La traccia di Storia all’esame di Maturità sarà ripristinata, parola del ministro Fioramonti. L’annuncio del titolare del Miur è arrivato a stretto giro dal convegno “Quale futuro senza la Storia?”, promosso dalla Gilda degli Insegnanti e dall’Associazione Docenti Articolo 33 in occasione della Giornata Mondiale dell’Insegnante, che si è svolto il 4 ottobre scorso a Roma. All’iniziativa, oltre a esimi esperti della materia, ha preso parte anche il responsabile dell’Istruzione.
E proprio alla folta platea dei docenti intervenuta al convegno, Fioramonti aveva detto che, pur senza stravolgere per l’ennesima volta l’impianto dell’esame di Stato, erano necessari una riflessione e interventi migliorativi per restituire alla Storia il ruolo impropriamente “scippatole”. Non senza una buona dose di orgoglio e soddisfazione, va dunque sottolineato il prezioso contributo apportato dalla Gilda degli Insegnanti nella riacquisizione da parte della disciplina storica del diritto (sacrosanto) alla cittadinanza nell’ambito dell’esame di Maturità.
L’essere usciti vittoriosi da una battaglia non deve indurre, però, ad adagiarsi sugli allori, perché resta aperta ancora la madre di tutte le battaglie: porre la disciplina storica quale asse culturale di riferimento intorno al quale organizzare il sistema di istruzione. A schierarsi in favore di questa causa, tutti i relatori intervenuti al convegno. Secondo Adriano Prosperi, professore di Storia Moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa, “oggi il bisogno di Storia è più vivo rispetto al passato, perché il mondo è più complesso, si è più incerti, si hanno più voci da sentire ed è obbligatorio rivolgersi alla Storia.
La conoscenza storica serve per collocarsi in un contesto reale, oggi questa capacità di concepirsi e collocarsi nel tempo è messa in dubbio da fattori sociali e culturali”. A rendere il contesto ancora più nebuloso e pericolosamente fuorviante, come ha evidenziato Andrea Giardina, professore di Storia Romana alla Scuola Normale Superiore di Pisa, contribuisce anche la politica. È il caso, per esempio, del Parlamento europeo che ha approvato una mozione con cui i crimini del nazismo vengono equiparati a quelli dello stalinismo e ha individuato le origini della Seconda Guerra Mondiale nella firma del patto Molotov-Ribbentrop (sic!). “In questo modo – ha sottolineato Giardina – la politica si arroga il diritto di intervenire sulla scrittura della Storia, deformandola e semplificandola.
In questa mancanza di consapevolezza del proprio ruolo nel mondo, la Storia può avere un ruolo di sapere critico unificante e il cosmopolitismo può rappresentare un possibile asse culturale”. Un invito a considerare, e a utilizzare, la Storia in chiave diversa rispetto al modo comune è arrivato da Adolfo Scotto Di Luzio, professore di Storia della Pedagogia all’Università di Bergamo: “La Storia è un metodo, non un discorso già pronto da impartire alle giovani generazioni che, indipendentemente dalla loro pigrizia, sono state portate dentro un processo formativo nel quale la Storia non esiste più”. Un’ancora di salvataggio per i ragazzi, che però rischia di essere anche una trappola insidiosa se non maneggiata con attenzione, può arrivare dalla Rete che, secondo Giovanni De Luna, professore di Storia Contemporanea all’Università di Torino, “rappresenta una sfida importante e che ha l’enorme vantaggio di rendere fruibili documenti e archivi altrimenti inaccessibili”.
Ester Trevisan
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