La Commissione non vuole legiferare sull’accordo tra amministrazioni e organizzazioni dei lavoratori. Secondo cui questi vanno consultati nelle ristrutturazioni. In gioco c’è il ruolo delle parti sociali nell’Unione.
L’accordo tra datori e lavoratori è stato trovato il 21 dicembre 2015, prevede che i dipendenti delle amministrazioni pubbliche in tutta Europa siano informati e consultati anche durante i processi di ristrutturazione aziendale. In particolare, secondo quanto si legge nel testo dell’intesa, devono essere informati su salari, formazione, parità di genere e protezione sociale e consultati su salute e sicurezza, orari e politiche di conciliazione vita-lavoro e sulle «conseguenze sulle condizioni di lavoro delle decisioni che cambiano l’organizzazione di strutture e servizi o quando vi è una minaccia per l’occupazione».
L’UE RIFIUTA LA TRASFORMAZIONE IN LEGGE. L’accordo non dice come: le procedure saranno trovate a livello nazionale. Ma intanto a otto anni di distanza dall’inizio di una crisi che ha abbassato vistosamente i diritti del settore, quel testo è una garanzia per una nuova stagione di confronto tra le parti sociali. Anzi, sarebbe, perché la Commissione europea dopo averlo lodato ufficialmente, a tre anni di distanza, il 5 marzo 2018, ha deciso di non proporre al Consiglio Ue di tradurre l’accordo in una norma Ue come è sua prerogativa. E per la prima volta nella storia, la Federazione europea dei lavoratori della funzione pubblica è pronta a portare di fronte ai giudici l’esecutivo comunitario. Il 15 maggio annuncerà il ricorso, dando il via a uno scontro inedito in cui sindacati e datori di lavoro rivendicano insieme per il Vecchio continente la centralità delle relazioni sindacali.
Nel suo ricorso la European federation of public service unions (Epsu) accusa la Commissione di aver violato l’articolo 155 del trattato di funzionamento dell’Ue, quello che regola il dialogo tra le parti sociali a livello comunitario. L’Epsu è la principale componente dellla federazione che ha firmato l’accordo assieme alla European public administration employers, cioè l’organizzazione delle amminstrazioni pubbliche europee. La prima è presente in 27 Paesi, la seconda in 17, ma rappresenta circa l’88% delle amministrazioni dell’Ue.
COSA DICE L’ARTICOLO SUL DIALOGO SOCIALE. Secondo l’articolo 155, gli accordi tra le parti sociali sono attuati «a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base a una decisione del Consiglio su proposta della Commissione». Il testo dell’articolo non spiega quanto margine abbia la Commissione per decidere quali proposte devono essere presentate al Consiglio nel caso in cui le parti abbiano raggiunto un accordo autonomo. Da qui il margine per rivolgersi ai giudici. «Qui l’autonomia non esiste più», denuncia Pablo Sanchez, portavoce dell’Epsu, «inutile allora che la Commissione Juncker parli dell’importanza dell’Europa sociale».
Nella sua lettera del 5 marzo, con cui rifiuta di proporre una legge a livello Ue, la Commissione sostiene che la struttura delle amministrazioni pubbliche, la loro organizzazione e il loro funzionamento sono «interamente materia delle rispettive autorità nazionali», che «un grado di informazione e consultazione è già garantito» e sottolinea come «l’organizzazione di questo settore varia ampiamente, in base al livello di decentralizzazione delle loro pubbliche amministrazioni». Per questo, ribadisce direttamente un portavoce della Commissione interpellato da Lettera43.it, «la Commissione resta impegnata nella promozione del dialogo sociale a livello europeo e del pilastro sociale europeo, ma ritiene che il migliore livello per legiferare sulla materia è quello statale. Inoltre sappiamo che in diversi Stati membri ci sono già trattative in corso e diverse amministrazioni stanno provvedendo».
«LA QUESTIONE È POLITICA». Insomma, solo questioni tecniche, nessuna questione politica, a sentire Palazzo Berlaymont. «La questione è politica», commenta Sanchez, «quando sostengono qualcosa allora è importantissimo attuarlo a livello di Unione europea, altrimenti il livello corretto è quello degli Stati. Nel 2015 la Commissione ha legiferato sulle condizioni di lavoro dei dipendenti del settore marittimo a partire da un accordo tra le parti e nei suoi memorandum la Troika ha chiesto a Grecia, Portogallo e Spagna di intervenire sulle pubbliche amministrazioni. In quel momento dunque non era materia degli Stati? E non si tratta solo di licenziamenti: non si capisce perchè un ispettore delle poste o un impiegato di un presidio sanitario non debba essere informato se nel suo posto di lavoro vengono cambiate le procedure».
LA MARCIA INDIETRO DELLA COMMISSIONE. Il giorno in cui era stato sottoscritto l’accordo, anche l’esecutivo europeo non lo capiva. Quel giorno, Palazzo Berlaymont aveva celebrato l’intesa con tanto di dichiarazione ufficiale della commissaria Marianne Thyssen, pubblicata sul sito della Commissione: «Dove il dialogo sociale è forte, le economie sono competitive e socialmente resilienti. Per questo do il benvenuto all’accordo trovato dalle parti sociali a proposito dei dipendenti e dei lavoratori delle amministrazioni pubbliche. Esso contribuirà a un servizio pubblico moderno e di altà qualità». Parole dimenticate, cancellate da una netta marcia indietro, ma che ora potrebbe essere un giudice a riportare alla memoria.