La versione finale del Def, il Documento di economia e finanza, lascia forti dubbi sulla possibilità di introdurre la flat tax e, allo stesso tempo, evitare l’aumento dell’Iva: nel testo i riferimenti alle due operazioni sono generici e non supportati da dati certi. Anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, avverte: “Servono coperture di notevole entità”.
Il ministero dell’Economia ha pubblicato sul suo sito il Def, il Documento di economia e finanza approvato in Consiglio dei ministri. La versione finale conferma le indicazioni generiche sulla flat tax così come sulle clausole di salvaguardia da disinnescare per evitare il tanto temuto aumento dell’Iva. Le premesse, scritte dal ministero dell’Economia Giovanni Tria, sottolineano un aspetto critico, ovvero la necessità di trovare “coperture di notevole entità”. Risorse che serviranno proprio per mettere in campo la flat tax e scongiurare l’aumento dell’Iva. Sul primo punto, la prossima legge di Bilancio, da varare entro la fine dell’anno, dovrà far partire “il processo di riforma delle imposte sui redditi (flat tax) e di generale semplificazione del sistema fiscale”. Manca, però, una stima dei costi per il piano del governo sulla tassa piatta. Per ora l’ipotesi è che servano almeno 12-15 miliardi. Da aggiungere ai 23 necessari per evitare l’aumento dell’Iva.
L’idea è quella di trovare le risorse grazie ai tagli di spesa e alla revisione dei bonus fiscali. Il governo, in realtà, non fa molto affidamento sulla spending review, da cui si attende di ricavare un miliardo in tre anni. Meglio potrebbe andare coi tagli ai ministeri, i famosi due miliardi accantonati su richiesta di Bruxelles con la legge di Bilancio, che ora tornano a essere considerati a tutti gli effetti e che servono per evitare che il deficit salga oltre al 2,4% (e non più il 2,04% inizialmente preventivato a causa della mancata crescita). Ma per arrivare alle cifre richieste servono ben più risorse, motivo per cui la soluzione più probabile e in parte già annunciata è quella delle tax expanditures, cioè i 70 miliardi che vengono spesi in bonus fiscali per aiutare i contribuenti e le imprese attraverso detrazioni, deduzioni e regimi agevolati.
Il governo punta anche sulle privatizzazioni e sulle dismissioni di immobili. Per le privatizzazioni stima entrate da 32 miliardi nel triennio, di cui 17 già quest’anno. L’obiettivo è ridurre il debito pubblico con queste due operazioni, ma già quest’anno sale nonostante tenga conto di 17 miliardi provenienti dalle privatizzazioni (inseriti nella legge di Bilancio e corrispondenti all’1% del Pil). Il problema, però, è che la strada è ancora in salita e il piano non è stato neanche programmato. Poi l’esecutivo stima di poter recuperare altri 10 miliardi tra il 2019 e il 2020. Per le dismissioni, invece, la manovra prevedeva 1,2 miliardi nel triennio. Ora diventano quasi 4 in tre anni. In questo caso, però, un pacchetto di cessione per le caserme della Difesa è stato già pensato.
Per quanto riguarda l’aumento dell’Iva, si menziona nel Def “la legislazione vigente in materia fiscale”, con riferimento agli aumenti da 23,1 miliardi nel 2020 e da 28,8 nel 2021 che vengono “per ora confermati nell’attesa di definire le misure alternative di copertura e di riforma fiscale nel corso dei prossimi mesi, in preparazione della legge di Bilancio 2020”. Gli aumenti, assicura il governo, non ci saranno. Ma dove verranno trovati i soldi ancora non si sa. Il problema sottolineato da Tria è che servono coperture “di notevole entità”.
Il Pil crescerà dello 0,1% nel tendenziale a politiche invariate. La stima del governo in realtà è leggermente più ottimistica: lo 0,2% di crescita sulla base del quadro programmatico che dovrebbe risentire degli effetti del decreto crescita e dello sblocca-cantieri. Per il ministro dell’Economia “le previsioni ufficiali sono e devono essere di natura prudenziale. Ma il governo punta a conseguire risultati ben più significativi”. Migliori le previsioni per il 2020, ma sempre al di sotto dell’1%: il Pil si fermerebbe allo 0,8%. Mentre il debito pubblico quest’anno salirà al 132,6% e poi riscenderà al 131,3%.
Ci sono poi il reddito di cittadinanza e la quota 100: l’impatto dei due provvedimenti cardine della legge di Bilancio è modesto. Il reddito di cittadinanza farà aumentare la crescita dello 0,2% nel 2019, mentre quota 100non darà alcun contributo. Non solo, perché l’anticipo della pensione porterà anche un calo dell’occupazione tra lo 0,3% e lo 0,5% nei prossimi anni perché solo parte dei lavoratori usciti verrà rimpiazzata. Gli effetti della quota 100 sulla crescita si vedranno solo a partire dal 2021, con un +0,2%. Per quanto riguarda il reddito, invece, la crescita aumenta dello 0,2% nel 2019, dello 0,4% nel 2020 e poi dello 0,5% nel 2021 e nel 2022. Un dato che deriva soprattutto dalle stime sui maggiori consumi delle famiglie che ne beneficeranno.
Il reddito comporterà più iscrizioni ai centri per l’impiego. Il che vuol dire un più alto tasso di disoccupazione: +0,4% nel 2019 e +1,3% nel 2020. Aumenterà, però, anche l’occupazione: +0,1% nel 2019 e 0,3% nel 2020. Arrivando, addirittura, all’1,1% nel 2022. I due provvedimenti, insieme, comporteranno una spesa di circa 133 miliardi di euro nel triennio 2019-2021.
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