.
Falle che potrebbero trasformarsi in nuova emergenza se dovesse, in futuro, arrivare un’altra variante pericolosa o una pandemia del tutto inedita. Sappiamo, infatti, quanto siano state cruciali le terapie intensive per far fronte ai casi più gravi. Tuttavia, l’aspetto statistico più preoccupante è che, ad oggi, ben sei regioni italiane sono ancora sotto il tetto minimo stabilito dalla legge. Parliamo di Molise (13 posti letto per 100mila abitanti), Sardegna (12,6), Puglia (12,2), Campania (9,8), Umbria (9,6) e Calabria (9,2). Naturalmente tutte le Regioni hanno incrementato la dotazione nei quasi due anni ormai del Coronavirus, visto che i posti in terapia intensiva pre-pandemia erano fermi a circa 5.300 a livello nazionale. Tuttavia, mentre ci sono realtà che hanno più che raddoppiato i letti dopo marzo 2020 (in testa Valle d’Aosta, Trento, Bolzano, Veneto ed Emilia Romagna), la stessa Umbria risulta la peggiore di tutte in termini di potenziamento, avendo creato solo 1,7 posti per 100mila abitanti in epoca Covid. Se si considera che il Cts contava 8.817 terapie intensive già a fine aprile 2020, si capisce come poco sia cambiato nel Servizio sanitario nazionale dopo lo sprint legato all’emergenza iniziale.
Lo stesso dl Rilancio, che risale a maggio dell’anno scorso, prevedeva un aumento di 3.500 posti rispetto alla dotazione pre-pandemica, oltre a 4.225 posti in più per la sub-intensiva (di cui il 50% convertibili in intensiva). Un rafforzamento complessivo potenziale di oltre 5.500 unità che avrebbe dovuto condurci, appunto, dalle parti della soglia degli 11mila posti, soglia su cui si fece all’epoca gran rumore. Peccato che l’incremento sia poi rimasto in buona parte lettera morta.
I piani regionali, dunque, non stanno funzionando appieno, malgrado gli 1,4 miliardi stanziati ad hoc nel 2020, e non agevola la complessità dell’incrocio di competenze tra struttura commissariale e governatori. Openpolis spiega bene il perché: “In base alla delega del commissario, i presidenti di Regione possono utilizzare i suoi poteri per le opere edilizie e impiantistiche necessarie per attuare il piano regionale. Si tratta di tutti gli aspetti che riguardano la ristrutturazione degli spazi negli ospedali, come la separazione dei percorsi, la ristrutturazione delle aree di pronto soccorso, di quelle mediche, ecc”. I presidenti di Regione, però, “devono comunque rispettare tempi e direttive stabilite dal commissario straordinario all’emergenza. E resta comunque ferma la competenza del commissario sulla fornitura delle attrezzature medicali, quelle finalizzate all’allestimento dei posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva e dei veicoli attrezzati per il trasporto dei pazienti. Un quadro di competenze quindi molto complesso, che certo non facilita l’attribuzione di responsabilità chiare”. Siamo alle solite, un’architettura istituzionale perfetta per i tanti che in Italia praticano lo sport dello scaricabarile.
FONTE: TECNICA DELLA SCUOLA (LINK: https://www.tecnicadellascuola.it/i-mali-della-scuola-gli-alunni-poco-formati-che-lasciano-prima-le-contromosse-di-bianchi-palestre-musica-piu-laboratori-e-digitale)
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