Dopo aver affrontato l’emergenza Mps e aver risolto il nodo delle popolari, l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni deve approvare i decreti correttivi della riforma Madia bocciata dalla Consulta, scrivere lo statuto della nuova Agenzia delle Entrate – Riscossione decidendo se mantenere in vita l’aggio e stabilire la ripartizione dei fondi stanziati dalla legge di Bilancio per Comuni, Province e Città metropolitane
di Chiara Brusini | 12 dicembre 2016
Per prima cosa il soccorso al Monte dei Paschi di Siena e le modifiche alla riforma delle banche popolari, congelata in attesa del pronunciamento della Consulta. Poi i correttivi alla riforma della pubblica amministrazione, resi indispensabili da un’altra sentenza della Corte costituzionale. E, a stretto giro, il commissariamento di Equitalia e la “verifica delle competenza” degli 8mila dipendenti che saranno trasferiti alla nuova Agenzia delle Entrate – Riscossione. Di cui deve anche essere scritto lo statuto, prendendo decisioni cruciali come il superamento dell’aggio (la commissione pagata dal contribuente) e l’individuazione di una fonte alternativa di introiti con cui coprire i costi di gestione delle pratiche. Sono i dossier più urgenti cheMatteo Renzi lascia sul tavolo del nuovo governo guidato da Paolo Gentiloni. Gli enti locali premono poi perché arrivi al più presto il decreto sulla ripartizione del fondo ad hoc previsto dalla legge di Bilancio, che vale circa 3 miliardi.
L’emergenza Siena e il nodo banche popolari – Sul fronte bancario non può più attendere l’emergenza di Siena, visto che l’istituto guidato da Marco Morelli ha incassato il no della Bcealla richiesta di prorogare al 20 gennaio il termine entro cui mandare in porto l’aumento di capitale da 5 miliardi e ha ora bisogno perlomeno di un paracadute pubblico. L’altra patata bollente riguarda le banche popolari: stando alla riforma varata a gennaio 2015, quelle con patrimonio superiore agli 8 miliardi di euro sono tenute a trasformarsi in società per azioni entro il 31 dicembre 2016. Ma il pronunciamento del Consiglio di Stato, che ha sospeso la circolare di Bankitalia attuativa delle norme sul diritto di recesso dei soci e rinviato tutta la riforma all’esame della Consulta, cambia le carte in tavola. Non solo per i sette istituti che hanno già completato il percorso e ora rischiano richieste di rimborsi milionari da parte degli azionisti che hanno venduto in perdita non potendo ottenere il corrispettivo fissato per il recesso. Ma anche e soprattutto per la Popolare di Bari e quella di Sondrio, le cui assemblee devono pronunciarsi sul cambio di ragione sociale nelle prossime due settimane ed entro la scadenza del 27 dicembre fissata dalla riforma del 2015.
La prima, che dopo l’ordinanza di Palazzo Spada ha rinviato la convocazione dall’11 al 27 dicembre (ultimo giorno utile), ha fissato il prezzo di recesso a 7,5 euro ad azione ma ha poi bloccato il diritto di rimborso. Se fosse chiamata a risarcire tutti gli azionisti che intendono recedere dovrebbe far fronte a un esborso difficile da sostenere. Meno a rischio la Popolare di Sondrio, che riunirà i soci il 17: il valore di recesso è stato fissato in 2,5 euro, sotto la quotazione del titolo a Piazza Affari, per cui gli azionisti non sarebbero comunque incentivati a esercitare il diritto. L’esecutivo può, e questa sembra la soluzione prescelta, prendere tempo rinviando la scadenza della riforma. L’alternativa è innalzare da 8 a 30 miliardi – come puntava a fare un emendamento alla legge di Bilancio presentato da alcuni deputati pugliesi e cassato alla Camera – la soglia di attivi oltre la quale viene imposta la trasformazione in spa. In modo da far sì che Pop Bari e Popolare di Sondrio non ricadano più nella platea degli istituti che devono cambiare pelle e dire addio al voto capitario. Probabile poi che nello stesso decreto vengano recuperare le norme, stralciate dalla manovra, sull’ammortamento in più anni dei contributi al Fondo nazionale di risoluzione per il conguaglio del salvataggio di Banca Etruria, Banche Marche, Carichieti e Cariferrara, senza il quale molte banche andrebbero in affanno.
I correttivi alla riforma della pa bocciata dalla Consulta – Non meno pressante la necessità di intervenire sul capitolo pubblica amministrazione. Un’altra riforma che doveva essere tra i fiori all’occhiello dell’esecutivo Renzi ma si è trasformata in boomerang: la Consulta ne ha smontato alcuni tasselli cruciali perché i decreti attuativi sono stati varati con il solo “parere” delle Regioni, invece della necessaria “intesa“. Nel mirino le norme sulle società partecipate da enti pubblici (in vigore da settembre) e suilicenziamenti disciplinari veloci degli statali (operative da luglio) nonché i decreti sui servizi pubblici locali e il riordino della dirigenza, approvati in via definitiva dal cdm il giorno prima della sentenza. Questi ultimi due, vista la mala parata, sono stati ritirati dal governo. E, essendo scaduta la delega, sembrano destinati a restare lettera morta a meno che il nuovo esecutivo non intenda rimetter mano alla materia varando un nuovo ddl delega. Dunque addio ruolo unico e licenziabilità per gli alti papaveri statali. Il riordino delle partecipate e il decreto contro i furbetti del cartellino, ora esposti a ricorsi, hanno invece bisogno di uno scudo sotto forma di decreti correttivi da approvare stavolta con l’intesa della Conferenza unificata. Sullo sfondo, restando in tema di lavoro pubblico, c’è il rebus del rinnovo del contrattodegli statali: l’intesa quadro sugli 85 euro medi di aumento firmata da governo e sindacati pochi giorni prima del referendum è solo il primo passo. Ammesso che l’accordo non salti con il cambio di governo, ora servono le direttive per i quattro comparti della pubblica amministrazione, che il ministero deve inviare all’Aran. Poi, entro febbraio, dovrebbe essere varato il testo unico sul pubblico impiego previsto dalla riforma e necessario per superare, come prevede il verbale del 30 novembre, le previsioni della legge Brunetta sulla distribuzione del salario accessorio.
Gli enti locali chiedono certezze sui fondi – L’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) dal canto suo ha fatto presente che è necessario un intervento del governo, tramite decreto legge, per risolvere diversi “nodi ancora aperti”. Per prima cosa va stabilita la ripartizione dei due Fondi per il finanziamento di interventi a favore degli enti territoriali, rispettivamente da 1,9 miliardi e 969 milioni, creati dalla legge di Bilancio. Il consigliere economico della presidenza del Consiglio dei ministri Luigi Marattin ha rassicurato via Facebook sul fatto che “tale attività rientra tra il disbrigo degli affari correnti per cui è ancora in carica il governo Renzi” e “qualora la situazione politica evolva verso un nuovo governo, tale atto amministrativo verrà comunque fatto entro il 31 gennaio”. Con queste risorse, tra l’altro, devono essere sterilizzati i tagli da 1 miliardi a carico delle Città metropolitane e delle Province (che vista la vittoria del No al referendum restano in Costituzione, sebbene depotenziate) e va finanziato il fondo perequativo Imu-Tasi che serve a compensare i Comuni del gettito perso con l’abolizione delle imposte sulle prime case. Senza quei soldi sarà difficile per i sindaci chiudere i bilanci. Il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, ha chiesto anche che sia concesso a tutti i primi cittadini l’innalzamento al 75% del turn over del personale.
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