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GLI ESPERTI RISPONDONO

Contributi versati dopo la pensione: ai dipendenti pubblici non sono riconosciuti

I dipendenti pubblici lamentano una disparità di trattamento con quelli del settore privato: a questi, infatti, non sono riconosciuti i contributi versati dopo la pensione.

A differenza dei lavoratori del settore privato, per gli ex dipendenti pubblici i contributi versati dopo la pensione vengono persi. Quindi chi continua a lavorare dopo la pensione sarà sì obbligato al versamento dei contributi previdenziali all’ente di riferimento, ma questi non saranno utili per il ricalcolo con il quale si procede con l’incremento dell’assegno previdenziale.

Un’informazione che sicuramente susciterà diverse polemiche vista la differenza di trattamento che c’è tra gli ex dipendenti pubblici e quelli privati; per quest’ultimi, infatti, i contributi versati per un’attività lavorativa – sia da dipendente che come autonomo – intrapresa dopo l’accesso alla pensione non vengono persi poiché contribuiscono ad incrementare l’assegno previdenziale.

Non è andata così invece ad un ex dipendente di Poste Italiane, quindi pensionata ex IPOST, alla quale l’INPS non ha riconosciuto i contributi versati nel periodo in cui è stata impiegata come ATA nelle scuole. Questo perché l’attività in questione è stata intrapresa dopo l’accesso alla pensione e come tale i contributi versati non sono stati considerati ai fini della valorizzazione dell’assegno previdenziale da lei già percepito.

Per capire meglio la questione analizziamo il caso di specie così da fare chiarezza sulle motivazioni che hanno portato l’INPS a respingere la richiesta di riconoscimento dei contributi versati per l’attività lavorativa intrapresa dopo la liquidazione della pensione.

Il caso di specie

Nel caso di specie la lavoratrice “Tizia”, classe 1954, dopo 20 anni di lavoro per Poste Italiane ha ottenuto il riconoscimento della pensione dall’ex fondo IPOST (Istituto di postelegrafonici di Stato). Come raccontato da lei stessa alla redazione di PensioniOggi.it, la decisione di dimettersi dall’azienda, arrivata nel 1995, è stato motivata dal fatto che la dipendente pubblica in questione aveva necessità di occuparsi delle esigenze del figlio disabile.

Visti i “soli” 20 anni di contributi, quindi, alla lavoratrice è stato riconosciuto un assegno di importo minimo di circa 500€ mensili.

Tuttavia, qualche anno dopo – nel 2001 – questa ha deciso di reintraprendere un’attività lavorativa riuscendo ad ottenere un posto come ATA (con contratto part-time prima a tempo determinato e poi indeterminato) nelle scuole.

Grazie a questo lavoro l’impiegata è riuscita a maturare altri 10 anni di contributi; il problema è che questi non le sono stati riconosciuti dall’INPS al momento del raggiungimento dell’età di vecchiaia e per questo non è riuscita ad aumentare l’importo della pensione erogata dal fondo Ipost.

Questo perché essendo già titolare di un trattamento pensionistico diretto percepito come ex dipendente pubblica non ha diritto al supplemento della pensione.

Naturalmente la donna è rimasta “incredula” di fronte alla decisione dell’INPS e ha deciso di presentare ricorso; tuttavia, come vedremo meglio di seguito, questa decisione è stata del tutto legittima.

Perché gli ex dipendenti pubblici non hanno diritto al supplemento

Questa decisione – contestata – dell’INPS si fonda su quanto previsto dal DPR 1092 del 1973, ovvero sul testo unico per il trattamento di previdenza dei dipendenti civili e militari dello Stato.

Secondo quanto previsto dall’ordinamento suddetto – e attualmente vigente – infatti, coloro che hanno lavorato come dipendenti pubblici e percepiscono una pensione diretta non hanno diritto al supplemento della pensione.

Ergo, in caso si continui a lavorare anche dopo la pensione i contributi previdenziali versati per il nuovo impiego vengono sì versati ma non sono riconosciuti ai fini dell’incremento dell’assegno previdenziale.

Quindi i contributi versati saranno persi. Nel caso di specie, ad esempio, Tizia si è dovuta accontentare della pensione ex IPOST di 500€, dal momento che non avendo maturato altri 20 anni di contributi come dipendente ATA non ha ottenuto il riconoscimento della pensione di vecchiaia.

Allo stesso tempo non ha potuto richiedere la pensione di vecchiaia contributiva, per la quale sarebbero stati sufficienti 5 anni di contributi, poiché aveva maturato un’anzianità contributiva precedente al 1996.

https://www.money.it/contributi-versati-dopo-pensione-dipendenti-pubblici-non-riconosciuti

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