Nelle prime settimane di settembre inizia, con un calendario scaglionato per regione, l’anno scolastico 2019/2020 e in circa 8.300 scuole, oltre 7.500.000 studenti, suddivisi in 370.000 classi, incontreranno 850.000 insegnanti (circa 700.000 su posto comune e 150.000 su sostegno).
Incontreranno? Il dubbio è lecito. Anche quest’anno infatti, nonostante le promesse del ministro di turno, in realtà nelle prime settimane di scuola molte cattedre saranno scoperte e si dovrà ricorrere ai supplenti. Un calcolo approssimativo, fatto da tutte le OO.SS., rivela che sarà necessario ricorrere, bene cha vada, ad oltre 150.000 supplenti, un numero enorme (un insegnante a tempo determinato ogni 4 a tempo indeterminato), il più alto degli ultimi anni, che saranno nominati ad anno scolastico già iniziato.
Quindi nelle prime settimane di scuola le alunne e gli alunni della stragrande maggioranza delle scuole italiane non svolgeranno il programma di alcune discipline per mancanza di insegnanti, mediamente 2 per ogni consiglio di classe.
La patologia della scuola italiana che viene denominata “supplentite” ha certo origini remote, ma si può affermare con cognizione di causa che le politiche recenti hanno fallito nelle terapie messe in atto per curarla.
L’assenza di concorsi a cadenza regolare, l’infimo trattamento riservato ai commissari, le procedure di reclutamento che cambiano ogni pochi anni, l’ostinazione del MIUR a non voler unificare l’organico di fatto e di diritto, lo scarso appeal della professione docente malpagata e stressata dall’erosione dello spazio professionale, e per questo sottoposta alle crescenti difficoltà nella gestione della classe e dei rapporti con le famiglie, sono le cause principali della “supplentite”.
Solo affrontando queste cause con provvedimenti non provvisori e dettati dalla ricerca del consenso elettorale, ma individuando soluzioni strutturali, le alunne e gli alunni italiani potranno in futuro contare sulla presenza di tutti i docenti all’inizio delle lezioni.
Fabrizio Reberschegg
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