L’Italia è all’ultimo posto nella graduatoria Ocse basata sull’età dei dipendenti pubblici: abbiamo la più alta percentuale di burocrati sopra i 54 anni (45%, contro il 22% della media Ocse), e la più bassa di quelli con meno di 35 anni (2%, contro il 18% della media Ocse
È in corso a Roma il Forum 2018 della pubblica amministrazione. L’occasione giusta per fare il bilancio della gestione di Marianna Madia (Pd), classe 1980, nominata ministro della Funzione pubblica da Matteo Renzi il 22 febbraio 2014, confermata nell’incarico da Paolo Gentiloni il 12 dicembre 2016. Dunque, una gestione durata più di quattro anni, che fanno di Marianna Madia la ministra forse più longeva a capo della Funzione pubblica. Quando, nel 2008, fu eletta alla Camera per la prima volta, per volere di Walter Veltroni, aveva 28 anni e, quasi a scusarsi, disse che avrebbe portato in parlamento il contributo della sua «inesperienza politica». Più o meno la stessa cosa, senza più dirlo, ha fatto dopo la nomina a ministra, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Disastrosi.
Lo confermano i dati. Gli impiegati pubblici sotto i 29 anni (esclusi quelli delle forze armate e della polizia) erano circa 100 mila nel 2001, pari al 3,6% dell’intera p.a., un numero che, da solo, fotografava l’invecchiamento della burocrazia statale e ne sollecitava un rapido ringiovanimento, non fosse altro per portare nei ministeri, lavoratori meno restii, per non dire ostili, all’uso dei computer, e di riflesso più efficienti. Invece, come documenta uno studio realizzato alla vigilia del Forum della pa, è avvenuto il contrario: gli statali sotto i 29 anni sono scesi da 100 mila a 21 mila nel 2016 (su 3 milioni di dipendenti pubblici), pari allo 0,8% del totale. Il che pone l’Italia all’ultimo posto nella graduatoria Ocse basata sull’età dei dipendenti pubblici: abbiamo la più alta percentuale di burocrati sopra i 54 anni (45%, contro il 22% della media Ocse), e la più bassa di quelli con meno di 35 anni (2%, contro il 18% della media Ocse). In Francia circa il 30% dei lavoratori pubblici ha meno di 35 anni; nel Regno Unito sono il 25%, uno su quattro. Segno evidente che la tanto strombazzata riforma Madia della pa, portata avanti negli ultimi anni con ben 26 decreti attuativi, può iscriversi tra le rivoluzioni mancate.
A dire il vero, per non scaricare soltanto sulla Madia le colpe dell’invecchiamento della burocrazia statale, un’attenuante ci sarebbe. Nel conto, va messa anche la feroce politica di austerità sui conti pubblici, imposta da Bruxelles, che, per anni, ha determinato il blocco delle nuove assunzioni nel pubblico impiego. Un blocco che, a conti fatti, ha costretto l’Italia ad avere meno impiegati pubblici dei paesi concorrenti in Europa. Secondo le stime più recenti, abbiamo appena 48 impiegati statali ogni mille abitanti, contro gli 83 della Francia, i 60 della Spagna e i 52 della Germania. Senza dubbio, un risparmio di spesa pubblica sul capitolo stipendi. Ma un autogol pazzesco sul piano dell’efficienza e della produttività, se si considera che i dipendenti pubblici sopra i 60 anni sono passati dal 4,7% del totale nel 2001 (circa 130 mila unità) al 17,6% nel 2016, pari a ben 487 mila. Quasi uno su sei.
Tra i burocrati anziani, spiccano i 400 alti dirigenti dello Stato, ai quali il Forum della pa 2018 ha dedicato un focus, pubblicato in esclusiva da Affari&Finanza di Repubblica. Si tratta, per lo più, di superburocrati di nome, ma non di fatto: età media 56 anni, lauree prevalenti in giurisprudenza o in materie economiche e politiche, retribuzioni elevate, in molti casi vicine ai massimi di legge (240 mila euro), ma connotati da una cultura vecchia, superata. Molti sono entrati nella pa circa 40 anni fa, raramente hanno cambiato amministrazione, mai un giorno di lavoro nel privato, così che sono rimasti legati a una prassi tipica del secolo scorso: compilare scartoffie, rilasciare timbri e autorizzazioni, scansare il più possibile i rischi e le innovazioni. «Togliete il computer dalla mia scrivania e portatelo alla mia segretaria: deve servire a lei, non a me», avrebbe detto il capo di gabinetto di un ministero, subito dopo la nomina.
Ecco, se c’era un bubbone su cui intervenire con urgenza, quello dei 400 alti dirigenti statali poteva essere il vero banco di prova di una riforma incisiva della pa. La Madia, invece, cercando l’applauso dei media, è partita dal basso, dai «furbetti del cartellino», sui quali era già intervenuta la riforma dell’ex ministro Renato Brunetta, a giudizio di molti addirittura con maggiore efficacia in fatto di licenziamenti per gli assenteisti. Ma sull’alta dirigenza statale, nisba: i grand commis intoccabili erano, e tali sono rimasti, con tanti saluti al ruolo unico nazionale e ai licenziamenti facili. Il risultato è che, tra 3-4 anni, circa 500 mila statali, tra burocrati e alti dirigenti, andranno in pensione, senza che sia stato programmato un ricambio adeguato per la governance della macchina burocratica dello Stato.
Lo ammette perfino il presidente del Forum della pa, Carlo Mochi Sismondi, che alla vigilia del convegno romano ha scritto: «Di fronte a questi numeri, la notizia che, con un decreto ministeriale della ministra Madia, sono state sbloccate 1.890 assunzioni, sembra veramente una goccia nel mare. Ma a questo mare dovremo far fronte e rapidamente. Il punto quindi non è se assumere nella pa, questo dovremo farlo necessariamente, ma come farlo. Pensando a quale amministrazione». Ovvero fare ciò che la Madia non ha saputo fare in quattro anni: pensare. Per programmare una burocrazia moderna, più efficiente, e realizzarla in tempi rapidi. Impresa impossibile, visti i risultati, per chi ha scalato il potere soltanto grazie alla propria «inesperienza politica».
https://www.italiaoggi.it/news/dipendenti-pubblici-under-29-scesi-da-100mila-a-21mila-2271056
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